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AA.VV. Formazione permanente paradigma della formazione iniziale IntraText CT - Lettura del testo |
1) Motivi e momenti principali e più comuni di crisi nella vita del religioso
I motivi ed i momenti di crisi nella vita dei religiosi dipendono dai vari contesti sociali, culturali, nonché dalle varie Congregazioni e, in fin dei conti, dai singoli individui. Vorrei segnalarne alcuni che sono comuni alle varie età, ed altri più caratteristici di certi momenti concreti della vita. Si tratta di motivi e momenti di cui non sempre il religioso è immediatamente consapevole; ma, che comunque agiscono in lui[1][2].
1.1- Una crisi esistenziale e culturale
Diciamo subito che la crisi che vivono non pochi religiosi del nostro tempo, non è da per sé un problema della Vita Consacrata, bensì anche di essa. Si tratta di una crisi culturale, di civiltà, che ha luogo soprattutto nella cosiddetta "cultura occidentale"; la ritroviamo, però, anche in altre culture nella misura in cui sono influenzate da quella. Non bisogna, infatti, dimenticare che, dovuto alla tecnica, all'economia platenaria ed ai mezzi di comunicazione sociale globalizzanti, la cultura occidentale ha un influsso crescente in tutto il mondo compresi, dunque, i paesi del Terzo Mondo, in particolare le grandi città[1][3]. Una crisi che inevitabilmente ha poi dei riflessi nei singoli individui[1][4].
Si tratta, infatti, di una crisi di identità, sulla validità o meno dell'impegno religioso e sulle proprie capacità; di esaurimento o scolamento dell'entusiasmo iniziale, giovanile. L'Esortazione "Vita Consecrata" se ne fa eco in un testo quanto mai realistico e saggio, offrendo, allo stesso tempo, delle soluzioni (cf. VC 70). Vediamo i momenti più importanti:
- Il caso del giovane che vede esaurirsi il fervore già durante il periodo di formazione iniziale; o che sperimenta che ormai quanto vedeva chiaro prima ora non gli appare più così, soprattutto quando si avvicina il momento della Professione Perpetua o del Sacerdozio, preso da un fremito di "terrore" dinanzi al carattere di radicalità e definitività di questi impegni in un contesto sociale e culturale che parla il linguaggio esattamente contrario. Si pensi anche allo shok del formando quando vede che qualcuno dei religiosi che ammira o aveva ammirato (magari colui o colei che lo aveva spinto ad entrare nella Vita Consacrata) appare deluso, mediocre o addirittura abbandona.
- Il caso del giovane che, immerso nella prima esperienza di vita comunitaria apostolica, constata una eccessiva differenza fra quanto gli era stato detto e prospettato nel noviziato e nei primi anni dei voti e quanto vede in alcuni confratelli/consorelle di comunità o nei risultati dell'attività apostolica intrapresa con tanto entusiasmo; quando non trova dei modelli sufficientemente validi trai membri della comunità; o quando si sente abbandonato a se stesso, solo, l'unico (o quasi) giovane in una comunità di adulti o di anziani: un nipote isolato (quando non guardato con sospetto) in un ambiente di nonni/nonne[1][5].
- Il caso dell'adulto che, dopo alcuni anni di sincera e totale dedizione, percepisce che gli si stanno esaurendo le forze culturali e spirituali, o persino quelle fisiche; o sperimenta il doppio rischio minaccioso dell'abitudine[1][6] e dell'individualismo[1][7]. O quando, sotto i colpi della tipica crisi di metà della vita, sente scricchiolare l'ideale vocazionale e affacciarsi il miraggio dell'abbandono, convinto di essere ancora in tempo a rifarsi per l'ultima volta un'altra vita.
