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5. Incomprensione tra il Farina e il Passi.
Il viaggio a Roma ebbe un epilogo
imprevisto, che troncò sul nascere le speranze di unione degli Istituti delle
Suore Dorotee.
Lo
zelo apostolico aveva fatto concepire a don Luca, la Pia Opera di Santa Dorotea
per la formazione cristiana delle ragazze.
L’organizzazione e il metodo erano
nuovi e alquanto complessi. Occorreva perciò un valido sostegno, che
assicurasse l’animazione e lo sviluppo dell’istituzione secondo lo spirito
originario. Per questa ragione don Luca cercò di appoggiare l’Opera laicale a
un Istituto religioso.
Paola Frassinetti di Genova, che nel
1834 aveva fondato le Figlie di Santa Fede, seguendo il consiglio di don Luca,
assunse nel 1836 per il suo Istituto il nome di Suore di Santa Dorotea, con
l’impegno della Pia Opera.69
Nel 1836 il Farina, per suggerimento
di don Luca, fondò a Vicenza le Suore Maestre di Santa Dorotea.70 Esse, proseguendo l’attività della scuola di
carità, assunsero anche quella della Pia Opera, che era stata istituita da don
Luca a Vicenza nel 1827.
Nel 1838 lo stesso don Luca fondò a
Venezia le Suore - 329 -
Maestre di Santa Dorotea, per animare e promuovere
la Pia Opera, che operava in quella città fin dal 1830.
I tre Istituti avevano in comune
l’impegno della Pia Opera, ma erano autonomi. Don Luca ne vagheggiò
l’unificazione, avendo di mira il bene della Pia Opera; una struttura unitaria,
infatti, sarebbe stata più solida ed efficiente. Ne stese il progetto e fece i
passi presso la Santa Sede.
Certamente ne sarebbero derivati
vantaggi per lo sviluppo uniforme della Pia Opera, ma l’unificazione non era
matura: erano necessarie una preparazione psicologica ed una chiara intesa sui
fini e sui modi.
L’attuazione comportava non lievi
difficoltà, perché veniva compromessa l’autonomia dei singoli Istituti e si
interferiva nel campo dell’attività, che ciascuno si era determinato.
I vari Istituti, pur perseguendo la
promozione della Pia Opera, non le assegnavano però lo stesso grado di
preminenza.
Per l’Istituto di Vicenza essa si
aggiungeva alla scuola di carità. Il Farina, il 24 novembre 1839, chiaramente
scriveva al Cerabotani: « Il
nostro Regolamento, a cui dobbiamo scrupolosamente attenerci, esige che le
suore siano Maestre approvate nelle Classi elementari, e sostengano la scuola
per le povere. La promozione della Pia Opera veramente è lo scopo di esse, ma
non la primaria occupazione ».71 Era quindi prevedibile la sua reazione, che non
tardò a manifestarsi.
Il 3 settembre 1844 don Luca
incontrò a Vicenza il Farina e gli espose il piano presentato a Roma. Il giorno
dopo, il Farina gli scrisse, esprimendogli la sua « grave impressione ». Nel nuovo Regolamento vedeva « essenzialmente alterato » il suo Istituto, che « indipendentemente da ogni altro [...] vive e
fiorisce da vari anni con Regolamento maturamente compilato,
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approvato da S.M., e benedetto con
Dec.o di S.S. ». Concludeva, quindi, di non poter aderire al
piano.72
Il 4 settembre il Farina espose
l’accaduto a mons. Luigi Bragato, lamentando che don Luca aveva agito a sua
insaputa. Gli chiese di informarne l’imperatrice, pregandola di continuare a
proteggere il suo Istituto.73
L’11 settembre il Farina e il De
Maria scrissero al Papa Gregorio XVI che nel nuovo Regolamento, presentato
senza che ne fossero a conoscenza, l’Istituto di Vicenza, regolarmente
approvato, veniva alterato; « essi
mai non pensarono a nessuna innovazione in quanto al Regolamento, né poterono
osare a nessun ulteriore aspiro, da che la Santità Vostra nella paterna Sua
degnazione volle esuberantemente conoscerli e benedirli nel Decreto anteriore ».74
La lettera del Farina in data 4
settembre sorprese don Luca, perché nell’incontro del giorno precedente non era
stata manifestata alcuna opposizione.75
Nella risposta del 9 settembre 1844,
don Luca dichiarò che – data l’amicizia – avrebbe gradito che il Farina gli
avesse allora manifestato il suo pensiero; e precisò: « Prima di andare - 331 -
a Roma le avevo detto
ogni cosa forse anche letto il piano. Questa volta forse le ho detto di più:
che non vi saranno Direttori Generali della Pia Opera per non mettere in
gelosia i Parrochi, bastando le Suore a mantenerla ordinata; ma questo ha nulla
che fare coll’Instituto ».
