Era nela stagion
quando ha tra noi
più lunga vita il
giorno
e l'ombra ai
tronchi intorno
stende minori assai
gli spazi suoi;
allor che 'l sol
congiunto
con la stella che
rugge
dal più sublime
punto
saetta i campi, e i
fiori uccide e strugge;
ed era l'ora apunto
quando con linea
egual la rota ardente
tien fra l'orto il
suo centro e l'occidente.
Io tutto acceso
d'amoroso affetto
col cor tremante in
seno
stavami in parte e
pieno
di desir, di
speranza e di diletto,
gìa misurando l'ore
del mio promesso
bene.
Fortunate dimore,
onde poscia il
piacer doppio diviene!
Son le tue gioie,
Amore,
tanto bramate più,
quanto più rare,
tanto aspettate
più, tanto più care.
Quinci con mente
cupida e confusa
e gelava ed ardea;
dela finestra avea
l'una parte
appannata e l'altra chiusa.
Qual suol lume che
scende
torbido in folto
bosco,
o qual sul'alba
splende
misto ala notte il
dì tra chiaro e fosco,
con tal luce
s'attende,
perché 'l rossor si
celi e la paura,
vergognosa
fanciulla e mal secura.
Ed ecco allor soletta
a me vid'io
venir Lilla la
bella,
Lilla la
verginella,
la mia fiamma, il
mio sol, l'idolo mio.
Succinta gonna e
breve,
quasi al più chiaro
cielo
nebbia sottile e
lieve,
ombra le fea d'un
candidetto velo;
onde di viva neve
le membra,
ch'onestà nasconde e chiude,
eran pur ricoverte
e parean nude.
Tra le braccia la
strinsi, in sen l'accolsi;
del'odorato lino
l'abito pellegrino
con frettolosa man
le scinsi e sciolsi.
E benché frale
spoglia
fusse fren maltenace
a sì rapida voglia,
non fu però ch'io la
sciogliessi in pace.
Sdegno, alterezza e
doglia
ne' begli occhi
mostrò; pugnò, contese:
dolci risse, onte
care e care offese.
Vidi per prova
allor, sì come e quanto
mal volentier contrasta
o ritrosetta o
casta
vergine, e qual sia
l'ira e quale il pianto.
Falso pianto, ira
finta:
ancorché pugni e
neghi,
vuol pugnando esser
vinta;
son le scaltre
repulse inviti e preghi.
Di scorno il viso
tinta,
dar non vuol mai né
tor la giovinetta
ciò che brama in
suo cor, se non costretta.
Corsi ale labra e,
quant'ardente ardito,
con grata allor,
non grave
violenza soave
più d'un spirto
gentil n'ebbi rapito.
E la bocca divina,
pur contendente i
baci,
crucciosa ala
rapina,
gli prendea tronchi
e gli rendea mordaci.
Ma chiunque destina
ai baci amor, né
varca oltra quel segno,
quegli è de' baci
stessi ancora indegno.
Qual mi fess'io,
ciò ch'io scorgessi in lei,
poiché le falde
intatte
del'animato latte
si svelaro, o
beati, agli occhi miei,
ridir né so né
voglio.
Mille oltraggi
diversi
da quel tenero
orgoglio,
mille ingiurie
innocenti allor soffersi.
Ma, qual fra l'onde
scoglio,
alcuna parte dei
mio seno ignudo
dala candida man mi
facea scudo.
Lentato il morso
al'avido desire
(o dolcezze, o
bellezze,
o bellezze, o
dolcezze)
m'apersi il varco
al'ultimo gioire.
Quivi a sfiorar
m'accinsi
l'orto d'amor pian
piano
e nel suo chiuso
spinsi
l'ardita mia
violatrice mano.
Dolce meco la
strinsi,
appellandola pur
luce gradita,
gioia, speranza,
core, anima e vita.
«Che fai crudel?,
dicea, crudel che fai?
Dunque me, che
t'adoro,
del mio maggior
tesoro,
del maggior pregio
impoverir vorrai?
Tu signor del
volere,
tu possessor
del'alma,
a che cerchi
d'avere
dela parte più vil
men degna palma?
Ahi, per sozzo
piacere
non curi, ingordo
di furtive prede,
di macchiar la mia
fama e la tua fede?»
Tre volte a questo
dir giunto assai presso
ale dolcezze
estreme,
qual'uom che brama
e teme,
fui de' conforti
miei scarso a me stesso,
e, del suo duol
pietoso,
il mio piacer
sostenni.
Pur del corso
amoroso
ala meta soave al
fin pervenni,
ed al'impetuoso
desir cedendo il
fren libero in tutto,
colsi il suo fiore
e de' miei pianti il frutto.
Ala piaga d'Amor
cadde trafitta
e, vinta al dolce
assalto,
di bel purpureo
smalto
rigò le piume, inun
lieta ed afflitta.
Io vincitor guerriero
dela nemica
essangue
quasi in trionfo
altero
portai nel'armi e
nele spoglie il sangue .
Così l'alato
arciero
l'arsura in me
temprò cocente e viva
dela fiamma amorosa
e del'estiva.
Canzon, lasciar
intatta
da sé partire amata
donna e bella
non cortesia, ma
villania s'appella.
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