- Il caso del consacrato di età avanzata che teme per il futuro della sua Congregazione o comunità, vedendo la scarsità delle vocazioni, la poca o nulla collaborazione pratica che può offrire ormai agli altri e alla causa del Regno; o quando constata che è diventato un peso od un intralcio. Quando ha l'impressione che i risultati di tanti anni di generosa dedizione e tanti sacrifici non siano stati all'altezza delle aspettative sognate in altri tempi. Insomma, l'impressione che la vita, alla fin fine, "sa di poco", che l'impresa non valeva la spesa... Il pericolo, quindi, di sentirsi inutile, frustrato e malaticcio[1][8], e con soltanto il muro della morte davanti a sé[1][9].
Comunque, come ricorda l'Esortazione, i motivi di difficoltà e di crisi non necessariamente dipendono soltanto dalle varie fasi della vita, ma anche da altri fattori:
"E' necessario aggiungere che, indipendentemente dalle varie fasi della vita, ogni età può conoscere situazioni critiche per l'intervento di fattori esterni -cambio di posto o di ufficio, difficoltà nel lavoro o insuccesso apostolico, incomprensione o emarginazione, ecc.- o di fattori più strettamente personali -malattia fisica o psichica, aridità spirituale, problemi di rapporti interpersonali, forti tentazioni, crisi di fede o di identità, sensazione di insignificanza, e simili. Quando la fedeltà si fa più difficile, bisogna offrire alla persona il sostegno di una maggior fiducia e di un più intenso amore, sia a livello peersonale che comunitario. E' necessaria allora, innanzitutto, la vicinanza affettuosa del Superiore; grande conforto verrà pure dall'aiuto qualificato di un fratello o di una sorella, la cui presenza premurosa e disponibile potrà condurre a riscoprire il senso dell'alleanza che Dio per primo ha stabilito e non intende smentuire. La persona provata giungerà così ad accogliere purificazione e spogliamento come atti essenziali della sequela di Cristo crocifisso. La prova stessa apparirà come strumento provvidenziale di formazione nelle mani del Padre, come lotta non solo psicologica, condotta dall'io in rapporto a se stesso e alle sue debolezze, ma religiosa, segnata ogni giorno dalla presenza di Dio e dalla potenza della Croce!" (VC 70g).
Certo, non è che tutti i religiosi si trovino in situazione di crisi! Grazie a Dio, non è così. Ma, non ci preoccupano le cose che vanno bene, bensì quelle che bene non vanno[1][10].
Prima di entrare a vedere più in concreto alcune motivazioni e ritornando a considerazioni di carattere più globale, direi che, in fondo, ciò che capita nella nostra società (della quale formiamo parte anche noi, e quindi abbiamo i suoi virus inevitabilmente dentro di noi) è una crisi della vita come vocazione e, quindi, la mancanza di un significato e valore profondo dell'esistenza umana, cristiana e religiosa; in conseguenza, una crisi di trascendenza e di missione[1][11]. Con il risultato che constatiamo ancora qua e là, nella Vita Consacrata, l'inarrestabile sgocciolare di religiosi giovani e adulti che se ne vanno, sebbene molti di meno di anni addietro; ma, non finisce! O il caso più frequente di religiosi che restano, sì, ma delusi, amareggiati, andando avanti alla meno peggio, persino tristi (un virus mortale per dei giovani che si incontrano in comunità con adulti in questa situazione!). Insomma, una crisi di soddisfazione e di gioia, di vera pace; in fondo, una crisi più o meno esplicita o nascosta di fede!
Ecco perché -per quanto si riferisce ai giovani attuali- bisogna superare un pregiudizio in cui facilmente possiamo cadere gli adulti: quello di pensare che i giovani di oggi siano incapaci di impegnarsi per mancanza di generosità o di spirito di sacrificio. Le cose non sono così semplici; almeno non sempre. Succede, infatti, che i motivi di dubbio e d'incertezza, di sconcerto e di smarrimento, di fragilità e debolezza, di immaturità, sono aumentati. Non pochi fanno questo ragionamento:
"Perché impegnarmi o continuare se non vedo ancora chiaro a che cosa? come posso impegnarmi oggi se non so come la penserò entro alcuni anni? La Vita Religiosa è tutta qui? Ora sono giovane, sono ancora in tempo per poter intraprendere un altro tipo di vita. Mi sono auto-ingannato (peggio se crede che gli altri lo hanno ingannato!)?; non credevo che le cose stessero così; lo avevo sentito dire, ma ora lo sperimento".
