Durante una breve sosta, che fu
fatta fare alla colonna, passò l'ordine di mandar la bandiera al centro della
7° Compagnia, quella del Cairoli. Da Marsala fin là, quella bandiera l'aveva
custodita la 6° del Carini. E la portava Giuseppe Campo palermitano, uno che
nell'ottobre avanti aveva tentato la rivoluzione a Bagheria presso Palermo, e
che lasciato quasi solo era fuggito dall'isola a Genova. Ma ora tornava
portabandiera dei Mille. Egli dunque con sei militi della 6° andò al centro
della 7° salutato da questa con molto onore. E allora alla bandiera fu tolto
per la prima volta l'incerato da Stefano Gatti mantovano. Sfavillarono al sole
da una parte del drappo, ricchissimi nei tre colori, emblemi d'argento e d'oro
che figuravano catene infrante e cannoni ed armi d'ogni sorta, con su
un'Italia, in forma d'una bellissima donna trionfante colla corona turrita. E
dall'altra parte, a lettere romane trapunte in oro, spiccava questa leggenda:
A Giuseppe Garibaldi
Gli Italiani residenti a
Valparaiso
1855.
Su tre grandi nastri pendenti
dalla cima dell'asta tutto bullettine d'oro, brillavano pure d'oro tre parole
che allora facevano sospirare come roba da sogni impossibili ad avverarsi, tre
cose che ora perché si hanno pare siano sempre esistite: 'Indipendenza,
Unità, Libertà'. Allora volevano esprimere semplicemente
delle speranze e dei voti, ma dicevano insieme che i donatori di quella
bandiera, in quelle terre d'America da dove veniva, tra i nativi e gli
stranieri, sentivano più amari che in Italia il rammarico, la vergogna, il
danno di non avere un nome patrio come gli inglesi, i francesi, gli spagnuoli,
tutti gli europei emigrati come loro, pur sentendosi, da lavoratori, pari e
forse migliori. Ciò forse avevano voluto significare a Garibaldi, mentre egli
dolente era passato pei porti del Pacifico: ed egli ora in quell'angusta
valletta siciliana, tra gente nata e tenuta nell'ignoranza dell'esistenza
d'un'Italia, sventolava quella bandiera e gettava le sorti della nazione.
Fatto un altro po' di cammino, la
colonna giungeva a Vita, piccolo borgo, case rustiche, molte catapecchie, una
chiesa. Parecchi di quelli che posarono l'occhio su quella chiesa, non
immaginarono di certo che la sera di quel giorno vi sarebbero stati portati
dentro feriti, a patire, a veder morire, a morire. Faceva brutto senso veder la
gente di quel borgo fuggire a gruppi, a famiglie intere, trascinare i vecchi e
pigliare i monti, carica di masserizie, mandando lamenti. Pareva che fuggissero
a un'invasione di barbari. Ma quella gente sapeva cosa c'era là vicino e
ricordava eccidii recenti. La colonna traversò il borgo, e poco distante fece
alto.
Passò Garibaldi frettoloso;
domandò se le Compagnie avessero mangiato; se no, mangiassero pure. Ma che
cosa? Senza scomporre troppo gli ordini, e anche ridendo giocondamente, chi
volle si adagiò, e si misero tutti a sbocconcellare il loro pane: molti
sbrancarono alquanto in certi piccoli campi di fave lì ai lati della via, e con
quel companatico fecero il loro pasto.
Allora furono viste alcune Guide tornar
trottando per lo stradale che si stendeva innanzi. Tra quelle il sessagenario
Alessandro Fasola pareva ringiovanito. Poi fu un correre di cavalli dal luogo
dove stava Garibaldi alle Compagnie, e subito s'udirono due squilli di tromba.
Tutti a posto e via come stormi, pigliarono quasi a volo un colle a destra
brullo, ronchioso, arso dal sole. Vi si piantarono in cima ordinati.
E di lassù, oltre una breve
convalle, forse a duemila metri, videro su di un altro colle rimpetto schierato
il nemico. Era un balenio d'armi che coronava la vetta gran tratto; due macchie
scure parevano due cannoni; certe linee nette profilate nel fianco del colle
facevano indovinare dei terrazzi sostenuti forse da muri a secco; filiere di
fichi d'India rotte qua e là si spandevano dal ciglio d'alcuni di quei
terrazzi; forse nascondevano delle linee di soldati. Su di un balzo del colle
sorgeva una casetta; pochi alberi grami lassù; in molti punti pareva la roccia
nuda.
Di là da quel colle facevano
sfondo alti monti. Grigio, con aspetto più di rovina che d'abitato, si vedeva
lontano in alto, a pie' d'un castello, un gruppo grande di case, che non si
sapeva ancora chiamare Calatafimi. Nelle gole dei monti a sinistra
formicolavano turbe di gente; le squadre partite da Salemi erano anch'esse
lassù; ogni tanto vi scoppiavano delle grida.
E quelli dall'altra parte, i
napolitani, videro anch'essi e lo narrarono poi per anni. Videro quella linea
che s'era formata rimpetto a loro con movimenti non soliti tra gli insorti,
rotta a tratti da macchie rosse. E stupirono. Non capivano cosa volessero dire,
o dubitavano che quei rossi fossero casacche di galeotti fuggiti da non
sapevano quale bagno. I soldati ignoravano che fosse là Garibaldi, ma
s'accorgevano d'essere dinanzi a gente che doveva sapere star in battaglia.
Mancava poco al mezzogiorno.
|