Aggiungeva: « Sa che cosa ho a dirle che non si può sempre
fare quel che si vorrebbe. S. Barnaba si divide da S. Paolo in grazia di
Marco-Giovanni. S. Francesco di Sales si vede cambiato il suo instituto di
Suore da lui promosso per attendere alle scuole ed agli infermi in un ordine
claustrale in grazia dell’Arcivescovo di Lione.
Conchiudiamo dunque col Profeta: Omnis spiritus laudet Dominum. E dirò
poi con S. Paolo: purché si annunci G.C. sono contentissimo ».76
La questione verteva sull’autonomia
dell’Istituto di Vicenza e la sua alterazione.
Circa lo svolgimento dei fatti le
affermazioni del Farina e del Passi sono contrastanti. Il primo dichiara di non
esserne stato antecedentemente informato. Il Passi invece sostiene di averlo
fatto.
Data la loro personalità, è da
presumere che nessuno dei due mentisca. Neppure si può pensare ad una
dimenticanza dell’uno o dell’altro, perché si trattava di cosa molto
importante. Riteniamo piuttosto che non si siano compresi.
La cosa potrebbe spiegarsi così:
prima di partire per Roma, don Luca espose in sintesi al Farina la sua idea,
senza svilupparla compiutamente. Egli stesso dubita, se gli abbia letto anche
il piano; infatti dice « forse ». Probabilmente aveva allora soltanto un abbozzo, che poi mise a
punto a Roma con la Frassinetti.
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Il Farina dagli accenni
fattigli non riuscì forse a valutare tutta la portata del progetto. Quando
successivamente lo conobbe per intero, lo esaminò con i suoi collaboratori, e
vi si oppose decisamente.
Da alcuni indizi pare che egli
conoscesse qualcosa. Infatti il 16 maggio 1844 scrisse al p. Artini a Roma: « Le raccomando il mio Instituto presso quelle
Persone, cui Ella può conoscere potermi essere utile. Il conte Don Luca Passi
lo fondò anche in Roma. È Direttore di esso S. Em. il Cardinale Patrizi Vicario
di Sua Santità. S’informi, se può, ove sia, e come viva, e che se ne dica. Mi
scrive Passi che stanno per ottenere un Breve da S.S., che
solennemente dichiari queste Case regolari come gli altri Instituti. Se può mi
sappia dire qualche cosa, e le raccomando il mio, ov’Ella possa metterci una
parola. Questo è il primo Instituto di tutti nel suo genere, e nacque qui
all’insaputa del Conte Passi ad onta che da alcuni si
scriva il contrario ».77
L’11 giugno il p. Artini gli
comunicò di aver raccomandato il suo Istituto al cardinale vicario. Lo informò
pure della presenza in Roma dei fratelli Passi e di Madre Rachele, che erano
stati ricevuti dal Papa.78
L’atteggiamento di Madre Rachele in
tutta la vicenda fu saggio e sereno. Quando intraprese il viaggio, che
all’inizio neppure prevedeva il passaggio per Roma, non era al corrente del
progetto; lo conobbe a Roma.
Condivideva l’idea di don Luca, ma
avvertì subito le complicazioni cui si andava incontro, dubitando dell’adesione
del Farina. Il 17 settembre 1844 gli scriverà: « Le dico ingenuamente - 333 -
ch’io ero
persuasa ch’Ella fosse posta in cognizione di tutto quello [che] per maggior
bene si stava facendo in Roma (ricordando anche d’aver ciò mostrato essere
necessario, in udendo colà leggere il progetto che insinuato fu alla Santa
Sede) stante che temevo l’adesione sua ».79
Nel viaggio di ritorno si
riprometteva di passare per Vicenza, per consegnare al Farina la copia della « carta di conformità » ed informarlo di quanto era stato fatto a
Roma, ma non le fu possibile.
Il 28 giugno comunicò al Farina: « Il Santo Padre [...] facendoci varie
interrogazioni, tra le altre ci disse: le molte Case formeranno poi una sola.
