12. Lo sbarco.
E poco appresso il Piemonte
imboccava il porto, e vi si andava a posare in mezzo come in luogo suo. Bixio, nella
rapina dell'animo tempestosa, lanciò il Lombardo come un cavallo sfrenato,
andasse pure ad investire, a spaccarsi, magari a sommergersi, tanto meglio!
Così, una volta sbarcati, quelli che vi stavan su avrebbero capito che non
v'era più via di ritorno. E si fermò così fuori del molo destro, a poche
braccia da quella riva. Era il tocco dopo mezzodì. Nessuna poesia potrà mai
dire l'anima di quella gente in quell'ora.
Ecco il momento degli uomini di
mare. Benedetto Castiglia, capo della marineria da guerra sicula nel 1848;
capitano Andrea Rossi da Diano Marina, capitan Giuseppe Gastaldi da Porto
Maurizio, Burattini, Assi, Sgarallino, Schiaffino e tutti quelli che com'essi
erano marinai, scesero a raccoglier nel porto quante barche vi si trovavano. E
per amore o per forza le fecero lavorare.
Bisognava far presto a levar la
gente e le poche cose da guerra e le artiglierie dai due vapori, perché in men
di due ore quelle navi che si vedevano sempre più vicine potevano giungere a
tiro e fare una strage. Intorno al Lombardo e al Piemonte parve un finimondo.
Intanto Turr con Missori,
Pentasuglia, Argentino, Bruzzesi, Manin, Miocchi, discesi primi, salirono alla
città, su cui cominciavano a sventolare bandiere d'altre nazioni, ma le più
inglesi. E dalla città alcuni cittadini calavano al porto timidamente. Dei
ragazzi li precedevano a corsa; sopraggiungevano frati bianchi, che davano
poderose strette di mano a quegli strani forestieri sbarcati in armi e tutti
vestiti alla borghese, salvo pochi in qualche divisa piemontese o in camicia
rossa, forse una cinquantina. E quei frati facevano delle domande strane, da
curiosi ma semplici; e udendo da uno dir che era di Venezia, da un altro di
Genova, di Milano, di Roma, di Bergamo, inarcavano le ciglia, maravigliati come
se l'esser essi potuti giungere nella loro Sicilia da quelle città, fosse cosa
quasi fuori del naturale.
In un'ora o in un'ora e mezzo al
più, tutta la spedizione fu a terra. Qualcuno si ricordò che quel giorno era
venerdì, malaugurio; qualcun altro disse che era pur venerdì il giorno in cui
Colombo partì da Palos, e che andassero al vento le superstizioni...! Ma a un
tratto tuonò una prima cannonata. Le navi borboniche giungevano a tiro.
Erano tre: due a vapore più
vicine, la terza a vela tirata a rimorchio da una di esse e lasciata poi
indietro per far più alla lesta. Ma anche quella si avvicinava. E avrebbe
potuto tirar qualche poco prima, ma avevano indugiato alquanto i lor fuochi,
perché i due legni inglesi Argus e Intrepid ancorati nel porto avevano pregato
a segnali di bandiere di non tirare, finché i loro uffiiciali da terra non
fossero tornati a bordo. Difatti dei marinai in calzoni bianchi uscivano da
Marsala e scendevano frettolosi al mare. E allora quelle navi cominciarono a
sfogarsi contro gli sbarcati, le due a vapore con tiri quasi in cadenza, quella
a vela addirittura a fiancate.
Però i loro proiettili o davano
in acqua, sguisciando poi a rotolar sulla riva già mezzi morti, o non
oltrepassavano guari la linea del molo. Cadde qualche granata in mezzo alle
compagnie già ordinate, ma queste pronte, si gettarono a terra e lasciarono
scoppiare: una di quelle colpì e sfasciò mezzo un casotto da doganieri del
molo; un'altra fece tremare la settima Compagnia, passandole parallela alla
fronte, così che due braccia più a sinistra la mieteva tutta. «Alte le teste!»
gridò Cairoli; e la Compagnia stette salda.
Alfine fu dato il comando di
salire alla città. Manin e Maiocchi regolavano la corsa a gruppi. Un po' curvi,
un po' carponi, un po' ritti, regolandosi alle vampate dei cannoni nemici,
correvano quei gruppi su per il pendio verso la porta della città e vi
entravano. Cara Marsala! E di qua e di là si spandevano per le vie traverse,
perché in faccia a quella maestra era andata a porsi una delle fregate, e tentava,
coi suoi tiri, d'infilare la porta. Poca gente per quelle vie; degli usci si
chiudevano; dalle soglie d'altri usci e dalle finestre donne e uomini
guardavano paurosi; e ve n'erano che applaudivano, i più parevano gente
trasognata.
Garibaldi, sbarcato degli ultimi,
saliva anch'egli ma lento alla città, portando la sciabola sulla spalla come un
contadino la zappa. E ogni poco si volgeva a guardar il porto. Gusmaroli e
altri pochi che lo seguivano, avrebbero voluto portarlo via di peso dal
pericolo d'essere ucciso o soltanto ferito in quel primo istante. Senza di lui
non si sapeva cosa sarebbe stato di quel gruppo d'uomini, fossero pur molti i
grandi e i forti tra loro. Egli da solo era un esercito. Ma nessuno osava
dirgli che si guardasse, nessuno, neppur Bixio, venuto via addirittura l'ultimo
da bordo. Egli aveva voluto prima far portare a terra tutto ciò che gli era
parso buono a qualcosa, poi non avendo più nulla da farvi, aperti egli stesso i
rubinetti delle macchine affinché il Lombardo s'empisse d'acqua, era disceso.
Intanto le navi borboniche
continuavano a tirare. E fu saputo subito che le due fregate a vapore si
chiamavano Stromboli e Capri, e che quella a vela, tanto maestosa, era la
Partenope. Ah! La Stromboli! V'erano tra gli sbarcati quei tali sette che vi
avevano navigato su nel 1859 fino a Cadice, con gli altri deportati che
dovevano andare a finire in America. Ora la riconoscevano ai profili. Non erano
più quei tempi, sebbene fossero ancora tanto vicini: né era più l'11 luglio del
1849, quando, comandata da un Salazar, la Stromboli aveva inseguito i
trabaccoli siciliani che, fallito loro lo sbarco in Calabria, andavano a
rifugiarsi nelle Ionie. Lo Stromboli allora aveva issato bandiera inglese,
perfidamente ingannando quei siciliani, e li aveva catturati e condotti a
lunghe pene nelle carceri dei Borboni. Adesso era lì mortificata con quegli
altri due legni, cui non restava che pigliarsi il Piemonte per menarlo via.
Quanto al Lombardo l'avrebbero dovuto lasciar là giacere, come un mostro marino
sputato sulla spiaggia.
Testimoni di quei fatti stettero
i due vapori inglesi, ammirando la discesa e la prontezza e l'ordine con cui
tutto era avvenuto. E non sapevano che si sarebbe subito gridato e ripetuto poi
lungamente pel mondo che essi avevano aiutato Garibaldi, e che anzi per
aiutarlo s'erano trovati là apposta. Furono voci false. L'Argus stava in quel
porto da parecchi giorni per proteggere gli inglesi residenti in Marsala,
L'Intrepid v'era giunto di passaggio da poche ore, e poche ore dopo se n'andava
per Malta.
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