3. Le Guide.
Mancavano i cavalli, né c'era
tempo di far una corsa nella vicina Maremma a pigliarne un branco al laccio, ma
le Guide furono ordinate lo stesso. Erano ventitré. Le comandava il Missori,
l'elegantissimo milanese, passato dal culto delle eleganze a quello delle armi,
e come da prode lo seppero tutti. Basti che in quella guerra l'Italia dovette a
lui e a pochi altri se a Milazzo Garibaldi non fu sopraffatto e ucciso da un
branco di cavalieri napoletani, che essi a rivoltella sgominarono, mentre il
Generale che si trovava a piedi poté, uccidendolo, liberarsi dal capitano di
quelli ruinatogli addosso furioso, menando fendenti.
Sergente delle Guide era
Francesco Nullo, il più bell'uomo della spedizione. Aveva trentaquattro anni,
era mercante come Francesco Ferrucci. Allora gli entrò la passione di cavalier di
ventura dell'umanità, e non ebbe più requie finché non gliela diede tre anni di
poi, nel cimitero di Miekov, il generale russo che ve lo seppellì con onori
militari da generale pari suo. Sapeva quel russo di dover andare punito nel
Caucaso, ma nonostante, a quella nobile figura di morto volle mostrare il suo
nobile cuore di uomo.
Compagni più che sottoposti al
Missori e al Nullo, erano certi degni uomini come Giovan Maria Damiani da
Piacenza, che a sedici anni aveva combattuto a Novara, dove gli era morto un
fratello; e Giuseppe Nuvolari da Roncoferraro nel Mantovano ricchissimo di
possessioni e già sui quaranta; due puritani, niente allegri, provati
nell'esilio, pensierosi sempre, quasi scontrosi.
Semplice guida era Emilio Zasio
da Pralboino, di ventinove anni, che uscito di modesta casa pareva figlio di
principi, tanto ambiva le cose signorili; fantastico, impetuoso, temerario e
nell'amare e nel volere sempre grandioso. Luigi Martignoli, da Lodi come
Fanfulla, che a trentatré anni doveva morire a Calatafimi, somigliava un po' al
Zasio nel portamento non nella bellezza; ma bello ancor più di Zasio era il
conte Filippo Manci da Poro nel Trentino, giovinetto di ventun anni. Tutti e
due furono infelici. Sopravvissuti a quelle guerre e alle altre venute dopo, dovevano
finire quasi insieme nel 1869, col raggio della mente già spento per dolori
così crudeli, specie quelli del Manci, che chi li conobbe ingiuriò la morte
perché non se li aveva presi quando le andavano incontro sani d'anima e lieti.
E poi tra quelle Guide erano
scritti l'avvocato Filippo Tranquillini e Egisto Bezzi trentini anch'essi come
il Manci; Domenico Cariolato da Vicenza, che di ventiquattro anni era già un
veterano della difesa di Roma; il medico Camillo Chizzolini da Marcaria e
l'ingegnere Luigi Daccò da Marcignano giovanissimi tutti, che parevano figli
del sessagenario Alessandro Fasola novarese, già carbonaro nel 1821 col
Santarosa, profugo, poi soldato di tutte le guerre sino a quella del 1859, e
che ora correva a quell'impresa romanzesca con la baldanza d'un giovanetto che
fa la sua prima volata fuori casa.
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