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Giovan Battista Marino
Amori

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  • 45 - Trastulli estivi
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45 - Trastulli estivi

 

Era nela stagion quando ha tra noi

più lunga vita il giorno

e l'ombra ai tronchi intorno

stende minori assai gli spazi suoi;

allor che 'l sol congiunto

con la stella che rugge

dal più sublime punto

saetta i campi, e i fiori uccide e strugge;

ed era l'ora apunto

quando con linea egual la rota ardente

tien fra l'orto il suo centro e l'occidente.

 

Io tutto acceso d'amoroso affetto

col cor tremante in seno

stavami in parte e pieno

di desir, di speranza e di diletto,

gìa misurando l'ore

del mio promesso bene.

Fortunate dimore,

onde poscia il piacer doppio diviene!

Son le tue gioie, Amore,

tanto bramate più, quanto più rare,

tanto aspettate più, tanto più care.

 

Quinci con mente cupida e confusa

e gelava ed ardea;

dela finestra avea

l'una parte appannata e l'altra chiusa.

Qual suol lume che scende

torbido in folto bosco,

o qual sul'alba splende

misto ala notte il dì tra chiaro e fosco,

con tal luce s'attende,

perché 'l rossor si celi e la paura,

vergognosa fanciulla e mal secura.

 

Ed ecco allor soletta a me vid'io

venir Lilla la bella,

Lilla la verginella,

la mia fiamma, il mio sol, l'idolo mio.

Succinta gonna e breve,

quasi al più chiaro cielo

nebbia sottile e lieve,

ombra le fea d'un candidetto velo;

onde di viva neve

le membra, ch'onestà nasconde e chiude,

eran pur ricoverte e parean nude.

 

Tra le braccia la strinsi, in sen l'accolsi;

del'odorato lino

l'abito pellegrino

con frettolosa man le scinsi e sciolsi.

E benché frale spoglia

fusse fren maltenace

a sì rapida voglia,

non fu però ch'io la sciogliessi in pace.

Sdegno, alterezza e doglia

ne' begli occhi mostrò; pugnò, contese:

dolci risse, onte care e care offese.

 

Vidi per prova allor, sì come e quanto

mal volentier contrasta

o ritrosetta o casta

vergine, e qual sia l'ira e quale il pianto.

Falso pianto, ira finta:

ancorché pugni e neghi,

vuol pugnando esser vinta;

son le scaltre repulse inviti e preghi.

Di scorno il viso tinta,

dar non vuol mai né tor la giovinetta

ciò che brama in suo cor, se non costretta.

 

Corsi ale labra e, quant'ardente ardito,

con grata allor, non grave

violenza soave

più d'un spirto gentil n'ebbi rapito.

E la bocca divina,

pur contendente i baci,

crucciosa ala rapina,

gli prendea tronchi e gli rendea mordaci.

Ma chiunque destina

ai baci amor, né varca oltra quel segno,

quegli è de' baci stessi ancora indegno.

 

Qual mi fess'io, ciò ch'io scorgessi in lei,

poiché le falde intatte

del'animato latte

si svelaro, o beati, agli occhi miei,

ridir né so né voglio.

Mille oltraggi diversi

da quel tenero orgoglio,

mille ingiurie innocenti allor soffersi.

Ma, qual fra l'onde scoglio,

alcuna parte dei mio seno ignudo

dala candida man mi facea scudo.

 

Lentato il morso al'avido desire

(o dolcezze, o bellezze,

o bellezze, o dolcezze)

m'apersi il varco al'ultimo gioire.

Quivi a sfiorar m'accinsi

l'orto d'amor pian piano

e nel suo chiuso spinsi

l'ardita mia violatrice mano.

Dolce meco la strinsi,

appellandola pur luce gradita,

gioia, speranza, core, anima e vita.

 

«Che fai crudel?, dicea, crudel che fai?

Dunque me, che t'adoro,

del mio maggior tesoro,

del maggior pregio impoverir vorrai?

Tu signor del volere,

tu possessor del'alma,

a che cerchi d'avere

dela parte più vil men degna palma?

Ahi, per sozzo piacere

non curi, ingordo di furtive prede,

di macchiar la mia fama e la tua fede?»

 

Tre volte a questo dir giunto assai presso

ale dolcezze estreme,

qual'uom che brama e teme,

fui de' conforti miei scarso a me stesso,

e, del suo duol pietoso,

il mio piacer sostenni.

Pur del corso amoroso

ala meta soave al fin pervenni,

ed al'impetuoso

desir cedendo il fren libero in tutto,

colsi il suo fiore e de' miei pianti il frutto.

 

Ala piaga d'Amor cadde trafitta

e, vinta al dolce assalto,

di bel purpureo smalto

rigò le piume, inun lieta ed afflitta.

Io vincitor guerriero

dela nemica essangue

quasi in trionfo altero

portai nel'armi e nele spoglie il sangue .

Così l'alato arciero

l'arsura in me temprò cocente e viva

dela fiamma amorosa e del'estiva.

 

Canzon, lasciar intatta

da sé partire amata donna e bella

non cortesia, ma villania s'appella.

 

 




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