Garibaldi aveva fretta di
partire, ma non aveva fatto imbarcare le compagnie per questo. Alcuni dei suoi
uomini per cattiveria o per braveria, avevano dato noia a qualcuno di Talamone,
ond'egli, sdegnato, si era risolto a levar tutti da terra. Così i due vapori
stettero carichi all'ancora tutta la notte dall'8 al 9; e solo all'alba
salparono pel golfo a Santo Stefano, breve tratto. La cittadetta si svegliava.
Viste dal porto, le sue case parevano edificate l'una a inseguir l'altra su su,
per arrivare in alto a trovar i giardini, i vigneti, gli oliveti pensili tra le
rocce.
Vi scesero Bixio, Schiaffino e
Bandi, per andare ai magazzini del governo, e in qualche modo farsi dare
carbone, perché la traversata della Sicilia era ancora lunga, e poteva anche
capitare di dover andare chi sa quanti giorni, fuggendo di qua e di là pel
Mediterraneo, perseguitati dalle navi napoletane. Il Bandi s'accostò al custode
dei magazzini e cominciò colle buone a tentarlo. Ormai sapevano tutti colà che
Orbetello aveva dato armi, e in quei giorni quel custode poteva fare uno
strappo anch'egli ai regolamenti. Ma colui nicchiava, e il Bandi non riusciva a
convincerlo. Allora gli cadde là Bixio, che preso al petto il custode fedele,
lo scosse un poco, e, miracoli di quell'uomo, il carbone andò a bordo per dir
così da sé. E andarono a bordo e viveri e barili d'acqua. V'andarono anche per
imbarcarsi stormi di bersaglieri, ma Garibaldi aveva promesso all maggior
Pinelli di respingerli, e non li volle. Tre soli che poterono salire a nascondersi
sul Lombardo, seguirono la spedizione, e divennero poi ufficiali dei migliori
nella bella compagnia.
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