Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
AA.VV. Formazione permanente paradigma della formazione iniziale IntraText CT - Lettura del testo |
Vorrei ora passare a trattare di un altro punto che mi sta a cuore, più in relazione con il problema della formazione, vale a dire vorrei prendere in considerazione non tanto i problemi connessi con la natura e l’identità della direzione spirituale in generale (finalità, compiti, caratteristiche e note) e tanto meno attardarmi ad analizzare i problemi e i temi riguardanti l’itinerario, lo sviluppo e il divenire dinamico della direzione spirituale, i contenuti, ecc. …nel dettaglio o, in genere, i problemi riguardanti il valore, la centralità, la necessità, l’obbligatorietà, la durata, ecc… della DirSp, quanto piuttosto mettere a fuoco i problemi che riguardano il carattere specifico che la direzione spirituale è chiamata ad assumere nel periodo della formazione e più precisamente nella formazione iniziale del candidato o candidata alla professione perpetua a partire dal noviziato: come si configura la direzione spirituale in questo periodo? La direzione spirituale nel periodo della formazione iniziale, tra l’entrata in noviziato e la professione perpetua, presenta caratteristiche speciali che la contraddistinguono da altre forme di direzione spirituale, soprattutto da quelle che il candidato o la candidata vivrà da professo/a per sé o a vantaggio di altre persone o anche da altre forme di aiuto spirituale che è chiamato a vivere nella sua esperienza di consacrato/a o di religioso/a. È sommamente importante che il candidato (…) avverta queste specificità per non interpretare, divenuto professo, il suo ruolo di direttore spirituale di laici o di altre persone a partire dall’esperienza vissuta come diretto nel periodo della formazione o dalla figura del direttore spirituale avuto nella formazione permanente, assunta come la figura-tipo o il princeps analogatum di ogni direttore spirituale propriamente detto. Parimenti non sarebbe affatto opportuno che dopo la professione vivesse il suo rapporto con il proprio direttore spirituale sulla falsariga del rapporto avuto nel periodo iniziale della sua formazione. La formazione spirituale nella FI presenta connotati particolari che ridisegnano la figura del direttore spirituale in un determinato e particolare modo. Personalmente penso che alcune reazioni negative o contestazioni contro la direzione spirituale negli anni passati siano dipese da una prassi distorta di direzione spirituale da parte di direttori che proiettavano su di essa, in tutta la sua ampiezza, anche in quella riguardo ai laici, senza alcuna distinzione, il modo nel quale avevano vissuto la propria esperienza di direzione spirituale in noviziato o nello scolasticato o nell’iuniorato.
Prima caratteristica: RELAZIONE CON L’INTERA FORMAZIONE NELL’ISTITUTO.
Una prima caratteristica della direzione spirituale nella FI è data dal fatto che essa non esaurisce né lo spettro completo della formazione spirituale, né, a maggior ragione, lo spettro completo della formazione alla vita consacrata e religiosa. Essa si pone come un tassello della formazione spirituale, la quale, a sua volta, va concepita non isolatamente, ma in intimo legame con le altre dimensioni della formazione iniziale: quella umana, quella intellettuale o culturale, quella pastorale o apostolica, e quella comunitaria. La formazione spirituale del futuro/a religioso/a non può essere considerata come una “riserva di caccia” del direttore o direttrice spirituale geloso/a della propria competenza, come se essa non dovesse essere una preoccupazione anche delle altre persone incaricate della formazione o altri operatori ed educatori a livelli di solo foro esterno e, soprattutto, del superiore o della superiora della casa di formazione o comunque del giovane con voti temporanei. Ancor di più sarebbe errato vedere la formazione spirituale del candidato come se l’integrazione nella formazione alla professione sia da vedersi come il risultato di un patto di non ingerenza tra i diversi membri della comunità educante e l’unità della formazione fosse prodotta dalla semplice giustapposizione delle diverse aree vitali (spirituale, intellettuale, pastorale, affettivo-relazionale). Naturalmente entrano in gioco le diversità dei carismi dei diversi ordini e congregazioni religiose. Per esempio da questa prima caratteristica presso alcuni Istituti deriva la necessità per il direttore spirituale di essere parte dell’équipe dei formatori, della comunità educante che è presieduta dal superiore o dalla superiora o dall’incaricato o della incaricata della formazione, anche se per la parte che riguarda il suo lavoro circa il foro interno la rigorosa fedeltà al segreto professionale, e non solo al sigillo sacramentale qualora fosse anche confessore del candidato alla professione, impone che la sua attiva partecipazione non sia messa sullo stesso piano di quella di un docente o del vice-rettore o di altri che agiscono direttamente solo in foro esterno: per esempio, come proprio per questo prescrive il Codice di Diritto Canonico a proposito dei candidati al sacerdozio: “nel prendere decisioni riguardanti l’ammissione degli alunni agli ordini o la loro dimissione dal seminario, non può essere mai richiesto il parere del direttore spirituale (e dei confessori)” (c. 240, §2).
