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3. Istituzione delle Dorotee in Brescia.
Sull’immediata vigilia e sui primi giorni
della fondazione il carteggio di don Luca e di don Marco tace; vi sono due mesi
e mezzo di silenzio, dal 2 settembre al 19 novembre - 306 -
1842. Certamente,
in quel periodo essi furono più spesso a Brescia. Perciò le loro lettere non
dovettero essere numerose; ma quelle, che pur vi furono, non ci sono state
conservate.
Verso la metà di ottobre del 1842
Madre Rachele, di ritorno da Cemmo, passò per Brescia e, pur avendo premura di
proseguire il viaggio, si fermò per rendere visita al vescovo mons. Ferrari,
che la trattenne a pranzo.
Ella gli raccomandò la casa delle
Suore Dorotee, che col suo permesso aveva appena aperta a Cemmo. Lei stessa ne
informò, dopo, la Cocchetti con una lettera inviatale da Venezia.54
In quell’incontro, certamente si
parlò pure della casa che stava per sorgere a Brescia. Anche se gli accordi
erano stati già presi, la cosa era di tale importanza che non poteva non
divenire oggetto del discorso.
Nella lettera alla Cocchetti Madre
Rachele accenna soltanto a quello che la riguardava, cioè l’interessamento
presso il vescovo per la casa di Cemmo; tace invece, per riservatezza e
prudenza, su altri punti del colloquio avuto con lui. Voleva evitare che
qualche indiscrezione potesse intralciare il programma, tanto più che si prevedeva
un avvio senza particolari formalità.
Questa riservatezza era consueta a Madre Rachele!
Quando si trattò della fondazione della casa in Padova, dopo aver acconsentito
alla richiesta, il 21 novembre 1840 ne informò don Luca, avvertendo: « Questo deve restar celato fino al momento,
altrimenti anderà tutto a vuoto, perciò glielo raccomando ».55
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Finalmente, dopo tante
attese, anche in Brescia poté sorgere l’Istituto delle Suore Dorotee. Come
giorno iniziale viene assegnato il 2 novembre 1842;56 ma,
nonostante le ricerche, non abbiamo trovato alcun documento ufficiale. Forse
neppure vi fu, e si procedette con accordi e autorizzazione verbali.
Nel registro generale delle Suore di
Brescia è segnato, a quella data, l’ingresso della Marini e di sei « tirolesi » di Ossana,57 condotte da don Marco.
Mancando di una casa propria,
bisognò accontentarsi di alcune povere celle dell’ex monastero delle
Benedettine di S. Spirito.58
Don Luca e don Marco seguirono con
cura i primi passi della nascente comunità, sostenendo la Marini nel delicato
incarico. Le raccomandano di coltivare nell’animo delle aspiranti l’amore di
Dio, e la esortano a continuare, confidando nel Signore.59
Ella si accinse con risolutezza
all’opera, riscuotendo la soddisfazione di don Luca. Questi il 9 dicembre 1842
le scriveva: « Non posso
esprimervi la consolazione provata in sentire come vi siate vinta presentando
voi a Monsig. Vescovo le - 308 -
Tirolesi. Anni addietro vi sarebbe parso di
morire, ora l’avete fatto, e tutto fu niente. Ecco il vantaggio
dell’obbedienza, che ci rende maggiori di noi stessi. Continuate in
questo santo abbandono in mano a chi ha l’onnipotenza per sostenere ».60
La Marini della visita, fatta con le
postulanti al vescovo, diede notizia anche a Madre Rachele, che le rispose il 2
gennaio 1843: « Mi consolano
tanto gli eccitamenti che aveste da cotesto buon Prelato. Egli, che è di una
pietà sì grande, avrà certo goduto in vedendo quelle anime, che tutto lasciano
per seguire la vita dell’amabile nostro Salvatore ».61
Un’aspirante, Maria Graifenberg,
lasciò il gruppo e ritornò in famiglia. Don Luca, nell’apprendere la notizia,
si consolò che le altre perseveravano e che la Marini era contenta di
loro.62
Non mancarono difficoltà; a quelle
ordinarie, proprie di ogni inizio, altre se ne aggiunsero, come il disagio per
la sede e le preoccupazioni per la precarietà della situazione. Si lamentava la
mancanza di una sede e di un abito propri nonché di un clima di vera comunità.
Per superare le difficoltà e
consolidare la fondazione, Elena Girelli propose che la Marini e la Franzoni si
recassero a Venezia per un anno di noviziato. Nel frattempo, ella avrebbe
provveduto una casa, e si sarebbero svolte le pratiche presso l’autorità. Al
ritorno della Marini e della Franzoni, si sarebbe aperta una scuola.
Il progetto non era condiviso dalla
Marini, e non venne - 309 -
accolto neppure da don Luca. Egli non intendeva
rendere vano il primo passo, che riteneva ben riuscito, per grazia di Dio: « quando è stata presa una strada bisogna pensarvi
molto avanti di cambiarla ».