Questa sensazione può risultare insopportabile per alcuni, e se ne vanno. Altri, invece di affrontare questa situazione di emergenza culturale si chiudono nelle certezze, vere o apparenti, di personaggi più o meno chiusi e filo-fondamentalisti: “Meglio non pensare! Fidati di me e basta!”. Non è altro che la rinuncia ad un sano atteggiamento critico (il che non vuol dire negativo e tanto meno distruttivo), ad una giusta indipendenza di pensiero, a saper correre i rischi che la vita porta con sé. Magari, più avanti, entreranno in crisi e la reazione sarà, anche allora, parziale, vedendo –in quel personaggio o in quella istituzione- solo il negativo, lì dove prima vedevano soltanto il positivo.
Per quanto si riferisce al mondo degli adulti, non dimentichiamo che, nella società, c'è della gente che si lagna sempre: se non hanno, perché non hanno; se hanno, perché vorrebbero avere di più...; c'è sempre qualcosa che "Io ancora non ho". E anche nelle comunità religiose troviamo individui che si lagnano sempre e comunque; perché c'è sempre -se uno vuole- qualche ragione per cui lamentarsi: l'edificio in cui si abita, i confratelli/consorelle, il lavoro, il cibo, il superiore, il clima, la gente... Basta che il religioso sia irrequieto, ansioso o frustrato dentro, e proietterà sempre fuori la sua insoddisfazione! Non si rende conto, però, che il problema non è tanto fuori quanto dentro di lui/lei. Basta vedere che ci sono altri confratelli/consorelle, sereni e rappacificati dentro, che si rendono ugualmente conto dei limiti e difficoltà esterne, ma non hanno bisogno di insistervi più di tanto; anzi, trovano la loro felicità ad un altro livello più profondo, non scalfito da talune cose esterne[1][12].
L’Esortazione “Vita Consecrata” -come dicevamo- si fa eco di questa situazione nei nn. 63-71 (“Guardando verso il futuro”), e offre delle soluzioni. Sin dal n. 63 contrappone al nervosismo un atteggiamento di saggezza umana e spirituale:
"Le nuove situazioni di scarsità vanno affrontate con la serenità di chi sa che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l'impegno della fedeltà. Ciò che si deve assolutamente evitare è la vera sconfitta della vita consacrata, che non sta nel declino numerico, ma nel venir meno dell'adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione. Perseverando fedelmente in essa, si confessa invece, con grande efficacia anche di fronte al mondo, la propria ferma fiducia nel Signore della storia, nelle cui mani sono i tempi e i destini delle persone, delle istituzioni, dei popoli, e dunque anche le attuazioni storiche dei suoi doni..." (VC 63d).
In altre parole, il problema -oggi come sempre- non è il numero ma la qualità dei religiosi; non il "potere", il successo, il numero e l'influsso sociale delle opere, il fatto che i mezzi di comunicazione parlino di noi, riconoscano la validità della nostra vita; ma, la fedeltà al Vangelo e al carisma congregazionale..
1.2- Cause di questa situazione culturale
Accenniamo ad alcune delle cause di fondo di questo malessere attuale nelle varie tappe della vita dei religiosi.
Una causa evidente è la mentalità consumistica e postmoderna; il fenomeno economico e culturale dell'eccessiva offerta di cose e di valori.
In una società povera non esiste una vera scelta: si prende quello che c'è. In una società strutturata in modo consumistico (e ogggi tendono ad esserlo tutte, comprese quelle povere!) la scelta diventa complessa ed ingannevole, e la brama di gustare e possedere insaziabile. Siamo constantemente stuzzicati dalla legge del mercato a desiderare, ad avere, provare, godere... Con il risultato di credere che, come dice un autore:
"Siamo solo se possediamo. Siamo quello che possediamo. Di conseguenza siamo posseduti dai nostri possessi, prodotti dai nostri prodotti"[1][13].
