Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Francesco Guicciardini
Considerazioni intorno ai discorsi del Machiavelli sopra la prima deca di Tito Livio

I Edizione IntraText CT
Copyright EuloTech 2005 - Vedi anche: Crediti

---

IntraText CT è il testo ipertestualizzato completo di liste e concordanze delle parole.
Aiuto: In generale - Testo e ricerca - Liste - Concordanze - Glossario - Per leggere meglio

- Indice -

---

Statistiche e grafici (Occorrenze: 19482. Parole: 3043)

• CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO
  • LIBRO PRIMO.
    • I. Quali siano stati universalmente i princìpi di qualunque città, e quale fusse quello di Roma.
    • II. Di quante spezie sono le republiche, e di quale fu la republica romana.
    • III. Quali accidenti facessono creare in Roma i tribuni della plebe, il che fece la republica più perfetta.
    • IV. Che la disunione della plebe e del senato romano fece libera e potente quella republica.
    • V. Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nel popolo o ne' grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere.
    • VI. Se in Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse via le inimicizie intra il popolo ed il senato.
    • VII. Quanto siano in una republica necessarie le accuse a mantenerla in libertade.
    • VIII. Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perniziose le calunnie.
    • IX. Come egli è necessario essere solo a volere ordinare una republica di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini riformarla.
    • X. Quanto sono laudabili i fondatori d'una republica o d'uno regno, tanto quelli d'una tirannide sono vituperabili.
    • XI. Della religione de' romani.
    • XII. Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa romana, è rovinata.
    • XIV. I romani interpretavano gli auspizi secondo la necessità, e con la prudenza mostravano di osservare la religione, quando forzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la dispregiava, punivano.
    • XVI. Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà.
    • XXIII. Che non si debbe mettere a pericolo tutta la fortuna e non tutte le forze; e per questo, spesso il guardare i passi è dannoso.
    • XXIV. Le republiche bene ordinate costituiscono premi e pene a' loro cittadini né compensono mai l'uno con l'altro.
    • XXV. Chi vuole riformare uno stato anticato in una città libera, ritenga almeno l'ombra de' modi antichi.
    • XXVI. Uno principe nuovo, in una città o provincia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova.
    • XXVIII. Per quale cagione i romani furono meno ingrati contro agli loro cittadini che gli ateniesi.
    • XXIX. Quale sia più ingrato, o uno popolo o uno principe.
    • XXX. Quali modi debbe usare uno principe o una republica per fuggire questo vizio della ingratitudine; e quali quel capitano o quel cittadino per non essere oppresso da quella.
    • XXXII. Una republica o uno principe non debbe differire a beneficare gli uomini nelle sue necessitadi.
    • XXXIX. In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti.
    • XL. La creazione del decemvirato in Roma, e quello che in essa è da notare: dove si considera, intra molte altre cose, come si può o salvare, per simile accidente, o oppressare una republica.
    • XLVII. Gli uomini, come che s'ingannino ne' generali, nei particulari non s'ingannono.
    • XLIX. Se quelle cittadi che hanno avuto il principio libero, come Roma, hanno difficultà a trovare legge che le mantenghino: quelle che lo hanno immediate servo, ne hanno quasi una impossibilità.
    • LVIII. La moltitudine è più savia e più costante che uno principe.
    • LX. Come il consolato e qualunque altro magistrato in Roma si dava sanza rispetto di età.
      
      
  • LIBRO SECONDO.
    • Proemio del secondo libro.
    • X. I danari non sono il nervo della guerra, secondo che è la comune opinione.
    • XII. S'egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire o aspettare la guerra.
    • XIII. Che si viene di bassa a gran fortuna più con la fraude che con la forza.
    • XIV. Ingannansi molte volte gli uomini, credendo con la umilità vincere la superbia.
    • XV. Gli stati deboli sempre fiano ambigui nel risolversi: e sempre le diliberazioni lente sono nocive.
    • XIX. Che gli acquisti nelle republiche non bene ordinate, e che secondo la romana virtù non procedano, sono a ruina, non ad esaltazione di esse.
    • XXIV. Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili.
      
      
  • LIBRO TERZO.
    • XVII. Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi in amministrazione e governo d'importanza.
    • XIX. Se a reggere una moltitudine è più necessario l'ossequio che la pena.
    • XXIV. La prolungazione degl'imperi fece serva Roma.

---

Crediti

Fonte a stampa	TRATTO DA: Opere / Francesco Guicciardini. Comprende: VIII: Scritti politici e Ricordi a cura di Roberto Palmarocchi Collezione: Scrittori d'Italia G. Laterza Editore, Bari, 1933.
Fonte della trascrizione elettronica	Liber Liber - Progetto Manuzio
Marcatura ETML	Redazione IntraText

---

IntraText® (V89) © 1996-2005 EuloTech
[2005 06 17]