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2. Progetto di
don Luca per una comunità di Dorotee in Brescia.
Don Luca, come in altre città, volle
anche in Brescia, a sostegno della Pia Opera, le Suore per assicurarne lo
sviluppo e la diffusione, nella fedeltà ai principi, con il lavoro di
animazione e di formazione delle sorvegliatrici.
Per la realizzazione del suo
progetto egli scelse la Marini, che per anni fu da lui e da don Marco guidata
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spiritualmente15 e preparata a divenire la prima
pietra dell’Istituto in Brescia.
La documentazione, lacunosa, non ci
permette di seguire lo svolgimento dei fatti. Manca la cronaca del primo
periodo della casa di Brescia.16 Forse agli inizi, ancora incerti, non si provvide subito a
redigerla; ma certamente, dopo che l’avvio si consolidò, si cominciò a
stenderla, come era uso nelle altre case. La Marini, diligente e precisa, era
pratica del lavoro, venendo da una lunga esperienza di segretaria; è, quindi,
da supporre che il registro sia andato perduto insieme ad altri documenti.
Le « Memorie sull’Istituto di S. Dorotea in Venezia » ricordano l’inaugurazione ufficiale della casa
di Brescia (1851), ma tacciono della sua fondazione, come anche di quelle di
Bologna e di Massa Lombarda. La prima parte delle « Memorie » è riassuntiva ed imprecisa, a causa della
redazione tardiva.
Molto avremmo potuto sapere dal
carteggio di Madre Rachele, se non mancassero le lettere di circa un anno:
dicembre 1841 – novembre 1842. È proprio l’anno decisivo per la fondazione
della casa filiale di Brescia. Tenendo conto della media di quegli anni, si può
dire che è andato perduto oltre un centinaio di lettere.
Nelle lettere di don Luca e di don
Marco, a noi pervenute, le note storiche relative alla fondazione della casa di
Brescia - 291 -
sono scarne, e denotano soprattutto l’intento di indirizzare
e preparare la Marini a quella missione.
La prima lettera pervenutaci di don
Luca alla Marini è del 28 agosto 1832, la seconda del 12 marzo 1837. Esse
trattano della Pia Opera (consolidamento, diffusione) e dello zelo ad essa
necessario.17
Pare che nel 1837 la Marini accogliesse
qualche giovane da istruire. Don Marco, infatti, il 29 novembre
le scriveva: « Eccole
la buona figlia che il Signore le consegna perché possa esercitare anche verso
di codesta immagine di Dio l’amore che porta a Gesù. In tutto il tempo che è
stata qui nel nostro Paese ha sempre tenuta una condotta esemplarissima,
veramente cara a Dio ed ai buoni; anche nei suoi lavori femminili mi si dice
che riesce assai bene. Oh quanto è mai contenta di venire a riconoscere, dopo
Dio e Maria, la Sig.a Marina per madre, il Sig. Carlo
Manziana per padre. Spero proprio coll’aiuto divino che farà un’ottima riuscita
essendo cresciuta alla Croce con animo generoso verso Dio in mezzo alle sue
tribolazioni ».18
Dal 1838 nelle lettere diventano insistenti
le esortazioni di don Luca e don Marco alla Marini, per indurla a dare avvio
all’Istituto delle Suore Dorotee in Brescia. La spronano, adducendo l’esempio
di altre città.
Ella però, pur sentendo la vocazione
religiosa, veniva trattenuta da ragioni familiari e personali. Le condizioni
economiche esigevano la sua presenza in famiglia. Inoltre, la malferma salute e
la naturale timidezza le facevano sentire il compito superiore alle proprie
forze.
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Il 6 gennaio 1838 don Luca
le scrive: « L’Instituto
regolare di S. Dorotea [...] in Vicenza è stato adesso approvato da
S.M. l’Imperatore, e l’Imperatrice Regnante con una
bellissima lettera se ne è dichiarata protettrice speciale. Quando vi sia in
una città uno di tali instituti la pia Opera è sicuro che sarà permanente
tornandone come l’anima. Comunichi la cosa al Sig. Arciprete [Pinzoni] ».19
Due mesi dopo,
l’8 marzo, le comunica da Genova: « Sono a darle
una consolante notizia. Domenica scorsa si è
fatta la funzione dello stabilimento delle promotrici di S. Dorotea, ed a me è
toccata la sorte di farne la funzione. Non so quando abbia provata consolazione
simile vedendo così assicurata l’opera di S. Dorotea tanto utile. Tredici hanno
vestito l’abito il quale è comune, ma nero e modesto. Preghiamo il Signore che
si propaghi. Comunichi questa cosa al Rev.mo Sig. Arciprete
ed alla Sig.ra Gabriella, e mi scriva se hanno fatto niente
di quello che si era progettato colla Sig.ra Gabriella […].