Una particolare relazione egli
avrà con il superiore o con la superiora o l’incaricato della formazione
non solo in quanto capo della comunità educante, ma specificatamente
anche come rappresentante del Superiore Maggiore o della Superiora Maggiore
quale primo responsabile della formazione sacerdotale dei candidati alla
professione considerati non solo come comunità, ma anche come singoli e,
pertanto, come persona che ha da dire qualcosa anche al piano del foro interno
(o meglio al piano dell’ambito della coscienza) nel quale in ultima analisi si
gioca la formazione spirituale. Il direttore spirituale, a partire proprio
dalla coscienza di non essere l’unica agenzia educatrice della formazione
spirituale del seminarista, cercherà, nella misura del possibile, di
invitare il diretto ad aprire la propria coscienza al rettore, al superiore o
alla superiora o alla persona incaricata della formazione, senza fare evidentemente
un duplicato della sua direzione spirituale, nel rispetto delle
diversità dei ruoli. Il candidato/a deve essere educato/a a sapere non
solo che giustamente la chiesa proibisce al/alla superiore/a o chi per lui o
lei, di esigere tale apertura, ma anche che la proibizione di esigere non
comporta con sé la proibizione di riceverla, e che, anzi, proprio in
forza del fatto che soprattutto gli competa l’unità di indirizzo sia
della formazione nel gruppo di giovani in formazione che dei singoli candidati,
l’apertura di coscienza di questi lo aiuteranno sempre più e gli
faciliteranno il suo compito specifico a tutto vantaggio della comunità
e dei singoli.
Di qui una seconda caratteristica specifica della direzione spirituale in
seminario che la distingue e la differenzia chiaramente dalle altre forme di
direzione spirituale normali nella Chiesa:
Seconda caratteristica: l’UFFICIALITÀ.
Anche se il giudizio autoritativo dell’ammissione alla professione deve essere dato dal Superiore/a, la direzione spirituale non può prescindere (…) dal fatto che, per lo più e di fatto, è ad essa che in massima parte è affidato il compito di aiutare il candidato nel discernimento della sua idoneità alla professione e di assicurare quella formazione spirituale che promuova e sostenga quella continua fedeltà e generosità che favorisce la crescita del seme della vocazione Neppure, d’altra parte, può trascurare o tenere in minor conto il fatto che si debba dare una profonda unità di indirizzo della formazione religiosa globalmente considerata. Questi dati caricano la direzione spirituale nel periodo della formazione iniziale di un’esigenza di ufficialità che la pongono anche dalla parte della sfera dell’istituzionale e non solo come una realtà che a che fare con la sfera del carismatico. Questo è un punto circa il quale mi sembra che nei nostri Istituti di VC si dia una grossa carenza. La tensione tra il carattere più istituzionale della direzione spirituale (…) proprio del periodo della FI e quello della dimensione più libera e carismatica della direzione spirituale in quanto tale (che a dir il vero do a loro come scontato), si riflette chiaramente nei documenti recenti del magistero della Chiesa soprattutto in quelli riguardanti la direzione spirituale dei seminaristi che per analogia possono essere assunti come spia della mens Ecclesiae in questo campo e paradigmatici, in maniera analogica, per i candidati alla professione perpetua.
