- 443 -
6. Religiosa esemplare.
Madre Rachele considerò la vocazione
una grazia speciale, « sublime », un grande dono della divina bontà per la santificazione
dell’anima e per il bene del prossimo. Bisogna perciò saperlo conoscere ed
apprezzare, ringraziarne Dio e corrispondervi fedelmente.177 A tal fine, la suora, chiamata - 444 -
alla
sequela di Gesù, per amore di lui deve impegnarsi nel cammino di perfezione,
distaccarsi da tutto e servirlo con diligenza e fervore.178 Questi sentimenti cercò di infondere anche
nelle suore.
Ella visse autenticamente la
consacrazione totale a Dio, con la pratica fedele e gioiosa dei voti religiosi,
« dolci catene che, aggiunte al giogo soave del
Signore, sciolgono piuttosto che legare l’anima ».179
Fece dell’ubbidienza la norma della
sua vita. Confidò a mons. Balbi: « Tosto questa mattina sarò unita al Sacramentato Gesù, pregherollo
acciò mi conceda la grazia di sempre obbedirla nel modo che si conviene a chi
per mezzo di questa virtù vuol santificarsi; e, per verità, fino dalla mia
giovinezza la riguardai come àncora, benché, per la mia debolezza, qualche
volta in essa vacillassi.
Voglia il buon Gesù concedermi
quella fortezza che mi è necessaria, onde possa prima morire che disobbedire ».180
Confessa che questa virtù fu « l’àncora dolcissima », che la salvò da tanti pericoli.181
La sua ubbidienza era illuminata
dalla fede, che l’assicurava di non errare ubbidendo.182 Anche quando aveva un’opinione
- 445 -
diversa, era pronta a ubbidire, perché nella volontà dei superiori
vedeva quella del Signore. Comunica a mons. Balbi: « Esattamente ho adempita la di Lei volontà,
sempre a me carissima, perché in questa riconosco quella dell’amabile mio Gesù ».183
Spiega a don Luca: « La sua lettera permise Dio che giungesse troppo tardi [...]. Credo non
tituberà persuadersi ch’io avrei fatto a suo riguardo il dimandato sacrificio,
benché contro volontà, ma per rispetto: di ciò ebbe tant’altre volte prova,
mentre conosce la Rachele, che non avrebbe mai ceduto per inclinazione in
quello non fosse stata persuasa; ma oh la bella volontà di Dio, che veggo in
quella dei Superiori, mi porterà nella tomba ».184
Confessa che talora deve farsi
violenza per ubbidire, ma è contenta di offrirsi vittima al Signore, per
eseguire la sua volontà.185
In lei l’umiltà si traduceva nella
più generosa ubbidienza. Solo per ubbidienza accettò l’incarico di superiora e,
ad ogni scadenza, chiedeva di non essere riconfermata; il suo desiderio però
non veniva esaudito, ed ella si piegava per ubbidienza.186
Esercitò il suo ufficio con molto
senso di responsabilità, nel rispetto della competenza dei superiori,187 e a loro sottomessa.
- 446 -
Convinta dell’importanza
dell’ubbidienza per la vita religiosa e per la perfezione, la raccomandava con
insistenza alle suore. Desiderava che la loro ubbidienza fosse pronta, cieca, esatta, cordiale, allegra.188
Scrive: « Non si può chiamar virtuosa quell’anima, che fa
la sua volontà».189 Alle sorelle Roberti, che desideravano entrare
nell’Istituto, dice: « Sì,
il desiderio, che mostrate di vincolarvi col soave giogo dell’obbedienza, mi
rallegra, essendo questa quella virtù che da noi dev’essere particolarmente
amata.
Altri Istituti ci avanzino pure
nell’austerità, ma nessuno nell’annegazione della nostra volontà
e nella santa obbedienza. Sia essa da noi esercitata così semplicemente, prontamente,
ed universalmente; ben inteso quando non venga comandato cosa che si opponga a
Dio. Con questa risoluzione e colla benedizione del Signore potrete far
miracoli ».190
Madre Rachele si adoperò per non far
mancare alle suore il necessario e per provvedere alla decenza dell’alloggio,
ma fu amante della povertà e la praticò fedelmente insieme con le suore.
Diceva che bisognava guadagnarsi il
pane col sudore della propria fronte: « Dunque dobbiamo essere operose, onde non divenire pesanti ai nostri
prossimi ».191
Mons. Balbi le aveva permesso di
recarsi a far visita alla mamma gravemente ammalata, ma ella dové chiedere a
don - 447 -
Luca il danaro per il viaggio, « non essendo capace l’Istituto di sostenere
questa spesa ».192
Ebbe il culto della Regola; ne
osservava scrupolosamente perfino le più piccole prescrizioni193 ed esigeva lo stesso anche dalle suore.194 A tal fine seguiva con molta cura le comunità
delle case filiali.195
Amò l’Istituto, restò ad esso
fedele, nonostante la forte attrattiva alla vita contemplativa.
Appena giunta a Venezia, con molto
impegno si mise all’opera. Il lavoro della fondazione e del governo della casa,
le emozioni della nuova vita, la responsabilità e il clima di Venezia, a lei
non favorevole, incisero sulla sua salute.
Nell’ottobre del 1838, dopo appena
due mesi dall’arrivo a Venezia, don Farina la trovò deperita e le propose di
ritornare a Vicenza per curarsi.196 Ella però preferì restare a Venezia, pensando forse che,
allontanandosi, avrebbe compromesso l’istituzione appena avviata. Il Dentella
commenta: « Generosamente
offerse di nuovo se stessa, preferendo morire a Venezia, se così a Dio
piacesse, ma non abbandonare la casa. Benedetta risoluzione! fu la salvezza
della casa di Venezia ».197
- 448 -
Le lettere sono una
testimonianza preziosa della sua donazione e del suo servizio. La sua attività
per la casa e per lo sviluppo dell’Istituto ha del prodigioso.
Fece una cernita rigorosa delle
aspiranti, scegliendo quelle che giudicava idonee, e ne seguì con molta cura la
formazione. Scrive al Farina: « Vedrò
più volontieri a partire tutte che a professare senza lo spirito di Gesù Cristo »;198 e a don Luca: « Troppo dolore proverei, se vedessi vestire una
che non avesse il vero spirito».199
Per assicurare l’espansione
dell’Istituto, avvertì la necessità del riconoscimento giuridico e si adoperò
per ottenerlo.
Diede, poi, inizio alla fondazione delle
case filiali, usando chiarezza e fermezza per evitare deviazioni
dall’ispirazione originaria e dalla finalità primaria.
Terminato l’incarico di superiora,
continuò umilmente fino alla morte il servizio all’Istituto.
Con tutta verità si può affermare che
impersonò il tipo perfetto della suora dorotea.
|