Tutto cominciava ad andare per
bene: solo sembrava strano che la spedizione continuasse a stare a perdere un
tempo prezioso.
Ma nel pomeriggio dell'8 corse
vagamente la voce che Garibaldi avesse deliberato di gettarsi nel Pontificio,
per marciare senz'altro su Roma. Una sessantina di uomini, presi qua e là nelle
campagne e raccolti in drappello, erano partiti sin dalla sera avanti, per la
strada che, girando il golfo, mena da Talamone in Maremma. Marciava alla loro
testa un Zambanchi. Era un forlivese già sulla cinquantina, quadrato, barbuto,
di poca testa, assai rozzo e millantatore. E aveva fama d'esser uomo di sangue,
perché nel '49, a Roma, era stato crudo contro tre preti, i quali, volendo
entrare nelle città travestiti da contadini, avevano dato del capo nei suoi
avamposti. Egli li aveva tenuti prigionieri; poi, senza averne ordine dal
Governo, gli aveva fatti fucilare. Per tal suo fatto gli pesava addosso
l'accusa di sterminatore di preti e frati, e sin d'averne colmato un pozzo.
A chi non sapeva tutto, pareva
che quella compagnia fosse l'avanguardia, e che la spedizione dovesse tenerle
dietro. E i più giovani lo credevano, ma gli anziani no. Delle otto compagnie,
Garibaldi ne aveva affidate tre a comandanti siciliani, una ad un calabrese;
ora come poteva darsi che egli volesse far loro il torto di non andare in
Sicilia? Però il fatto che quel piccolo drappello se n'era andato per entrare
nel Pontificio a farvisi distruggere forse ai primi passi, se tutta la
spedizione non lo volesse seguire, non si capiva. Vi era chi diceva che
Garibaldi avesse fatto così, per levarsi dai piedi quel Zambianchi che gli era odioso:
ma altri faceva osservare che forse si esagerava perché non a un uomo così
fatto Garibaldi avrebbe dato da condurre quel manipolo, in cui si erano trovati
a dover andare dei giovani come il Guerzoni, il Leardi, il Locatelli, il
Ferrari, il Fumagalli, il Pittaluga, e avvocati, scrittori, scultori, e quattro
medici come Fochi, Bandini e Soncini da Parma, e Cantoni da Pavia, e tanti
altri, proprio gente già di conto. Pensavano forse meglio quelli che dicevano
che il Generale aveva mandato quel manipolo nel Pontificio affinché n'andasse
la voce a Roma e a Napoli, a generar confusione in quei governi; e che quanto
al Zambianchi qualcuno, forse il Guerzoni, avesse l'ordine di levargli il
comando, se mai venisse l'occasione di doversene liberare per qualche suo
sproposito o qualche violenza.
Verso sera le trombe suonarono,
le compagnie si ordinarono, scesero al porto, tornarono a imbarcarsi sui due
vapori. Quella tornata a bordo levò via ogni dubbio. E allora nacque negli
animi una generosa pietà per i compagni partiti. Che brava gente! Avevano
compìto il più duro sacrificio che si potesse ideare: perdevano la vista di Lui
e l'epopea che s'erano sentita nel pensiero, per andar a crearne un episodio
oscuro, non sapevano dove, pochi, bene armati, ma condotti da un uomo disamato.
Parlando d'essi, molti confessavano che comandati a quel passo non avrebbero
ubbidito; ma i più lodavano l'ubbidienza di quei sessanta come indizio di gran
virtù, e testimonianza del più alto valore.
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