Da una parte, infatti, il direttore spirituale è considerato come parte della comunità educante, come figura istituzionale nel seminario, come uno dei superiori che devono garantire la direzione del seminario, come uno dei membri della comunità educante, come agente sulla comunità dei candidati al sacerdozio in modo visibile, organizzativo ed esterno, come persona scelta e chiamata dal vescovo per svolgere un’attività pubblica e non privata anche nei riguardi di persone non residenti in seminario. Da un’altra parte, la figura del “direttore spirituale” è vista piuttosto in una luce carismatica, a lui si riconosce una responsabilità particolare nel campo del foro interno, più in concreto, circa l’accompagnamento del singolo seminarista, nella ricerca della volontà di Dio, nel discernimento vocazionale, nell’educazione alla preghiera personale e nella personalizzazione della formazione. Per questo se ne vuole salvaguardare la riservatezza e, nello stesso tempo, se ne vuole affermare l’originalità e la differenza specifica nei riguardi di altre figure di operatori pedagogici, o che possono intervenire in una relazione di aiuto personalizzato come potrebbe essere lo psicologo.
Mi sembra che per portare chiarezza si impone la necessità di distinguere, nella linea del Codice di Diritto Canonico, tre fondamentali figure (oltre al confessore che ora non prendiamo in considerazione): lo spiritus director, il sacerdos deputatus ab episcopo, il moderator vitae spiritualis, per salvaguardare ad un tempo il duplice principio dell’unità d’indirizzo del seminario (per noi del gruppo in formazione e del corpo della congregazione) e dell’assicurazione e tutela a tutti i candidati e a ciascuno di essi della reale possibilità di apertura pienamente libera della propria coscienza. Nell’ascoltare la descrizione di queste tre figure, vi inviterei a cercare di vedere come nelle vostre rispettive congregazioni si verificano o si possano verificare. Evidentemente ci saranno sfumature e aggiustamenti da portare, ma di certo si impone un certo stile di vita concreto e una certa prassi nuova da esprimere per incarnare il duplice principio sopra ricordato. Certamente, però, quanto sto per dire varrà soprattutto per i candidati con voti temporanei dopo il noviziato, perché il caso del Noviziato è tutto particolare.
1.- Lo spiritus director (c. 239 §2): persona ufficiale, scelta e incaricata dal vescovo che agisce e si muove su un duplice piano: sul piano comunitario, in foro esterno, come animatore di tutta la vita spirituale del Seminario attraverso la conduzione e il coordinamento dei vari esercizi di pietà e della vita liturgica, attraverso istruzioni sulla vita spirituale in genere e sulla vita sacerdotale in specie, e organizzando ( o prendendosi cura che altri organizzino) i tempi dello spirito per i candidati al sacerdozio, a meno che questo non lo avochi a sé il Rettore stesso; sul piano personale, in foro interno (non sacramentale in quanto tale), come direttore/accompagnatore/consigliere spirituale dei singoli seminaristi che lo scegliessero come aiuto per la ricerca della volontà di Dio, soprattutto circa l’autenticità della propria vocazione, e come maestro e guida in tutto il loro cammino nello Spirito, in vista di una risposta sempre più generosa al Signore .
2.- I sacerdotes deputati (c.239 §2): persone scelte e designate dal Vescovo per evitare che l’unicità del director spiritus ufficiale coarti nel seminarista la piena libertà di manifestazione della coscienza che la Chiesa riconosce come bene irrinunciabile per ogni direzione spirituale. Il fatto di essere scelti e designati dal Vescovo è segno della preoccupazione della chiesa che sia assicurata l’unità di indirizzo della formazione sacerdotale quanto mai necessaria per la vita del presbiterio e della diocesi oltre che del singolo sacerdote. Si differenza formalmente dallo spiritus director per il fatto di agire solo al piano personale. La sua scelta deve essere notificata dal seminarista al Rettore perché questi, se lo ritenesse necessario, possa interpellare la guida spirituale del seminarista non certo quanto ai contenuti del dialogo con il candidato (che rimangono nel foro interno non sacramentale), ma circa il fatto se il candidato lo frequenti oppure latiti.
3.- Il moderator vitae spiritualis di cui si parla al c. 246 §4. E’ una persona scelta liberamente dal candidato come aiuto per la sua formazione spirituale, anche al di fuori delle persone designate dal Vescovo per la direzione spirituale in seminario. Come i sacerdotes deputati agisce solo al piano personale, ma a differenza da essi, la loro scelta da parte del seminarista deve essere permessa e approvata dal Rettore, per evitare che il principio della libertà di coscienza dei semina risti sconfini in una anarchia di formazione che leda l’unicità dell’indirizzo spirituale e di formazione sacerdotale.
