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3. Maestra delle novizie.
Dal mese di settembre in poi la sua
salute continuò abbastanza bene, sì da consentirle non solo di svolgere gli
incarichi che già aveva,35 ma di addossarsi in più quello del noviziato.
Maestra delle novizie era suor Maria
Luigia Roberti che, per il suo temperamento timido, non era del tutto idonea.
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La Sanfermo, esponendo a
don Luca le difficoltà della casa di Venezia, accennò al malcontento, che
regnava in noviziato: « Sento
pure continui lagni dalle Novizie per lo spirito legato della Madre Maestra ».36
Lasciò passare alcuni mesi, nella
speranza che la situazione mutasse, ma alla fine di settembre o ai primi di ottobre
affidò la guida del noviziato a Madre Rachele. La scelta fu quanto mai felice;
il suo ritorno in noviziato vi riportò la serenità e la pace.
La Sanfermo, nel registrare il
celere mutamento, esalta le doti di formatrice che Madre Rachele aveva: « La nuova Madre Maestra è un portento per le
novizie; vedo chiaramente che il Signore l’ha voluta onde allevare delle buone
Suore ».37 Ancora: « La
salute della Madre Maestra non può esser migliore: le Novizie sono beate di averla;
presto darà principio alla lingua inglese, perché non si sa cosa vorrà il
Signore ».38
Gli anni 1848 e 1849 furono
particolarmente difficili, per gli avvenimenti che sconvolsero Venezia. Nella
primavera del 1848 scoppiò la rivoluzione, che portò alla costituzione del
governo provvisorio e alla proclamazione della repubblica. Vi furono poi le
epidemie di vaiolo e di colera.
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Del 1848 non abbiamo
alcuna lettera della Sanfermo; ne è stata conservata soltanto una di Madre
Rachele alla Cocchetti.39
Scoperti sono anche i primi cinque
mesi del 1849. Dobbiamo arrivare al 28 maggio, per trovare un’altra lettera
della Guardini.
Per timore dei bombardamenti, la
Sanfermo decise di far allontanare le suore dalla casa di S. Andrea, troppo
pericolosa, perché vicina alla stazione ferroviaria e nella zona esposta della
città.40
Dapprima, si era pensato di
trasferirsi al palazzo Sanfermo, ma il consigliere Angeloni lo sconsigliò. Si
scelse allora la casa dei Catecumeni alla Salute, ritenuta più sicura per la
sua ubicazione.
Madre Rachele scrisse al patriarca,
pregandolo di intervenire presso la direzione, perchè non
ponesse ostacoli.41
Le suore con le educande vi si
trasferirono nel pomeriggio del 31 maggio.42 A custodia della casa di S. Andrea rimase suor
Costanza Ballardini.43
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Il 23 agosto 1849 Venezia
si arrese agli Austriaci. Ristabilitosi l’ordine, le suore, il martedì 28
agosto, dopo tre mesi, fecero ritorno alla loro casa di S. Andrea.44
Le comunicazioni, che per un lungo
periodo erano state ostacolate,45 divennero regolari. Riprese, quindi, la
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corrispondenza di Madre Rachele con mons. Farina e don Luca.
Il 30 agosto, rispondendo al Farina,
ella scrive: « Noi eravamo in mezzo
alle circostanze più orrende, ma salvate fummo dalla bontà di Gesù e di Maria,
e tengo anche abbia cooperato a ciò la nostra Santa Dorotea. In vero non
abbiamo patito che per quelli [che] soffrivano, ed il mio cuore avrebbe voluto
sacrificarsi per tutti, ed ogni momento lo offeriva, ma non era certo
abbastanza apparecchiato, perché non si è ancora consumato intieramente ».46
Ripresero anche i contatti
epistolari della Sanfermo con don Luca47 e con le suore delle altre case.48 Degno di rilievo è quanto scrisse alla
Cocchetti: « La Madre Maestra,
che tanto vi saluta, ha dato dei nuovi frutti nel Noviziato, diminuendo le
Educande maggiori; diamo di tutto lode al caro Gesù ».49 Alcune educande infatti, sotto la guida di Madre Rachele,
maturarono la vocazione religiosa ed entrarono nell’Istituto.50
Il 6 ottobre ebbe inizio il corso
annuale di esercizi spirituali. Al termine si svolse l’elezione della
superiora. La Sanfermo venne confermata per un altro triennio.
