2. A Salemi.
A levata di sole, il giorno
appresso che era domenica, la colonna si mise in cammino. Andava alla testa la
1° Compagnia con Bixio, il quale aveva l'ordine d'avanzarsi fino a Salemi,
grosso borgo che fu presto veduto apparire lontano in cima a un monte. Bella
vista a guardarlo, ma poveri petti! La salita lassù fu faticosissima e lunga;
però, quando le compagnie vi giunsero, provarono un forte compiacimento. Tutta
la gente aspettava gridando: «Garibaldi! Garibaldi!» storpiandone il nome con
alterazioni strane; ma insomma era un vero delirio. E le campane squillavano a
festa; e una banda suonava delle arie eroiche. Via via che le compagnie
giungevano nella piazza, si trovavano avvolte da uomini, da donne, persin da
preti; e tutti abbracciavano, molti baciavano, molti porgevano boccali di vino
e cedri meravigliosi. Ma v'erano anche dei poveretti, troppi! i quali
stendevano la mano per dar a capire d'aver fame, facevano certi segni da parer
nemici se non fossero stati i loro occhi pieni di umiltà. - E noi pure abbiamo
fame! - rispondevano quei soldati stizziti, ma parecchi davano degli spiccioli
a quella povera gente, che largiva loro dell'Eccellenza.
E Garibaldi qual è? Domandava la
folla. Passava Turr. E' questo? No. Passava Carini. Dunque sarà questo? No.
Ognuno dei più belli e prestanti tra i grandi della spedizione, per essa doveva
essere Garibaldi. Chi sa quale se lo immaginavano! Ma quando lo videro, quei
siciliani quasi quasi si inginocchiarono. Oh che viso, che testa, che santo!
Egli sorridendo si levò come poté dalla turba, e andò a mettersi al suo lavoro.
Cominciava così a formarsi
intorno a lui la leggenda che pigliò poi tante forme; da quella che un angelo
gli parasse le schioppettate, a quell'altra che fosse parente di Santa Rosalia
e fin suo fratello.
Stettero poco a giungere delle
cavalcate da tutte le parti, e poi drappelli di insorti come quei della notte avanti,
a cento, ducento, trecento; e chi portava lo schioppo ancora a pietra focaia,
chi la doppietta, chi fino il trombone. I più erano armati di picche, e tutti
insieme, per quelle viuzze a salite e discese ripide, facevano un chiasso più
da sagra che da rivoluzione. Ma si udivano anche delle grida ingiuriose ai
Borboni, e delle canzoni che ferivano il nome di Sofia regina. E spiacevano.
Dopo mezzodì fu affisso alle
cantonate un proclama.
Ah! Ora dunque tutto è nelle mani
sue! - dicevano i militi, e pareva loro che quel titolo di Dittatore infondesse
una forza di disciplina superba. E pensavano al nemico. Non si sarebbe fatto
vedere! O bisognava andare a trovarlo? Già, di salir lassù a Salemi per trovar
loro, non avrebbe certo tentato. Chi sapeva mai! Ma a buon conto, già dalle
prime ore, erano partiti per gli avamposti i Carabinieri genovesi, e più
lontano ancora era andata una mezza squadra della Compagnie di Bixio. In quella
squadra, comandata dal giovanissimo Ettore Filippini veneziano, si trovavano da
semplici militi Raniero Taddei ingegnere e Antonio Ottavi tutt'e due da Reggio
Emilia, ufficiali esperti e considerati nelle guerre passate; e così da quella
parte il servizio di campo era bene affidato.
Intanto gli artiglieri avevano
già piantato alla meglio una sorta di officina, dove lavoravano a costruir gli
affusti pei canoni di Orbetello. Giuseppe Orlando e Achille Campo, coi soli e
primitivi strumenti che avevano potuto trovare dai carrai di Salemi riuscivano
a far miracoli di meccanica; e il giorno dipoi i tre cannoni e la colubrina,
rimessa un po' a nuovo anch'essa sul suo carretto, facevano buona promessa che
nello sparo non si sarebbero, rimboccandosi indietro, avventati addosso ai loro
serventi.
E quel giorno fu veduto giungere
in Salemi un giovane monaco, raggiante di quell'allegrezza che ognuno ricorda
d'aver letto in viso ai sacerdoti del '48. Chi non aveva udito benedire la
patria da qualche pulpito, in quell'anno che pareva ancora tanto vicino? E poi
appresso, dall'oggi al domani, le chiese erano divenute mute. Pio IX s'era
disdetto, e la coscienza delle moltitudini tra la patria e la religione s'era
confusa. Pure, a non lungo andare, le moltitudini avevano poi ripreso lume da
sé, e poiché la patria doveva a ogni modo rifarsi, o s'erano messe ad aiutar la
grand'opera, o se non altro avevano lasciato che si andasse svolgendo,
spettatrici non ostili né indifferenti. Ma laggiù nell'isola, dove il clero
viveva ancora delle passioni civili del popolo, i sacerdoti in generale erano
caldi patriotti.
Quel monaco si chiamava fra
Pantaleo. Era un bello e robusto giovane di forse trent'anni, che parlava come
se fosse uscito allora da un cenacolo miracoloso, donde avesse portato via il
fuoco degli apostoli nell'anima e nella lingua. Piacque ma non a tutti. Tra
quella gente dell'alta Italia, v'erano i diffidenti e gli avversi per sistema
agli uomini di chiesa; ma poiché Garibaldi accolse bene il monaco, e lo chiamò
l'Ugo Bassi delle sue nuove legioni, anche quelli rispettarono il frate e lo
lasciarono predicare. Intanto riconoscevano che la parola di lui immaginosa e
ardente era una forza di più.
Continuavano ad arrivare squadre
alla spicciolata, e tra quello scorcio di giornata e tutta l'altra appresso si
poté calcolare alla grossa che quegli insorti fossero già due migliaia. Non
dovevano essersi mossi da lontanissimo, anzi era da presumersi che fossero
tutti della estrema parte occidentale dell'isola; dunque una volta che
Garibaldi si fosse avanzato verso il centro, si sarebbe trovato tra popoli che
avrebbero fatto levar su il fiore della gioventù pronta a seguirlo. Frattanto
quelli che erano già lì si mostravano ossequenti, guatavano con occhio cupido i
fucili del Mille, che per quanto meschini erano sempre armi da guerra; ma
discorrendo di fatti d'arme, essi così saldi a star al fuoco e a sparar da
fermi contro il nemico, essi così destri e fieri nei loro duelli ad armi corte,
se sentivano parlar d'attacchi alla baionetta, quasi raccapricciavano.
Piovve dirotto tutta la notte tra
il 13 e il 14, e poi tutto quanto questo giorno con tedio grande e grande
stizza di tutti, perché il mal tempo li faceva indugiar lassù in quell'ozio. Ed
essi erano tormentati da un desiderio inquieto di trovarsi alla prima prova,
per esperimentare il nemico con cui avevano da fare, e di cui, non sapendo
nulla di preciso, sentivano dir le cose più stravaganti. Neppur dagli avamposti
avevano segno che fosse in movimento. Che faceva?
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