Il particolare carattere di ufficialità della direzione spirituale in seminario e nella FI presso i consacrati e i religiosi rispetto alla direzione spirituale in genere, comporta anche, tra l’altro, che sia maggiormente sottolineato il ruolo attivo della guida spirituale nei riguardi del discepolo. Questo ruolo attivo in una certa misura è connaturale ad ogni sana direzione spirituale, non fosse altro che per scongiurare il pericolo di un pernicioso riduzionismo dell’esperienza che viene ad essere polarizzata sull’elemento antropologico-soggettivo della psicologia a scapito dell’elemento teologico-oggettivo del dato rivelato e della ragione. Se l’educatore al discernimento spirituale, quale deve essere il direttore spirituale, non può porsi come spettatore passivo di fronte a chi non può possedere tutti gli elementi e la capacità per discernere correttamente, a maggior ragione il direttore spirituale, durante la formazione spirituale nel periodo precedente la professione perpetua durante la FI, non potrà responsabilmente rinunciare a porsi in un atteggiamento attivo di fronte a un discepolo che è agli inizi del cammino della vita consacrata e religiosa ed è chiamato a fare emergere dentro di sé e a rivestire una forma, quella dell’identità e del carisma dell’Istituto al quale è stato chiamato, che avrà in comune con altri per il bene non solo proprio e dei compagni, ma soprattutto, se membro di una Congregazione apostolica, per il bene del gregge e delle singole pecore affidate alla sua cura apostolica.
Il pericolo insito al carattere di ufficialità della direzione spirituale in seminario è, però, ampiamente compensato dalla possibilità che essa offre in ordine a quell’integrazione tra il carismatico e l’istituzionale e a quell’assunzione anche affettiva spirituale, e non solo volitiva o conoscitiva, del valore dell’istituzione, di cui oggi mi sembra che abbiamo particolarmente bisogno nella Chiesa, soprattutto noi religiosi. Certamente il compito di questa integrazione non deve gravare tutto sulle spalle della direzione spirituale. Tutti i formatori, soprattutto l’incaricato della formazione (maestro dei novizi, maestra delle juniores, rettore dello scolasticato, superiora della casa di formazione o delle juniores, ecc. …), devono favorirla perché la formazione spirituale di una figura istituzionale nella chiesa quale è il religioso, soprattutto se anche sacerdote, comporta un’educazione non solo della sfera conoscitiva e della sfera della volontà, ma anche della sfera delle emozioni e dell’affettività, un’educazione non solo del “sapere” e del “volere”, ma anche del “sentire”, un cammino non solo verso l’ortodossia e l’ortoprassi, ma anche verso una ortopatia sempre più perfetta.. Tuttavia resta vero che l’educazione al senso affettivo dell’istituzione non può essere ignorata soprattutto da chi deve formare spiritualmente, aiutando il candidato a raggiungere la sfera più interiore del suo cuore e della sua coscienza. Quest’aspetto del lavoro del direttore spirituale e dei formatori in genere lo ritengo così importante che per me è uno degli indici discriminativi della presenza o meno della vocazione alla vita religiosa e, quindi, elemento decisivo per l’accettazione alla professione.
Terza caratteristica: la TEMPORANEITÀ.
Alcuni studiosi pensano che questa sia una nota della direzione spirituale simpliciter, vale a dire concepiscono la direzione spirituale sempre come un aiuto spirituale o pedagogico temporaneo. Tuttavia questo generalmente è spesso determinato da una proiezione della prassi psicoterapeutica (non a caso molti di coloro che affermano ciò provengono dall’area della psicologia) oppure della prassi della direzione spirituale durante la FI o durante il cammino della maturazione della scelta dello stato di vita nella pastorale vocazionale assunta quale princeps analogatum tra le diverse forma di guida spirituale. Questo può dare anche una certa spiegazione della scelta del termine “accompagnamento spirituale” invece che “direzione spirituale” a proposito dell’aiuto spirituale offerto dalla guida.
