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5. Donna prudente e forte.
Madre Rachele si distinse nella
virtù della prudenza. Ne diede prova, innanzitutto, nell’orientamento della
vita a Dio e nella scelta dei mezzi per raggiungere il fine ultimo.
Scopo unico delle sue azioni fu la
gloria del Signore, la propria salvezza e quella degli altri.
Prima di agire rifletteva, si
consigliava e pregava, per chiedere lumi al Signore e conoscerne la volontà.
Conosciutala, la seguiva con fermezza.
La sua prudenza rifulse in modo
speciale nella fondazione dell’Istituto. Riuscì ad innestare su un vecchio
albero un nuovo germoglio e ne curò lo sviluppo, evitando contrasti e
lacerazioni.
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Con ammirabile saggezza
indusse le Figlie dell’Addolorata alla disciplina del nascente Istituto, le
formò allo spirito di esso e scelse le candidate idonee.142
Pur essendo accesa di zelo, non si
lasciò mai prendere dall’impeto e dalla fretta sconsiderata. Nell’assumere le
opere e nell’allargare il raggio di azione della Pia Opera procedette con
gradualità, badando prima alla formazione religiosa ed apostolica delle suore.
Credeva meglio che fossero poche,
ma sagge e zelanti, piuttosto che molte ed inoperose.143
Nella fondazione delle case, esigeva
che fossero ben determinate le condizioni anche riguardo al necessario
sostentamento delle suore, per evitare che le preoccupazioni materiali
turbassero la loro serenità e incidessero negativamente sull’attività
apostolica.144
Evitava di esporsi a rischi. A un
parroco, che insisteva per fare accogliere alcune giovani, rispose: « Riguardo alle giovani sue parrocchiane, dalla
carità sua raccomandatemi, dirolle che presentemente ho ricevuto il numero
conveniente per l’Istituto nostro, per cui non avendo fin qui lo stesso fondi
propri, è necessario che usi della ben dovuta prudenza, onde non avermi a
pentire ».145
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Si formava un giudizio
chiaro e preciso delle persone e delle situazioni, e lo esprimeva con
sincerità. Diceva sempre lealmente a mons. Balbi, a don Luca e a don Antonio
Farina quello che riteneva di dover dire.146
Ella si trovava in una condizione
delicata. La casa di Venezia, filiale dell’Istituto di Vicenza, aveva, infatti,
un triplice riferimento: a don Luca, fondatore; a mons. Balbi, superiore
ecclesiastico; a don Antonio Farina, superiore di Vicenza.
Riuscì a tenere i rapporti con tutti
e tre in modo così equilibrato da riscuotere il loro apprezzamento. Il suo
atteggiamento torna a gran merito di lei e ne dimostra l’intelligenza, il tatto
e la virtù.
Come superiora, ebbe un vivo senso
della sua responsabilità e adempì scrupolosamente tutti i suoi doveri. Lo si
vide chiaramente nella fondazione delle case filiali. Ella dichiara: « Credo Dio infinitamente provvido e lo
esperimento, ma lo Stesso vuole che usi la prudenza ben dovuta, perché l’opera
sua perfezionasi. Siamo mortali, perciò è bene operare cautamente »;147 « S’io sarò dal Signore presto chiamata, non
voglio lasciar imbarazzate quelle che restano ».148
La stessa cautela chiedeva a don
Luca: « Le raccomando di usare tutta la prudenza, onde
ben regolate sieno le cose, cioè che i documenti sieno fatti in regola, perché
non bastano - 437 -
le belle disposizioni. Siamo mortali, dunque parmi
prudenza disporre tutto cautamente ».149
In verità, si deve alla saggezza di
Madre Rachele la giusta impostazione, che favorì il rapido sviluppo
dell’Istituto.
Nell’ultimo anno di vita diede
un’altra prova della sua non comune prudenza, nella direzione del conservatorio
delle Zitelle, riuscendo nel giro di un anno a trasformarlo totalmente.150
Madre Rachele fu una donna giusta
nel senso evangelico della parola. Praticò la virtù della giustizia verso Dio,
dedicando tutta la vita al servizio e alla gloria di Lui.151 Ne seguì sempre la volontà e ne osservò
fedelmente la legge e l’insegnamento.152
Tutto quello, che si riferiva a Dio,
era in cima ai suoi pensieri e costituiva lo scopo primario della sua attività.
Intendeva impiegare tutto il tempo per il Signore, senza perdere un solo « attimo ».153
Fu fedele nell’adempimento dei
propri doveri, impegnandosi fino a sentirsi qualche volta venir meno.154 Non toglieva ad essi neppure « un momento » e cercava di compierli « rettamente », il
« meno imperfettamente » possibile.155 Pensava - 438 -
che dal suo modo di operare
poteva dipendere il bene di molte anime,156 e lo stesso impegno raccomandava alle
suore.157
Esercitò pure la
giustizia verso il prossimo, armonizzandola con la
carità: due virtù da lei « particolarmente amate ».158
Aveva un profondo rispetto per la
personalità e i diritti degli altri, evitando di offendere anche il più
piccolo. Era puntuale ed esatta nell’adempiere i propri impegni; obiettiva ed
imparziale nel giudizio e nel comportamento verso tutti.
Nutriva profonda riconoscenza per i
benefattori dell’Istituto e la concretava nella preghiera.159
Si dichiarava amante della
semplicità,160 e di
fatto era semplice e trasparente, leale e sincera, aliena da sotterfugi e
astuzie. Il suo era il linguaggio della verità, che con garbo diceva sempre a
tutti.161
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Da sottolineare è anche la
virtù della fortezza di Madre Rachele. Ella ebbe per natura un temperamento
forte, ma riuscì a dominarlo perfettamente, con il controllo continuo di se
stessa.