Confidiamo, e si vedrà quello che può la destra dell’Onnipotente. Mi scriva una
lettera dettagliata dello stato della pia Opera in Brescia, e del bene che
ottiene ».20 Pia Opera e progetto dell’Istituto camminano di pari passo.
Con la fondazione delle Suore
Dorotee in Venezia (6 agosto 1838) si spiana la strada anche per Brescia.
Tramite don Luca e don Marco, tra la
Guardini e la Marini si stabilì un profondo rapporto di
amicizia, cominciato forse quando la Guardini era a Calcinate in casa
Passi.
Tra le due vi fu una corrispondenza
epistolare, anche se - 293 -
non fitta.21 Non è stata conservata alcuna lettera della
Marini a Madre Rachele; di questa invece ci sono pervenute dieci lettere
inviate a lei. Esse si intrecciano con quelle di don Luca e don Marco,
fornendoci qualche elemento utile per la conoscenza di quel periodo.
La prima è del marzo 1839. Madre
Rachele risponde alla Marini, compiacendosi delle buone notizie circa la Pia
Opera in Brescia. Aggiunge: « Vi
sono obbligata della parte che prendete per l’Istituto, ed io vi dirò a gloria
di Dio che adagiamente si va estendendo. Siamo in poche atte allo scopo
dell’Istituto, e per questo conviene tenersi al poco ». Conclude: « Presentatemi umilissima a tutti di
vostra famiglia ed assicurateli della gratitudine che sento per tante
gentilezze usatemi ».22
Questo concetto ritorna anche in
un’altra lettera del 1840: « Dite
a tutti di vostra famiglia ch’io ricordo spesso al Signore la bontà avuta con
me. Riverite il vostro Confessore, con tutte quelle persone ch’ebbi il piacere
di conoscere, e raccomandatemi alle loro orazioni ».23
L’accenno è vago e non viene
precisato il tempo; forse si riferisce al periodo di Calcinate, perché non ci
risulta di incontri avvenuti, dopo il trasferimento della Guardini a Venezia,
fino al marzo 1839.24
Dinanzi alle insistenze di don Luca,
la Marini forse si confidò con Madre Rachele. Questa probabilmente le suggerì - 294 -
di
trovare due aspiranti con dote da mandare a Venezia; esse, una volta formate,
sarebbero ritornate a Brescia per la fondazione della casa filiale.
La Marini scrisse a don Luca, che le
rispose: « Il voler
aspettare di trovar due maestre che abbiano la dote mi sembra lo stesso che non
voler mai cominciare, perché è assai difficile che chi ha la dote voglia
mettersi all’evento della riuscita. Bisognerebbe piuttosto cercare i mezzi
della sussistenza come sarebbe una scuola civile ovvero i benefattori di una
scuola di povere gratuita. Si potrebbe anche cominciare la fondazione
privatamente. Unirsi nella casa che si prendesse la Lumini con una Maestra o
due che avessero vocazione e far in tanto una scuola ed attendere alla Pia
Opera […]. Le vostre Sorelle potrebbero far questo, e sono persuaso che
trattandosi di averle in Brescia e vicine sarebbe contento anche il vostro
Genitore. Pregate e fate pregare, l’orazione decide tutto [...].
P.S. In questo
momento è forse capitato un soggetto che ha tutti i numeri e la dote, da
mandare a Venezia, alla quale si potrà unire un’altra anche con poca dote:
entro dieci o dodici giorni avrò la risposta ».25
All’inizio, una fondazione privata
non impegnava troppo e poteva aiutare a superare il timore per il rischio di un
insuccesso.
Il 28 giugno 1839 don Luca, di
ritorno da Roma, nel comunicare alla Marini la notizia della concessione del
decreto - 295 -
di lode all’Istituto di Vicenza, aggiunge: « Ho avuta un’udienza privata dal S. Padre che ha
parlato con interessamento della Pia Opera e mi ha licenziato con queste
parole: Andate, il Signore benedica la vostra impresa.