In realtà, sotto un certo punto di vista, la direzione spirituale di coloro che sono ancora nella prima formazione è ad tempus, come quella di chi deve scegliere lo stato di vita: ma questo deriva non tanto dalla natura dell’aiuto spirituale loro offerto dalla guida, quanto piuttosto dal fatto che il periodo della formazione iniziale è un periodo temporaneo e, per fortuna, non si resta sempre novizi o scolastici o juniores! Tuttavia la formazione iniziale è un momento forte di formazione e, come tale, deve essere orientato alla formazione permanente, come mezzo al fine. Per questo sarebbe augurabile che anche la direzione spirituale in Seminario sia vista come un momento forte di direzione spirituale, un’esperienza – pertanto – che apra il giovane o la giovane alla direzione spirituale nel futuro da professo/a, sia come direttore o direttrice spirituale che come diretto, e ne faccia sempre più crescere il desiderio. In alcune congregazioni il giovane professo/a continua a richiedere l’aiuto ad una guida spirituale: questo è senz’alcun dubbio un segno che la direzione spirituale in Seminario è stata ben condotta e vissuta. Talvolta è lo stesso direttore spirituale del periodo di formazione ad essere richiesto di aiuto dal suo ex discepolo. In questo caso non è detto che si tratti di un segno sempre positivo: talvolta potrebbe essere più utile che il giovane professo o professa si cerchi un altro direttore spirituale. Può anche darsi che la motivazione che sostiene la sua richiesta non sia delle più rette e pure, e –pertanto – potrebbe risultare più prudente e vantaggioso per lui che il suo ex direttore spirituale dello scolasticato o maestro o maestra delle novizie o maestra della formazione o direttrice spirituale, risponda con un rifiuto. La temporaneità del direttore spirituale non significa temporaneità della direzione spirituale; il fatto che per alcuni sia conveniente non avere più il direttore o guida spirituale avuta nella FI, non trascina con sé e non comporta automaticamente la fine della necessità di essere diretto da qualche guida spirituale, come la temporaneità della formazione religiosa iniziale non comporta automaticamente la cessazione della formazione religiosa tout court: non a caso i documenti della Chiesa parlano di “formazione ininterrotta” e che tra la formazione iniziale e la formazione permanente si richiede, insieme con la distinzione rispettosa delle specifiche differenze, un’integrazione che sappia salvaguardare l’unità della persona umana anche attraverso il fattore “tempo”.
È chiaro che la direzione spirituale con la persona divenuta professa non potrà essere uguale a quella precedente quando essa si trovava ancora nella FI: la direzione spirituale del professo, oltre che meno direttiva da parte della guida, si realizzerà spesso facilmente, soprattutto se sacerdote o persona apostolicamente impegnata in un lavoro di aiuto spirituale diretto personalizzato, anche come super-visione della propria direzione spirituale esercitata nel ministero, soprattutto nei primi anni, e addirittura, lungo tutto l’arco della sua vita, come super-visione dell’intera attività ministeriale o apostolica, perché questa sempre più sia fonte di santificazione anche per questa persona e perché progressivamente essa possa marciare autenticamente verso una sempre più piena unità di vita.
L’accostamento sopra fatto della direzione spirituale nella FI alla direzione spirituale di quanti stanno maturando la scelta dello stato di vita, se da una parte potrebbe anche giustifica il cambiamento del termine “direzione” in quello di “accompagnamento”, dall’altra ci permette di chiarificare un’altra caratteristica della direzione spirituale in Seminario:
Quarta caratteristica: il DUPLICE ASPETTO della direzione spirituale nella formazione iniziale.