In altre parole, ciò che possediamo ci possiede; ciò che teniamo stretto, ci tiene stretti! E' difficile anche a noi religiosi sottrarci agli stimoli che ci arrivano tutti i giorni attraverso i giornali, le riviste (anche di temi religiosi: vivono della propaganda pure esse!), la radio, la televisione, e ora ci si è messo pure il mondo dell'internet. Siamo sempre avidi di qualcos'altro, mai soddisfatti, appagati (si blocherebbe il mercato!); e non sappiamo sottrarci a questo vortice inarrestabile; anzi, siamo noi a dargli vita, siamo noi i boia e le vittime di questa situazione! Basta pensare come cambiarebbero le cose se la gente si mettesse d'accordo nel non acquistare un detterminato prodotto: scomparirebbe subito dal mercato, perché non sarebbe più un affare.
Ma, il fatto più grave non sono le cose materiali. Il peggio non è il mondo dei prodotti materiali; ma, quello dei valori, delle idee e dei rapporti interpersonali. Anche qui c'è un vero supermercato! Tutto viene affermato e tutto viene negato; peggio quando viene fatto da persone ritenute competenti, come succede tra i votati come rappresentanti del popolo per il bene del popolo: i politici; non sappiamo più quando dicono ciò che pensano, o esagerano, o semplicemente falsano la realtà pur di vincere le elezioni ed avere il potere. I mezzi di comunicazione, a loro volta, dicono tutto ed il contrario di tutto: l'importante è l'"audiens", avere più ascolto (e, quindi, più guadagno!) dell'altro canale, anche se quanto viene offerto è contraddittorio, scadente ("trash") o disumano; anzi, in questo caso, noi tendiamo a scandalizzarci, ma, allo stesso tempo, siamo noi a fomentare la situazione facendo parte dei telespettatori[1][14].
Viviamo in una situazione di eccesso di informazione (e aumenterà ancora!), non di formazione; gente che sa di tutto, religiosi (probabilmente con poco lavoro apostolico!) dietro l'ultima notizia su fatti e realtà anche banali. Un eccesso che rende impossibile l'assimilazione e, quindi, la formazione. Il risultato è che tante persone sono portate, non all'"essere e non sembrare"; ma, casomai, a sembrare, senza preoccuparsi dell'essere, trascinate in una vita di superficialità e contraddittorietà[1][15].
Anche a livello di affermazioni di carattere filosofico e persino teologico, c'è un grosso mercato. A livello filosofico, siamo passati dalle sicurezze della cosiddetta "modernità" che affermava: l'uomo può capire tutto, può risolvere tutto, può far tutto ciò che vuole[1][16], basta dargli del tempo[1][17], alla deprimente delusione della cosiddetta "post-modernità": il pensiero "debole", la metafisica debole, l'etica debole, la fede debole..., le persone deboli[1][18]. Siamo limitati, non possiamo sapere e, quindi, non vale la pena di cercare, di preoccuparsi più di tanto; meglio andare avanti vivendo la giornata in pace, entro un orizzonte piccolo-piccolo e cercando -questo sì- di estrarre dal poco che possiamo avere il massimo del profitto e del godimento. Insomma, il "carpe diem" di vecchia data. Scompaiono le convinzioni sicure, i grandi valori per i quali se necessario dare persino la vita: perché, se puoi si dimostrano non sicuri o persino falsi? tanti dicono che sia proprio così![1][19]. Il "profeta" di una tale società rischia di essere né Gesù né Marx, bensì Nietzsche.
Nell'ambito della Chiesa abbiamo vissuto e viviamo da decenni in una situazione giusta e necessaria di cambiamento/rinnovamento di molte cose. Ce lo ha esigito lo Spirito Santo per mezzo del Vaticano II e delle direttive ecclesiali posteriori. Ma, può sorgere -e, di fatto, sorge- una domanda: fino a che punto si può cambiare o che cose si possono cambiare e quali no, se non vogliamo perdere i valori insieme a delle strutture? Quali sono le "convinzioni" precedenti che possono o debbono cambiare e quali no? quali i valori che sono tali e quali non? quali sono le cose intangibili e quelle mutevoli? E una cosa è chiara, che non sempre abbiamo le idee chiare nella Chiesa e nella Vita Consacrata, visto che anche qui su tante cose ci sono opinioni per tutti i gusti: da quelli che vedono tutto chiaro a quelli per i quali le cose ed i valori essenziali ed irrinunciabili sono veramente pochi[1][20].