A Genova fa meraviglie, così a
Venezia, come mi scrive la Rachele. Ci vorrebbe anche a Brescia per poter
dilatare la pia Opera nella Diocesi per mezzo delle case figliali. Ne parli, si
ricordi che le cose le più grandi cominciano talvolta con niente. Dica la cosa
dell’approvazione al Sig. Arciprete ».26
Le insistenze di don Luca facevano presa
sull’animo della Marini, e nella sua mente andò affermandosi la necessità
dell’Istituto in Brescia.
Alla fine di settembre del 1839,
ella chiese a Madre Rachele due suore per quando sarebbe stata decisa la
fondazione in quella città.
Madre Rachele conosceva l’intenzione
di don Luca, che per Brescia puntava sulla Marini. Non volendo, quindi, creare
problemi all’attuazione del progetto di lui, il 27 settembre lo informò subito
e gli comunicò che ella non avrebbe dato risposta riguardo alla richiesta pervenutale. Aggiungeva: « però mi farà sommo piacere darmi un cenno di
quello che verrà concluso ».27
In tal modo lasciava capire la sua
disponibilità a dare il suo aiuto, se don Luca l’avesse ritenuto opportuno.
La Marini cominciò con il consultare
« le Regole dell’Istituto di S. Dorotea ».28
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Madre Rachele aveva ormai
nella mente e nel cuore la fondazione bresciana. Il 27 ottobre 1839, di ritorno
dal Tirolo, informò don Marco che molte giovani, con la vocazione religiosa,
attendevano di essere da lui chiamate; lo pregò, quindi, di « volerle confortare ed assicurare [...] per
Brescia o per altra parte ».29
Il 5 agosto 1840 Madre Rachele
scrisse una toccante lettera di conforto e incoraggiamento all’amica, che
viveva nel suo animo il problema della scelta definitiva della propria vita. La
informò che il Signore spandeva numerose e sorprendenti benedizioni
sull’Istituto, e le ricordò che Gesù scelse come fondatori della Chiesa dei
poveri pescatori: « Egli
onnipotente gode prendere gl’istromenti meno atti, per far trionfare l’opera
sua ».
Queste parole Madre Rachele le
diceva per se stessa, ma volevano essere anche una risposta ai timori della
Marini, alla quale chiedeva, inoltre, di ottenerle la grazia di cercare sempre
la maggior gloria di Gesù e di consumare la vita per Lui. « Ah com’è proprio vero che chi non vuole che
Gesù, è sempre contenta! ».
La lettera terminava con
l’esortazione: « Amiamo,
diletta mia, la Croce del nostro caro Amante; accettiamo con cuore quella
ch’Egli si degna presentarci; così non erreremo la Via e più presto giungeremo
alla Vita ».30
Queste elevate parole, sgorgate da
un cuore pieno di amore del Cristo, cadevano in un terreno fecondo e avrebbero
fruttificato.
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L’avvenuto riconoscimento
della casa di Venezia come casa centrale aprì « la porta all’Instituto » in Brescia.31
Il 27 novembre 1840 la Marini
comunicò a don Luca la sua risoluzione a « voler sperare contro speranza ». Egli le rispose con sollecitudine, incoraggiandola a non « dimettere il pensiero né abbandonare l’impresa
finché non sia stabilito l’instituto ».
Occorreva, in primo luogo, una casa,
e don Luca esorta la Marini a cercare dei benefattori, per acquistarla: « Bisogna cominciare chi vuol far qualche cosa.
Aprendo la Casetta non bisogna dire che si vogliano mettervi le Suore, questo
deve essere in seguito. Confidenza grande in Dio, e tutto si otterrà ».32
Don Luca aveva premura di procedere
alla realizzazione del suo progetto; raccomanda perciò riserbo, onde evitare le
lungaggini dell’approvazione governativa. Ad essa si sarebbe provveduto dopo
l’avvio.
La Marini scrisse anche a Madre
Rachele. Questa le rispose l’8 dicembre 1840: « Dalla cara vostra intendo che il buon Gesù anche
quest’anno vi condusse nel ritiro, dove avrete meglio distinta la voce dello
Sposo, che all’anima amante nella solitudine viepiù si lascia sentire.
M’immagino che colà trattenuta vi sarete 10 giorni ».
Ella pure, a causa della malferma
salute, aveva dovuto sospendere per qualche giorno la consueta attività: « Così potei, con tutta comodità, ascoltare la
voce dello Sposo, il quale si diletta annunciare che la via certa per unirsi
prestamente ed intrinsecamente a Lui è quella del patire ».
