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1. Iter della pratica.
Il riconoscimento di casa centrale rientrava
nell’ordinamento interno dell’Istituto3 e rispondeva a quanto era stato previsto, fin
dall’inizio, nella fondazione della casa filiale di Venezia.
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La versione dei fatti data
dal Rumor risente di un animus di
parte, da cui lo storico dovrebbe essere esente. L’interpretazione dell’autore,
più che attenersi obiettivamente ai documenti, appare influenzata dallo stato
di tensione creatosi tra Vicenza e Venezia per le successive incomprensioni e
le diverse valutazioni del progetto di unione dei vari Istituti di Suore
Dorotee.
Il Rumor afferma: « La prima […] Casa filiale, quella di Venezia,
lavorava per istaccarsi dal seno materno della Centrale. Tali veramente non
erano stati i patti convenuti all’epoca della fondazione. Da principio si
lavorò alla sordina e poi quando si ebbe la sicurezza di raggiunger lo scopo
Mons. Balbi con lettera 15 luglio 1839 annunziò al Farina di aver ‘fatto
istanza perché questa Casa filiale sia dichiarata centrale’. Gli domandava anzi
con un candore veramente eccessivo un esemplare del suo regolamento da
presentarsi a tal uopo alla R. Delegazione, che glielo avea richiesto, non
trovando ‘conveniente produrre le regole scritte di recente dal conte ab.
Passi, che non sono peranco sancite’».4
Anche le informazioni fornite dal
Caliaro appaiono inesatte. Egli scrive: « Il conte D. Luca […] e mons. Balbi preparavano per conto loro, senza informare il Direttore
D. Antonio, il distacco della Casa Filiale di Venezia dall’Istituto Centrale di
Vicenza. Le pratiche erano state iniziate in forma confidenziale e
privatissima. D. Antonio lo venne a sapere indirettamente da una lettera del
conte Passi, in data 11 marzo 1839».5
Queste affermazioni non trovano riscontro
nei documenti, anzi sono da essi chiaramente smentite.
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Innanzitutto, nell’atto
stesso istitutivo della casa filiale di Venezia era prevista l’elevazione di
essa a casa centrale.
È chiara, al riguardo, la lettera
del 6 agosto 1838 di don Luca. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, qualche
ora dopo il suo arrivo a Venezia insieme con Madre Rachele, per volere di mons.
Balbi egli scrisse al Farina, pregandolo di inviare una lettera, con la quale
autorizzava, a norma del Regolamento, l’apertura di una sua casa filiale in
Venezia, « sino a che S. Em.
non crederà di erigerla in casa centrale ».6
Il Farina il 9 agosto scrisse al
Balbi: « Volentieri acconsento si apra un Istituto
figliale delle Maestre di S. Dorotea a Venezia nella Casa del fu Don Barbaro.
Questa Casa figliale dipenderà intieramente da questa a norma del Cap. 4°,
parte 2ª del nostro Regolamento approvato da S.M. Imp.
R.A. con Decreto 17 8bre 1837 [...]. Spero che, conoscendo
il bene grande dell’Istituto, S. Em. il Patriarca vorrà presto avanzare
all’Ecc.o Governo la domanda per la regolare approvazione,
e così erigere cotesto Istituto a Casa Centrale ».7
Non si comprende, quindi, come possa
affermarsi che non siano stati rispettati « i patti convenuti all’epoca della fondazione ».
Ancora, non si vede come
si possa asserire che all’inizio « si lavorò alla sordina », all’insaputa del Farina, che sarebbe stato
avvertito soltanto quando si era avuta la certezza del raggiungimento dello
scopo.
Già il 6 ottobre 1838 don Luca
scrisse al Farina, che stava per recarsi a Venezia: « Se credesse quando S.M.
viene alla visita di pregarla a volersi interessare presso
S.M. l’Imperatore - 190 -
quando si tratterà di ridurla
Casa Centrale, potrebbe tornar utile ».8
Pertanto il Farina fu interessato
alla cosa, prima ancora che Madre Rachele facesse un passo presso il patriarca
di Venezia, al quale scrisse il 12 ottobre 1838: « Brama [il conte Passi] che
V.ra Eminenza faccia una parola all’Eccelsa nostra Sovrana
o, se l’Eminenza V.ra lo crede, all’Imperatore, onde
ridurre questa Casa, ora figliale, a Centrale, per poter più facilmente promuovere
il bene anche nei paesi vicini ».9
Nello stesso mese di ottobre 1838
mons. Balbi, provicario di Venezia e superiore della casa delle Suore Dorotee,
prese i primi contatti con le autorità governative, per poter avviare la
pratica.