E' ovvio che tutto questo può scavare e corrodere le fondamenta, non solo della fede del cristiano che vive immerso in questa cultura e società, ma anche del religioso, poiché -come dicevamo- vive (viviamo!) continuamente ed inevitabilmente immerso in questa realtà. Soltanto a fatica riusciamo a prendere un atteggiamento critico, a saper staccarci da essa, a continuare fedeli alle nostre convinzioni ed impegni.
Infine, a tutto questo si deve ancora aggiungere (o vi si intreccia) la situazione personale e familiare di non pochi religiosi, l'ambiente in cui sono nati e cresciuti. E mi riferisco in modo particolare ai nuovi candidati ed ai religiosi giovani; ma, non solo. Cioè, non poche famiglie vivono oggi in mezzo a grandi difficoltà; non soltanto a livello economico, ma (e questo è molto più decisivo ancora!) di tipo umano e cristiano. Famiglie nelle quali, ad esempio, il padre o la madre non sono quasi mai in casa e, in conseguenza, i figli vivono per strada (sono più figli della strada che del focolare), o persino sono andati via o non hanno mai formato parte della famiglia: nuclei familiari con un solo genitore, in genere la madre. Situazioni familiari nelle quali gli individui non hanno avuto o sperimentato personalmente, in particolare durante l'infanzia e la adolescenza, un amore incondizionato, una situazione di sicurezza emotiva, di accoglienza positiva e di comprensione mutua. O soggetti che hanno vissuto in una situazione di grave instabilità sociale (ad es., un periodo di guerra o di rivoluzione, persino di massacri!); o hanno avuto delle esperienze sessuali frutto di violazione o semplicemente vissute senza controllo, in piena immaturità, senza principi morali; esperienze che hanno segnato, però, la persona in profondità. Ricordiamo che ogni essere umano, soprattutto nei primi anni di vita, ha bisogno di sperimentare serenità, fedeltà, amore dato e ricevuto, affinché la persona possa più tardi affrontare positivamente la vita. Tutte queste realtà sono sicuramente all'origine di certe gravi carenze e squilibri che appaiono più tardi o più presto nei nuovi religiosi.
Questa instabilità o mancanza di un vissuto positivo previo e fondamentale, in un momento decisivo della vita come è l'infanzia e l'adolescenza, quasi sempre lascia una debolezza o fragilità psicologica ed umana in non pochi candidati che si presentano, del resto pieni di sincera buona volontà, alla Vita Consacrata o sacerdotale[1][21]. Certo, una debolezza che, con l'aiuto di Dio e dei fratelli/sorelle, si può superare più avanti; ma, non sempre. La grazia suppone la natura, ripeteva S. Tommaso, anche se poi la perfezione ed eleva. Una insicurezza o fragilità, mancanza di gioia di vivere o delusione dell'esistenza, che a volte appaiono già durante gli anni di formazione iniziale; ma, altre volte, soltanto quando il soggetto è già avanti, appena ha fatto la Professione Perpetua o è stato ordinato presbitero; o in quel momento di crisi normale che ha luogo grosso modo a metà della vita.
Forse restiamo sorpresi quando, dopo un certo tempo di impegno preso con tanta apparente serietà e solennità, lo si scioglie "tranquillamente". In genere non avviene così "tranquillamente"; ma, significa che l'individuo ha subìto l'aggravarsi di una situazione (di cui forse non era neanche consapevole) che veniva da lontano e che gli è scoppiata pian piano o all'improvviso tra le mani. Se c'è un effetto, c'è sempre una causa; anche quando essa ci risultava sconosciuta.