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La informa
dell’istituzione della Pia Opera a Chioggia; spera che anche a Brescia proceda
bene e le suggerisce di raccomandare la costanza alle cooperatrici.33
Mancava ancora in Brescia una sede
dell’Istituto, quando si ebbero già due aspiranti, le sorelle Lelia e Maria
Teresa Roberti. Don Luca prese accordi con Madre Rachele e decise che fossero
inviate nel noviziato di Venezia.
Il 3 febbraio 1841 scrive alla
Marini di istruirle ed esercitarle, nel frattempo, in tutto quello che
riguarda la Pia Opera. Comunica pure la diaria per i sei mesi di prova; per la
mobilia e la dote dice di intendersi con la superiora di Venezia.
Conclude: « Da brava cominciate a lavorare per l’Instituto,
ed il Signore vi benedirà col darvelo in Brescia ».34
Don Luca è ormai deciso a stringere
i tempi e vuole concludere. Non avendo ricevuto risposta, il 19 febbraio scrive
di nuovo alla Marini, ripetendo quanto le aveva detto nella lettera precedente.
Aggiunge: « A Venezia ho
trovato assai più di bene operato dall’Instituto di quello che avrei osato
sperare. Siane benedetto il Signore. E a Brescia quando sarà? Ricordatevi che
chi confida nel Signore (dice il Profeta) cambia di fortezza, prenderà penne
d’aquila, volerà e non farà fatica, correrà e non verrà meno. Coraggio dunque.
Confidate nel Signore e non temete ».35
Il timore era l’ultimo ostacolo che
restava alla Marini da superare. Ella, non avendo bene inteso quanto don Luca
le aveva comunicato riguardo alle aspiranti Roberti, il 10 febbraio
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chiese spiegazioni a Madre Rachele. Questa le rispose il 17,
accompagnando le informazioni con parole di esortazione ed incoraggiamento: « Godo intendere che Dio benedice cotesta vostra
utile congregazione. Voi, mia cara, sempre più animatevi onde vederla
propagarsi, e chi sa che il buon Gesù non voglia consolarvi donandovi anche
costì negli anni avvenire l’Istituto, che ha per iscopo di sostenerla e
dilatarla.
Pregate assai e fate pregare, mia
buona Marina, acciò il misericordioso Gesù ci doni lo spirito che abbisogna per
questa grande opera. Noi abbisogniamo d’una virtù straordinaria, onde
corrispondere alle mire che Dio va manifestando.
Cercate d’instillare nel cuore delle
giovani aspiranti un grande amore all’interna mortificazione e ad una grande
generosità con Dio, ed allora sì, vinceranno facilmente ogni diabolico
tentativo ».36
Le due lettere di don Luca e quella
di Madre Rachele del febbraio 1841 devono essere state di sprone alla Marini
che, alla fine di quello stesso mese, manifestò a don Luca la sua
disponibilità.
Egli le rispose il 3 marzo da Forlì,
assicurandola di essersi subito recato a pregare in un santuario, ove si
venerava un’immagine di Maria SS. assai miracolosa,37 per ottenerle la grazia desiderata. « Spero che a quest’ora abbiate ricevuto l’assenso
che desiderate. Il pensiero mi sembra ottimo. Potreste a questa unirvi anche
voi (stando però a casa vostra, ed attendendo alle cose vostre) per istradare
le altre alla direzione dell’Opera pia; in tale casetta si potrebbero tenere le
adunanze delle Anziane, conservare i registri, si potrebbero riunirvi
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alcuni libri spirituali e così cominciare un po’ di biblioteca; in
seguito si potrebbe farla casa figliale e poi centrale. Il Signore, sa il bene
che ne può venire; e voi avreste il merito di tutto per tutti i secoli. Vedete
se va bene adoperarsi in servire un padrone che vede tutto, e paga tutto con
misura sovrabbondante anzi strabocchevole ».
Di fatto, don Luca considera già le
Roberti come aspiranti e la Marini come responsabile; le dà suggerimenti per
ben avviarle ed esercitarle.
La esorta, quindi, ad avere fiducia
nel Signore. « Ricordatevi i
proponimenti che avete fatti quest’autunno. Dio fa riuscir le cose quando meno
si aspetta ». E, per farle animo,
le riferisce l’inizio provvidenziale dell’Istituto a Bologna. « Eccovi dunque una novella casa e senza neppure
avervi pensato. Dunque fidatevi del Signore. Egli ve ne ha data l’inspirazione
saprà condurre ogni cosa a buon termine. L’avete dovuto toccar con mano anche
della pia Opera, che quando la cosa pareva pericolasse si vedeva rifiorire
meglio che prima ».