Ho mostrato che questo è nostro desiderio, e tornerà utile alla conservazione
dello spirito [...]. Nel frattempo che ci siamo trovate colà, sono state
disposte tutte le carte, per inoltrarle alla Congregazione dei Vescovi e
Cardinali, affine sieno esaminate. Il Conte Luca non ha lasciato quei passi,
che credeva tornar potessero utili allo scopo propostoci ».80
Tutto sembrava procedere
tranquillamente. Il 10 luglio 1844 il Farina scrisse a Madre Rachele: « Attendo dal Conte Luca uno scritto sopra l’avvenuto »;81 e dieci giorni dopo la informò di aver ricevuto dall’imperatrice
duemila fiorini.82
Il 21 luglio ne diede notizia anche
a don Luca, e gli chiese: « Come
vanno le faccende di Roma? Sento dire: assai bene. Ma nulla so di positivo.
Ella mi informi ».83
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Don Luca rispose,
esprimendogli la sua « consolazione » per il dono dell’imperatrice, e gli comunicò:
« Non le posso dir altro riguardo all’approvazione
se non che le cose sono bene disposte e si spera molto, e l’Instituto in Roma
gode molto favore; ma fino a che la Congregazione non ha dato il voto non si
può sapere niente, e sono cose che vanno in lungo. Intanto bisogna far pregare ».84
Nel mese di agosto non risulta
alcuno scambio di lettere tra il Farina, il Passi e Madre Rachele. Bisogna
attendere il 4 settembre per trovare una lettera del Farina al Passi. Essa
seguì all’incontro del giorno 3, e gli comunicò il suo dissenso.
Il 16 settembre il Farina, « a toglimento d’ogni equivoco spiacevole, di cui
assolutamente vogliam tolto ogni motivo », informò il Balbi di non potere accettare « le innovazioni [...] nel Regolamento », fattegli conoscere « solamente da pochi giorni», perché alteravano il suo Istituto, che « non fa mestieri né di riformarlo, né di promuoverne
novella approvazione ».
Pregò, quindi, il Balbi di riferire ciò anche alla superiora di
Venezia.85
Madre Rachele, quando mons. Balbi le
fece avere la lettera del Farina, ne soffrì, pregò e cercò di adoperarsi per
far superare la tensione creatasi, convinta che vi era stato un malinteso.
Il 17 settembre,
con animo accorato, scrisse al Farina: « Dessa [lettera] mi ha destato una gran pena,
mentre avrei sempre bramato che cotesta Casa, dalla quale noi ricevemmo vita, stasse
a tutte le altre unita, e godessimo così della bella dilezione tanto cara e da
me desiderata ».
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Dopo di avergli
manifestato il suo convincimento che egli fosse stato per tempo informato dei
passi fatti a Roma, proseguiva: « Frattanto io non lascerò di pregare Dio, affine – s’è possibile –
possiamo starci uniti, e conformati; ma comunque il Signore avesse a disporre
le cose, io prego la di Lei carità e così la mia buona Madre tenermi sempre
quale io sono, benché indegna, figlia loro, e non mi neghi, La prego, la
consolazione di qui averla, venendo in Venezia ».86
Confrontando questa lettera con
quella di don Luca al Farina, in data 9 settembre, se ne vede la diversità di
tono. La lettera di Madre Rachele è distensiva ed aperta alla speranza; quella
di don Luca è esplicita e decisa.
Il 19 settembre il Farina rispose a
Madre Rachele. Dopo di aver ripetuto il suo pensiero, concludeva: « Desidero anch’io che almeno in ispirito siam
sempre uniti. E dal canto nostro lo saremo sicuramente. V’accerto che per nulla
scemò in noi l’affetto per voi e per tutte. Verrò certo a Venezia e verrò da
voi, purché voi pure venghiate qui. Questo è il sentimento pure di questa
Superiora che vi ama egualmente. Travagliamo pertanto con sempre eguale energia
alla gloria del Signore, a cui solo sia onore e gloria per tutti i secoli de’
secoli. Spero mi continuerete a scrivere qualche volta ».87
Il 25 settembre Madre Rachele,
ringraziando il Farina della promessa di recarsi alla casa di Venezia,
affermava: « Mi lusingo ancora
siensi mal intesi col Signor Conte D. Luca, mentre l’assicuro che la sostanza
del nostro Istituto non è minimamente cangiata. Al suo venire potrò chiaramente
significarle quello [che] credevo già sapesse ». Gli comunicò - 336 -
poi l’avvenuta
rinnovazione dei voti ed altre notizie della casa di Venezia.88
Il 28 settembre informò don Luca: « Ho pure fatto sentire gratitudine per la
promessa che fammi di qui venire, dicendogli sperar io non siensi ben intesi
con Lei, mentre la sostanza delle Regole non è minimamente cambiata ».89
I buoni rapporti tra Venezia e
Vicenza continuarono, come risulta dallo scambio di lettere tra il Farina e
Madre Rachele.
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