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Madre Rachele, contenta,
il 16 ottobre pregò il patriarca di voler « particolarmente » benedire la superiora,
« perché il buon Gesù la sostenga nel gravoso
ufficio suo ». Aggiungeva: « Per quanto io potrò, certo non ometterò giovarla ».51
La salute di Madre Rachele veniva
provata di tanto in tanto da qualche disturbo. Il 19 novembre 1849 ella confidò
al Farina: « Continuo ad
essere debolissima e forte insieme; sempre il buon Gesù mi regala con
dolori e frequenti febbri; da un anno e più sono minacciata d’idropisia,
malattia di famiglia. Questa si è manifestata colle febbri e veementi
pulsazioni di cuore […]; tuttavia il buon Gesù mi lascia stare in piedi e
m’aiuta a portare i miei maletti con allegrezza ed attività, quasi non li
patissi ».52
Le era di grande conforto il
profitto delle giovani affidate alle sue cure. Umilmente confessava alla
Olivieri: « Provo una grande
confusione, quando penso alla mia pochezza, per essere stata dal buon Gesù
innalzata [a] cooperare alla salute delle anime; ma tanta sente inoltre brama
l’anima mia di veder amato il buon Gesù che, trasportata di tenerezza, godo in
vedere quanto sono virtuose le giovanette affidatemi; per cui, elettrizzata da
questo dolce contento, vivo beata e posso portare attivamente in piedi i
quotidiani maletti che sonomi carissimi, perché temerei di non seguire Gesù, se
non fossi di questi regalata ».53
Il lavoro compiuto in quegli anni da
Madre Rachele nell’educandato e nel noviziato fu prezioso per l’Istituto. Sotto
la sua guida il noviziato conobbe un periodo di - 379 -
splendore. Il numero
delle novizie andò sempre più crescendo; da sette – quante erano nel 1847 –
passò a ventidue nel 1851. Questo incremento consentì l’apertura di nuove
case.54
Dall’annotazione di due verbali
della Pia Opera appare l’intenzione di don Luca di affidare a Madre Rachele la
fondazione della casa di Forlì.55 Della notizia non si trova conferma in altri documenti. Di fatto
Madre Rachele fu lasciata a Venezia. Pertanto, se don Luca davvero aveva
pensato al trasferimento di lei, decise poi diversamente, forse per la malferma
salute di Madre Rachele, o perché la Sanfermo non volle privarsi della sua
valida collaborazione.
Nel marzo del 1850, essendosi sparsa
la voce della nomina di don Luca a vescovo di Brescia, Madre Rachele temette
che il fatto, se vero, gli impedisse di perfezionare l’opera incominciata.
Sicura però che nulla avviene che Dio non voglia o permetta, contenta ripeté il
suo fiat.56
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Lo
stesso pensiero espresse quando mons. Farina fu eletto vescovo di Treviso.
Ella, infatti, aveva conservato ottimi rapporti con Vicenza, dopo aver
terminato l’incarico di superiora. Il 3 aprile 1847 scrisse al Farina: « La presente carestia mi ferisce tante volte, quante
a cotesta Casa corre il mio pensiero, e vorrei poter mostrare col fatto quanto
io l’amo, e nella mia impotenza di operare picchio ai Cuori dolcissimi di Gesù
e di Maria, perché provvedano ad essa ».57
Il 20 dicembre 1849, rispondendo
alla Olivieri, afferma: « Sono
restata mortificata, quando ho cominciato a leggere, trovando una nuova maniera
di esprimersi. Cara Madre, passa il tempo sì, ma non cessa la Rachele di essere
sempre la gratissima Rachele; in Lei giustamente veggo la mia prima Madre;
dunque mi tratti come ha sempre fatto con mio piacere ».58
Quanto affetto nutrisse per
l’Istituto di Vicenza e come ne desiderasse lo sviluppo e la prosperità, lo
dimostrò in occasione della promozione del Farina all’episcopato.