Fu libera da impulsività e
impetuosità; in ogni circostanza ci appare padrona di sé, eguale di spirito,
senza alti e bassi, serena, equilibrata, dolce, affabile e ilare.162 Questo le guadagnò la stima e l’affetto di
quanti la conobbero.
Esercitò la fortezza nel tendere a
Dio nel cammino di perfezione, mai interrotto da alcuna difficoltà interiore o
esterna.
Concepì la vita terrena come un « combattimento » e, fortificata dalla grazia, la visse lottando, per santificarsi
ed ottenere la corona celeste.163
Pur sentendosi inclinata alla vita
contemplativa, accolse, per consiglio del confessore, l’invito di don Luca,
divenne suora dorotea e, per ubbidienza, rimase fedele a questa scelta, benché
di tanto in tanto si facesse sentire fortemente l’attrattiva alla vita del
chiostro.164
La sua fortezza si manifestò poi
nella non facile impresa della fondazione e del governo dell’Istituto.
Quale fosse la sua condotta traspare
chiaramente da quello che scrive a Barbara Pagani: « Le dirò che ho provato piacere, intedendo dalla
sua lettera la determinazione da Lei presa, ma più godo per la fermezza che
dimostra: questa è proprio quella cristiana virtù, chiamata fortezza, per cui
intrapresa - 440 -
dall’anima un’opera, che ridondare ne possa gloria a Dio,
vi resiste a costo d’ogni patimento, anzi di questo si compiace, perché atta la
rende con ciò ad avvicinarsi all’Amante Divino, il quale contentossi di
spargere tutto il preziosissimo suo sangue per redimerla.
Ritenga pure ciò che la serafica S.
Teresa dice di se stessa in molti capi: ‘Niente
ti turbi, colla pazienza tutto si acquista’;
aggiunga poi la massima di S. Paolo: ‘Omnia
possum in eo, qui me confortat ’».165
Nonostante l’intima propensione a
non comandare e a vivere sotto ubbidienza,166 accettò l’esercizio dell’autorità e lo adempì
fedelmente. Ne sentiva il peso, ma non lo rifiutò, per conformarsi alla volontà
di Dio.167
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Diede ancora prova di
fortezza soprannaturale nell’intensa azione apostolica, svolta con generoso
impegno malgrado la malferma salute.
Le difficoltà non l’abbattevano,
anzi ne ringraziava il Signore, che le permetteva per rafforzarla nella virtù.
Esclamava: « Sia benedetto
Iddio, che si serve dei venti impetuosi, per rassodare anche le piante deboli ».168
Quando un parroco si oppose
all’istituzione della Pia Opera nella sua parrocchia, Madre Rachele accolse
umilmente la permissione del Signore.169
In ogni contrarietà rimaneva serena,
perché – diceva – tutto quello che turba non viene da Dio, che è
Dio della pace.170
Nelle varie malattie, che la
travagliarono portandola a prematura morte, dimostrò tale forza di animo da
suscitare la commossa ammirazione delle suore.
Degno di rilievo è il suo grande spirito
di sacrificio e di mortificazione. La morte precoce del padre mutò le
condizioni economiche della famiglia, ed ella dovette ben presto cominciare a
lavorare fuori casa.
La dura esperienza, affrontata con
spirito di fede, le fece acquisire quel carattere di serietà che distinse tutta
la sua vita e le meritò la stima affettuosa delle famiglie presso le quali
prestò il suo servizio.
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Continuò così nella vita
religiosa, dando esempio di laboriosità e di dedizione. Oltre al normale
governo dell’Istituto e alla formazione delle suore, attese senza risparmio di
energie all’apertura di nuove case e alla diffusione della Pia Opera.
Pur oberata da numerosi ed ardui
problemi, con non lieve sacrificio si impegnò perfino nello studio, per
conseguire il diploma di abilitazione all’insegnamento. Considerava, infatti,
la preparazione culturale necessaria alla missione delle Suore di S. Dorotea.
Spesso era costretta a lavorare
anche di notte, per far fronte alle esigenze dell’ufficio e
per sbrigare la corrispondenza.171
Talora suor Maria Rosa Sanfermo,
preoccupandosi della sua salute, doveva intervenire per sollecitarla ad
andare a letto.172
Nel vitto, come nel sonno, fu molto
mortificata. Ella riferisce: « Qui
si lavora giorno e notte, dando al corpo quel solo che può bastare perché non
cada, eppure ho spesso forti dolori di capo. Siane ringraziato il buon Gesù,
che così dispose di me ».173
A don Luca, che le aveva dato notizie
sui soggetti per la fondazione della casa di Bologna, rispose: « Io sono persuasa che tutte, tutte saranno
vestite dello spirito di mortificazione, ma se mai qualcuna più ne sentisse la
ripugnanza, io la prego, per amor di Dio, di vincersi onde non abbia da
demeritare le celesti benedizioni ».174
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Ebbe una grande
sensibilità, che riusciva a dominare perfettamente. Il
9 febbraio 1840 scrive alla sorella Marietta: « Eccomi a subito appagare il desiderio della cara
Mamma. Dille pure che la mia salute è buona, ed il motivo del mio ritardo a
scrivere fu solo per timore di mancare al mio dovere, oppur soddisfarmi ».175
Trovandosi a Padova per il
trasferimento di una suora ammalata, desiderava spingersi fino a Vicenza, ma
vi rinunziò e il 9 luglio 1850 da Venezia scrisse al Farina: « Oh quanto desiderio sentivo di giungere fino
costì, per baciare la sacra Sua mano e rivedere l’amata Comunità, ma non avevo
permesso di ciò eseguire, così feci di mia viva brama un’offerta al buon Gesù ed
alla cara nostra Madre ».176
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