Terminata la lettera, don Luca
aggiunge un P.S. per insistere ancora sulla fiducia in Dio:
« Volete un’altra prova se bisogna abbandonarsi
ciecamente in mano alla Providenza; guardate quello che ha fatto la Rachele. Di
volta in volta io rimango sorpreso del bene che si ottiene dall’Instituto. Vi
ricorderete quante difficoltà, quanti timori essa pure aveva. Coraggio dunque […]
nell’opera del Signore. Ricordatevi che operate colla forza di quegli che con
un fiat ha creato il Cielo e la terra. Questo che dico a voi lo diceva alcuni
anni addietro alla Capitanio animandola a fondare le Suore della Carità ».38
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Deciso ad andare fino in
fondo, don Luca non tralascia alcuna circostanza per stimolare la Marini. Il
mese successivo, il 17 aprile 1841, le comunica la consolante notizia
dell’approvazione data dalla Santa Sede alla Pia Opera. E profitta della
circostanza, per dissolvere, con la confidenza in Dio, le ricorrenti
preoccupazioni della Marini: « Quanto
poi a quello che mi scrivete che per cominciare l’instituto è necessario aver
una Casa ed il fondo per mandare due a Venezia, sappiate che S. Ignazio ha
cominciato il Seminario Romano l’Appolinare che è mezza Brescia con 17 baiocchi
cioè con 24 soldi dei nostri ».
Oltre a dimostrare il suo profondo
spirito di fede e di abbandono nella Provvidenza, con senso
pratico suggerisce: « Mi
pare che il meglio di tutto sia una casetta in affitto, dove si stabilisca
quella buona donna, trovare una compagna adattata, pregare che le Signore
mettano le fanciulle che mantengono altrove, unirvi anche voi a queste stando a
casa vostra; quando la cosa sarà avviata si potrà farne venir una da Venezia.
Chi cerca i soccorsi prima di cominciare non ottiene mai niente. La gente vuol
vedere ».
Dopo alcune disposizioni per il
viaggio delle aspiranti a Venezia, conclude: « Coraggio [...] nel compiere l’opera del Signore.
La Sanzione del Vicario di Gesù C. v’inspiri nuova lena ».39
Alla lettera di don Luca seguirono,
in quel mese di aprile del 1841, due di don Marco permeate di elevato afflato
spirituale: « Figlia, state
allegramente nel Signore, e quanto più vi fa conoscere la vostra miseria tanto
più vi apre la via per andare a Lui e seco Lui unirvi [...]. Volate dunque
continuamente - 302 -
[...] col vostro affetto in seno a Gesù, ivi riposate
nella pace sempiterna. Gustate il divin Silenzio, in quello ascoltate la
celeste voce che parla allo spirito ».40 « Dice S. Francesco che il Signore è ugualmente
amabile quando si lascia vedere e quando si nasconde. Vi basti sapere che Gesù
è il vostro Signore e che voi siete la sua Sposa [...]. Su su, pensieri,
affetti al Paradiso e tanto vi basti intanto ».41
All’inizio di maggio del 1841, le
sorelle Roberti entrarono nella casa di Venezia; e il 5 Madre Rachele scrisse
alla Marini, ringraziandola dei saluti.42
Dopo alcuni mesi, la Marini chiese
notizie sul comportamento delle « bresciane ».
Madre Rachele gliele trasmise il 29 settembre 1841, al termine degli esercizi
spirituali, predicati dal p. Taeri.
Si disse contenta delle Roberti, ma
espresse riserve su Carolina Grandi e Margherita Cola, che abbisognavano di
cura per colmare qualche lacuna e per la formazione del carattere.
Le comunicò pure che nei prossimi
giorni si sarebbe recata a Padova, per mettere ivi « il primo seme » dell’Istituto; chiedeva, quindi, preghiere per ottenere la
benedizione di Gesù.43
A questo punto comincia la lacuna
del carteggio di Madre Rachele. La sua successiva lettera alla Marini è del 2
gennaio 1843,44 quando
la casa di Brescia era stata già aperta. - 303 -
Non conosciamo, quindi, gli
ultimi passi di quella fondazione, nella quale Madre Rachele dovette avere una
parte importante, in quanto superiora della casa centrale di Venezia.