Il pensiero che, venendo meno il suo
sostegno, l’Istituto di Vicenza potesse riportarne danno, le fu motivo di
sofferenza. Però lo spirito di fede le fece superare ogni timore. Si abbandonò
pienamente alla divina volontà, che « tutto dispone per il meglio ». Il 10 giugno 1850 scrisse al Farina: « Sappia [...] ch’io non lascerò di pregare, acciò
si compisca nel modo il più perfetto la divina volontà, quand’anche le nostre
umanità venissero per sì nobile motivo a soffrire ».59
Tre giorni dopo, scriveva ancora: « Sì, la volontà di Dio si è spiegata! Baciamola
dunque, Monsignore, ripetendo con - 381 -
tutta la generosità dell’anima, sia
fatta sempre da noi quaggiù in terra, come la fanno gli Angeli e Santi nel
cielo! [...] Oh bella volontà di Dio! sazietà dell’anima, calma nelle angustie,
fortezza soavissima in tutte le circostanze della vita. Oh amabilissima volontà
di Dio! ». Assicurava, quindi, le preghiere sue, delle
suore, delle novizie e delle fanciulle, per ottenere grazie speciali al Farina
e all’Istituto di Vicenza.
Concludeva: « la Signoria Vostra faccia ogni sforzo per lenire
il peso a cotest’amata Comunità ».60
Lo stesso 13 giugno inviò anche alla
Olivieri una lettera di conforto, esortandola ad adorare la volontà di Dio: « quello [che] ci viene dalla sua mano è buono
relativamente a Lui, ch’è bontà per essenza, [e] buono per noi ». Egli infatti « conosce che cosa ci sta bene ».61
Mentre era a Padova, avrebbe voluto
recarsi a Vicenza, per ossequiare di persona mons. Farina e rivedere « l’amata comunità »; non avendo però il permesso, fece della sua « viva brama un’offerta » al Signore e alla Madonna.62
Le ricadute nella malattia, sempre
più frequenti e prolungate, avevano ormai consumato le forze di Madre Rachele.
All’inizio del 1852, una nuova crisi la portò vicino alla morte. Il 4 febbraio
ricevette il Viatico; la sera, fu
esposto il Santissimo e si pregò per la sua agonia.63
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Non era però ancora giunta
la sua ora! La notte tra il 5 e il 6 febbraio, giorno dedicato a Santa Dorotea,
si verificò un sensibile mutamento, che procurò la meraviglia del medico
curante; ma le sofferenze continuarono fino al 25 marzo.64
L’11 aprile Madre Rachele disse alla
Olivieri di essere stata « lasciata
per un poco ancora in questo esilio ».65
Appena cominciò a stare benino, fu
destinata all’ufficio di superiora del conservatorio delle Zitelle.66
Si trovava ivi da una quindicina di
giorni, quando venne eletta la nuova superiora della casa centrale. Il 9
settembre - 383 -
1852 suor Maria Luigia Roberti fu chiamata a succedere alla
Sanfermo.67
In quello stesso giorno Madre
Rachele scrisse alla Roberti, che ella aveva accolta nell’Istituto ed avviata
alla vita religiosa, una nobile lettera, espressione dello spirito
soprannaturale che l’animava.
Le confermò « l’affetto rispettoso », sempre nutrito per lei, e le confessò di non
aver avuto il coraggio di concorrere a porle sulle spalle quel peso, « conoscendo la sua timidezza e le pene, a cui va
soggetto il suo spirito ».
La incoraggiò, esortandola ad aver
fiducia nel Signore, che non le avrebbe fatto mancare l’aiuto della grazia.
Concludeva, dichiarando la sua sottomissione: « Da questo momento la prego disporre di me con
libertà, sicurandola che, ove potrò coadiuvarla perché abbiano felice esito le
disposizioni del nostro buon Gesù, sarò contenta di farlo, quand’anche mi
costasse qualche sacrificio ».68
La Sanfermo fu nominata assistente
ed economa.69 Il 9
settembre Madre Rachele le scrisse: « L’essere sollevata dal peso - 384 -
di reggere, la pone più
facilmente in potere di eseguire quanto S. Bernardo a se stesso frequentemente
diceva, cioè: perché sei tu entrato in religione? A questo fine Le ricordo
quanto mi disse pochi giorni prima di compire il suo regime, che qui verrebbe a
fare i Sti Esercizi ».70
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