Nell’azione del direttore spirituale nei riguardi del candidato e nell’azione del candidato nei riguardi della propria formazione spirituale in generale, mi sembra che sia necessario distinguere un duplice aspetto, corrispondente alla diversa situazione di chi è ancora sostanzialmente alla ricerca della propria vocazione o almeno nella necessità di una approfondita verifica di essa, e quella di chi, invece, ha fondamentalmente già scelto e ha bisogno solo di confermarla, di rafforzarla e di darle un volto sempre più concreto:
1. Da una parte essa si pone come un cammino di verifica dell’autenticità della chiamata alla vita consacrata e all’Istituto e della capacità del candidato di potervi rispondere: certamente, soprattutto i primi anni di FI, soprattutto il periodo del noviziato prima della prima professione, dovrebbero essere un tempo di prova e di discernimento della vocazione circa la sua stessa esistenza (=an sit). In questo senso, e limitatamente a questo primo aspetto, la direzione spirituale del candidato alla professione perpetua è ad tempus e può anche essere detta “accompagnamento spirituale”: con la professione perpetua, che presuppone un discernimento vocazionale non solo del candidato e nemmeno solo del direttore spirituale, ma in ultima analisi e in forma autoritativa da parte della chiesa stessa attraverso il Superiore o la Superiora Maggiore che ammette il candidato alla professione perpetua e ad uno stato di vita immutabile, non si può più ritornarci sopra con un discernimento spirituale, perché questo riguarda sempre la scelta di mezzi ad un fine e la scelta di realtà mutevoli. Dopo la professione perpetua sarà possibile per la persona consacrata un discernimento solo circa il “quomodo sit” della propria vita religiosa all’interno del suo Istituto (problema del discernimento di chi ha già una scelta immutabile …). In questo senso si dà una rottura, una differenza radicale tra formazione alla professione perpetua e formazione dei professi perpetui, oppure tra formazione iniziale e formazione permanente o continua. Esse invece convergono quanto al secondo aspetto della formazione, cioè:
2. il fatto che la direzione spirituale nella FI si presenta come un tempo di maturazione, di crescita, di conoscenza e di approfondimento, un tempo nel quale l’aiuto del direttore spirituale - come nel caso della direzione spirituale esercitata a vantaggio di persone già ordinate nell’esercizio del ministero sacerdotale - promuove e sostiene la continua fedeltà e generosità nel rispondere alla chiamata di Dio nell’esercizio del proprio dovere verso un’unità di vita sempre più piena. Questo ampio e complesso lavoro viene attuato nel colloquio personale, attraverso l’accompagnamento del singolo candidato nella ricerca della volontà di Dio in tutte le cose, nell’educazione alla preghiera personale e nella personalizzazione della propria fede e della formazione, evitando, tuttavia, il pericolo di cadere in un’appropriazione parziale, selettiva, intimistica, arbitraria o soggettivistica dei loro contenuti obiettivi che dissocerebbero il seminarista dall’orizzonte complessivo dei valori, in genere, e, più specificatamente, da quello dei valori legati alla sua vita di candidato alla professione perpetua in un ben preciso Istituto di VC riconosciuto dalla chiesa. Questo lederebbe, tra l’altro, anche l’auspicata e desiderata unità di indirizzo di formazione nella congregazione per il bene e dei singoli, delle comunità e dell’intero corpo della congregazione.
In genere si può dire che inizialmente è maggiormente sottolineato e posto al centro dei colloquio tra direttore spirituale e candidato/a il primo aspetto, quello del discernimento dell’“an sit?” della vocazione del candidato e il lavorio di entrambi in ordine alla decisione di abbracciare lo stato religioso e l’Istituto a cui si sente chiamato/a. A un certo punto, però, dell’itinerario spirituale nella FI, in molti casi già in Noviziato, prende sempre più maggiore rilievo il secondo aspetto, quello del discernimento circa il “quomodo sit?” e quello della pedagogia alla preghiera e alla familiarità con Gesù, alla vita liturgica e alla vita sacramentale, all’esercizio dei tre fondamentali consigli evangelici e alle solide virtù, in ordine ad un’armonica sviluppo di tutti gli aspetti della maturazione spirituale e formazione religiosa che abbraccia tutto la persona.
Evidentemente molti altri sono gli aspetti e le caratteristiche specifiche della direzione spirituale nella formazione iniziale che potrebbero essere richiamati sia a riguardo della figura stessa del direttore spirituale, sia a riguardo di aspetti particolari dello sviluppo dell’itinerario delle direzione spirituale e del colloquio tra direttore e seminarista. Se ho evidenziato solo queste quattro caratteristiche, il motivo va ricercato soprattutto nell’esperienza di direzione spirituale e di contatto avuti con i giovani e le giovani in formazione che me le hanno segnalate come particolarmente significative e come decisive per la soluzione di molti e svariati problemi che la DirSpir presenta.