Per questo spazio di tempo di circa
un anno, i soli riferimenti, di cui disponiamo, sono gli accenni che ricorrono
nelle lettere di don Luca e don Marco.
Essi seguirono il cammino di
formazione delle quattro bresciane, nutrendo vive speranze. In una lettera non
datata, don Marco riferisce alla Marini: « Rachele mi scrive e mi parla di Carolina e Margherita; della prima
mi dice che migliora in salute, e la considera come una bambina, della seconda
sembra venuto il tempo di non considerarla più bambina, ma di farle mangiare il
pane dei forti. Pregate anche per esse onde sieno dal Signore benedette ed
abbiano compimento i loro voti ».45
Si manifestarono poi incertezze e
dubbi. Il 25 novembre 1841 don Marco comunica alla Marini: « La Rachele non mi lascia finora speranza. Vedrò
se posso prenderla d’assedio, se non posso d’assalto. Intanto pregate. Di
quella di S. Angiolo ve ne darò contezza al mio ritorno da Lodi. Ha scritto
alla Sig. Maria una lettera tutta di contentezza per essere giunta in seno alla
famiglia. La poverina è un po’ troppo tenera, pregate molto per essa, perché ha
un’anima bella ».46
A distanza di una ventina di giorni,
si riprende a sperare. Don Marco informa la Marini: « Ho ricevuto lettera da Venezia riguardo alla
Carolina Grandi e pare che spunti qualche luce di speranza, e non è più la
risposta così negativa, ma si rimette la buona Rachele a sperare
nell’Onnipotente. - 304 -
Compatisco anche la Superiora perché nel suo posto,
come dice ella pure, deve consultare l’intelletto e non il cuore, e l’Istituto
non è destinato a ricevere le giovani per se sole, ma anche a bene delle altre.
Diremo, come si dice sempre, chi sa che in questa volta non si ottenga la
fortezza per assedio. In avvenire, trattandosi di luoghi lontani, bisognerà
aver più occhio che cuore ».47
Si trattava di problemi di
formazione, per i quali don Marco aveva particolare competenza; comprendeva, quindi,
le preoccupazioni di Madre Rachele.
Intanto, il 3 dicembre 1841 la
Marini confermò la risoluzione di consacrarsi tutta alla gloria di Dio. Don
Luca ne fu molto contento e le rispose: « Pregate e preparate per Brescia; che bella cosa se, quando vengo a predicare, fosse comperata
la casa! Allora si potrebbe preparare per la fondazione ».48
Trascorrono ancora dei mesi. Di
ritorno da Como, don Luca il 3 maggio 1842 scrive alla Marini: « ho trovato le imprese della
Sig.ra Laura sopramodo benedette; ha già due case, nove
compagne, ed adesso cercano darle un altro locale capace di 60 persone [...].
Vedete se bisogna cominciare. Staremo a vedere anche le vostre imprese. Spero
perché confidate molto nel Signore ».49
Intanto Carolina Grandi lasciò la
casa di Venezia e tornò in famiglia; ma nel Tirolo erano pronte altre
aspiranti.50
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Ormai i tempi erano maturi
e si andò decisamente verso la fondazione. Il 17 giugno 1842 don Marco, a nome
di don Luca, comunica alla Marini che essi si recheranno a Brescia « per tutto quello che il Signore sarà per
disporre in ordine alle nostre comuni speranze », e la incoraggia ad andare avanti con fiducia,
sicura « che il Signore, il quale ha incominciato l’opera,
la condurrà senza fallo a buon termine ».51
La conclusione è vicina, e don Luca
cerca di tener viva la confidenza della Marini in Dio. Il 26 luglio le scrive:
« Coraggio […] confidate in chi vi ha chiamata;
cominciate la vostra missione col preparare gli animi all’opera benedetta.
Scrivetemi subito e confermate quello che tante volte avete promesso al
Signore, perché ogni volta serve a rinnovazione di spirito ».52
Qualche giorno dopo, il 6 agosto,
arriva alla Marini l’esortazione di don Marco: « Ricordatevi che non dovete più perdere un’oncia
di tempo, ma tutta donarvi alla maggior gloria di Dio e non vivere che a questo
altissimo fine finché Iddio vi chiama a consumare il sacrificio di voi stessa
con esso Lui sul Calvario, dove vi attende nella sua misericordia per avervi
seco Lui nella gloria eterna del Paradiso ».53
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