Poiché la spedizione doveva avere
una Intendenza, questa fu formata sul serio, benché in verità, la cassa di
guerra non contenesse che trentamila povere lire. E vi fu messo a capo Giovanni
Acerbi, avanzo dei martirii di Mantova, il quale andava rivendicando nelle
cospirazioni e nelle guerre l'onor del nome, macchiato da uno del casato che
aveva venduto l'ingegno e le lettere all'Austria, prima ch'egli nascesse. Aveva
compagni Ippolito Nievo, Paolo Bovi, Francesco De Maestri e Carlo Rodi, tre
veterani questi ultimi, mutilati ciascuno d'un braccio, che parevano
intervenuti per dire ai giovani: «Vedete che cosa ci si guadagna? Eppure non fa
male!» In quanto al Nievo andava tra quella gente, per dir così, come Orfeo tra
gli Argonauti. Chi lo guardava indovinava che era già grande, o che era
destinato a divenirlo. Egli era noto per due suoi romanzi sentimentali: 'Angelo
di bontà' e 'Il conte pecoraio'; e anche si sapeva da qualche amico suo che ei
stava lavorando alle sue maravigliose 'Confessioni d'un Ottuagenario', e che le
lasciava imperfette per accorrere alla grande impresa. Diceva egli stesso che
gli sarebbe tanto rincresciuto morire senza averle finite! Nel 1859 aveva
cantati gli 'Amori garibaldini', liriche scintillanti come spade, scritte
sull'arcione cavalcando alla guerra di Lombardia, e stampate sul punto di
partire per la Sicilia. E, 'Partendo per la Sicilia', fu appunto il titolo che
egli dava all'ultima, non uscita dal suo petto ma rappresentata nella pagina da
una fila di interrogativi. Forse egli presentiva che non sarebbe più ritornato?
Difatti spariva dal mondo nel marzo del 1861, in una notte di tempesta nel
Tirreno, con un vapore che fu ingoiato, passeggeri e tutto, dalle acque. Perì
in lui il poeta che avrebbe cantato davvero l'Epopea garibaldina; e un cadavere
che fu creduto lui, venne poi trovato sulla riva d'Ischia, l'isola dei poeti.
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