Madre Rachele il 24 ottobre ne
informò subito il Farina, scrivendogli: « Monsignore parlò al Viceré, onde formare questa Casa Centrale, ed
allora si potrà mettere la Scuola a S. Giacomo di Orio, dove ci offrì
l’appartamento il Sig. Console Battaggia ».10
Il promuovere il riconoscimento
della casa di Venezia come centrale non nascondeva affatto il desiderio di
staccarsi da Vicenza. Madre Rachele non vi pensava minimamente, sentendosi
strettamente unita a quell’Istituto. Con sincerità e chiarezza ella afferma che
l’unica intenzione, corrispondente del resto allo spirito e alla lettera del
Regolamento, era di poter promuovere il bene anche nei paesi vicini,11 aprendo altre
case.12
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Il Farina, non solo non
restò all’oscuro dello svolgimento della pratica, ma venne invitato a dare il
suo contributo. Don Luca gli comunicò l’11 marzo 1839: « Scrivo alla Rachele che sollecitino
l’approvazione dell’Instituto e V. S. favorisca dirigerla nel modo da Lei
sperimentato ».13
Il 10 aprile don Luca, a Venezia,
insieme col Balbi, trattò della questione con il viceré Rainieri. In quello
stesso giorno ne informò il Farina e gli chiese copia del decreto imperiale
riguardante la casa di Vicenza.14
Il Balbi inviò al viceré Rainieri l’istanza,15 accompagnata dalla commendatizia (17 aprile
1839) del patriarca Monico,
affinché la casa delle Suore Dorotee di Venezia « possa avere il titolo e le attribuzioni di Casa
centrale, anziché filiale, egualmente che quella già eretta in Vicenza ».16 Assicurava che il riconoscimento apporterebbe grande vantaggio
all’Opera.17
Tre giorni dopo, Madre Rachele
scrisse al Farina: « M’assicuro
che [don Luca] si sarà anche ricordato di annunciarle che hanno presentato le
carte a Sua Altezza, onde far divenire Centrale anche questa Casa, per poter
così estendere altre Case figliali per fare maggior bene ».18
La pratica cominciò a percorrere il
suo iter. Il 28 aprile 1839 l’imperiale regio governo, in riferimento
all’istanza che era stata inoltrata, chiese un dettagliato rapporto alla regia
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delegazione di Venezia che, con lettera del 7 maggio 1839, ne
interessò il Balbi.19
Questi incaricò Madre Rachele di
chiedere al Farina quali « carte » si dovevano esibire alla delegazione, « o per dir meglio il metodo [...] presentato per
Vienna, onde ottenere l’approvazione di Casa Centrale ».20
La risposta del Farina non apparve
del tutto chiara. Madre Rachele scrisse a don Luca: « Ci rispose in un modo che non si sa come
diportarsi. Io spero che Monsignore si saprà meglio spiegare
in chiedergliele, così risponderà più chiaro ».21
Con una lunga lettera, il 31 maggio
1839 il Balbi fornì alla delegazione le informazioni,22 che gli erano state richieste.
Madre Rachele il 1° giugno ne
informò puntualmente il Farina.23
La delegazione l’8 giugno chiese al
Balbi di inviare, in aggiunta alle dettagliate informazioni trasmesse il 31
maggio, un « esemplare del
[...] Regolamento o Statuto, nonché copie delle lettere di autorizzazione già
rilasciate ».24
Le Regole, scritte di recente da don
Luca non erano state ancora approvate e avrebbero potuto subire qualche
modifica suggerita dall’applicazione. Perciò il Balbi il 15 luglio 1839 chiese
al Farina una copia del Regolamento, da lui a suo tempo presentato,25 e il 31 agosto la trasmise alla delegazione
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provinciale, comunicando che non esistevano lettere di autorizzazione
del viceré e del patriarca, perché i loro « assensi furono verbali soltanto ». I fatti comprovavano che tali assensi erano stati realmente
dati.26
L’8 settembre Madre Rachele rispose
al Farina: « Per
l’approvazione dell’Istituto nulla le so dire, essendo Monsignore da qualche
giorno a letto con febbre; però ne spero buon effetto, attesoché il pubblico ne
scorge chiaro il vantaggio ».27
Completata l’istruzione della
pratica, la delegazione il 30 settembre 1839 la fece pervenire all’imperiale
regio governo con parere favorevole: « La R. Delegazione Prov.le, esaminato lo scopo
unico ed essenziale di tale Istituzione, ch’è quello di educare povere
fanciulle e di renderle più atte all’istruzione elementare, nonché di
sorvegliare e dirigere la condotta delle fanciulle vaganti per le pubbliche
strade, raccogliendone in determinati giorni ed ora alla dottrina cristiana e
ad altre pratiche di religione, non può che applaudire alla pia Causa già
attivata con Sovrano permesso in altre Città, e ciò tanto più in quanto perenne
vi sarebbe la sorveglianza del Reverendissimo Ordinario, e che nessun sussidio
vi occorrerebbe per parte dello Stato o d’altri pubblici fondi ritenuta già
l’esatta osservanza delle vigenti prescrizioni per l’istruzione elementare ».28
Per lo sviluppo della casa di Venezia,
appariva sempre più l’opportunità che essa venisse riconosciuta come
centrale.29 Il 17
dicembre 1839 Madre Rachele scrisse a don Luca: - 194 -
« Nell’altra mia le dissi quanto utile sarebbe
avere il Sovrano Decreto di Casa Centrale. Sembrami che, avendo Ella confidenza
col Confessore di Sua Maestà l’Imperatrice, potrebbe mandargli la relazione che
dò al Sig. Professore Farina, pregandolo che opportunamente la facesse tenere
alla Pia Sovrana, interessandola in questo affare ».30
Esaudendo il desiderio espresso dal
Farina, Madre Rachele il 18 dicembre gli inviò il quadro completo e dettagliato
della casa di Venezia (numero delle suore, delle novizie e delle allieve
interne ed esterne) e delle sette compagnie della Pia Opera, assistite nelle
varie parrocchie. Concludeva: « Si
potrebbe assumere di più se non fosse per la distanza,
in cui ci troviamo, e quando questa Casa sarà Centrale, si potrà mettere una
Casa Figliale in qualche altro angolo della città, e così assistere le indigenti,
come qui si fa colla Scuola esterna ».31
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