Riguardo alla sede, comunicò alla
Marini: « Sino che resta in libertà il luogo delle
sordo-mute,63 stieno
dove sono, e quando avranno questo secondo, potranno avere maggiori relazioni e
colle Sorvegliatrici e colle fanciulle di fuori. Per questa radice, che quando
il Signore vorrà diventerà pianta, basteranno due o tre Suore (coll’abito o no
adesso non importa…). Frattanto esercitatele nelle riunioni, nei registri,
nell’Oratorio, procurate che attendano bene alla scuola perché possano passar
bene gli esami ».64
L’esperimento proseguì e non
mancarono buoni risultati. L’8 novembre 1843 don Luca soddisfatto scrive alla
Marini: « Leggendo la carissima vostra ultima, ho provato
una delle più grandi consolazioni spirituali che abbia provato in altre
fondazioni, vedendo come la Provvidenza ha condotta l’opera sua con mezzi che
sembrano tanto lontani dal fine. Continuate sì voi che le altre nella confidenza
di quegli che ha creato il Cielo e la terra. Va bene anche quello di formare
una famiglia, che così potranno essere esatte nell’osservanza della regola, e
così saranno contente anche quelle a cui parea di non essere in un Istituto.
Non mancherebbe che il vestito, ma per quello la regola non prescrive che la
modestia e lo suggerisce nero per uniformità ed esse l’avranno scuro, e basta
intanto ».65
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Nei primi mesi del 1844,
la comunità si trasferì nei locali dell’oratorio di San Rocco, ove assunse la
direzione di una scuola per le fanciulle povere della parrocchia di S. Giovanni
Evangelista.66
Era un importante passo avanti
riguardo all’attività, offrendo la possibilità di esercitare le aspiranti. Non poteva
però dirsi del tutto risolto il problema della sede, perché all’abitazione
della comunità erano riservati pochi, angusti e fatiscenti locali.
L’11 marzo 1845 Madre Rachele,
rispondendo alla Marini, la invitò a partecipare al corso di esercizi spirituali
a Venezia.67
Con l’appoggio di generosi
benefattori, il 3 settembre 1846 fu stipulata la scrittura per l’acquisto di
una piccola casa dei conti Secco d’Aragona, nel vicolo Vergine (ora Medici),
vicinissima a S. Rocco.68
Nel febbraio del 1847, la Madre
Sanfermo, superiora di Venezia, fu alla casa di Brescia.69 Nel settembre di quell’anno vi fu anche Madre
Rachele.70
Disponendo ormai la comunità di
Brescia di una sede - 311 -
propria, fu possibile avviare la regolare pratica
per l’approvazione.
Il parroco di S. Giovanni
Evangelista, don Giovanni Battista Gei, sollecitato da don Luca, il 3 gennaio
1848 rivolse istanza al vicario capitolare Luchi di Windegg, pregandolo di
interessarsi perché l’Istituto venisse regolarmente riconosciuto e formalmente
eretto nella sua parrocchia.
Il vicario trasmise al viceré
l’istanza, accompagnandola con la sua commendatizia.71
Per la concessione dell’approvazione
fu richiesta l’assicurazione che le suore avessero « il locale necessario per l’abitazione, ed i
mezzi occorrenti per il mantenimento ».72
Gli sconvolgimenti del 1848-1849
ritardarono l’iter della pratica. Essa fu ripresa appena possibile, all’inizio
del 1851, quando venne esibita la debita documentazione.73
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Intanto la comunità era
notevolmente cresciuta. Dal settembre 1843 al giugno 1850 erano entrate
quindici aspiranti;74 altre undici seguirono nel 1851.
Il 24 luglio 1851, fu concessa la
sovrana approvazione per una casa di Suore Dorotee filiale di Venezia.75
Il 17 agosto, si tenne
l’inaugurazione ufficiale della casa, e nella cappella dell’Istituto la Marini
e la Peroni vestirono l’abito religioso. Alla cerimonia furono presenti don
Luca e la Madre Maria Rosa Sanfermo, superiora della casa centrale di
Venezia.76
Da quel momento la Marini entrò
definitivamente nella vita comune dell’Istituto.
Nel successivo mese di settembre, il
giorno 17 la Marini e il 18 la Peroni emisero i voti, e dieci candidate
vestirono l’abito religioso.77
Con il riconoscimento sovrano, la
casa di Brescia divenne centrale e la casa di Cemmo passò a dipendere dalla
superiora provinciale di Brescia.78
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La Madre Marini aprì case
filiali a Bormio in Valtellina (25 settembre 1852), a Cremona (novembre 1854),
sui Ronchi di Brescia (aprile 1857) e a Castegnato (ottobre 1858). Oltre ai
regolari trasferimenti nell’ambito delle case filiali, provvide anche, secondo
le necessità, ad inviare suore in altre case dell’Istituto.79
Il 30 settembre 1857, nel capitolo
generale svoltosi a Venezia, la Marini fu eletta superiora generale. Per motivi
di salute, ella conservò la sua residenza a Brescia, unendo così all’incarico
di generale anche quello di provinciale della Lombardia.80
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Dopo circa 10 anni di
generalato, la Marini si spense a Brescia il 21 marzo 1868, a due anni di
distanza dalla morte di don Luca. Vi fu un momento di incertezza. L’intervento
poi di mons. Verzeri portò al distacco da Venezia.81
Nel corso degli anni, sono andate
maturando le condizioni per il ritorno all’unione. Essa è stata sancita il 22
maggio 1969 dalla Sacra Congregazione dei Religiosi, con il decreto n.
13388/68.
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