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7. Modello
di umiltà.
Le eccellenti qualità e le insigni
virtù di Madre Rachele si ammantavano di una profonda umiltà. Ella la raggiunse
con forte impegno, convinta dell’importanza di questa virtù per avanzare nella
perfezione, per « arrivare
al perfetto Amore »,200 per imitare Gesù: « Nell’umile soggezione facilmente si
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purifica l’anima, la quale non potrà mai elevarsi, fintantoché non si
annichila ».201
Diceva: « Chi volontariamente s’abbassa, obbliga il
Signore a tirarlo dolcemente a sé ».202
Fu costante nel lottare contro
l’amor proprio.203 Scrive
a mons. Carlo Ferrari: « Le
annuncio con dolore che spenta non è ancor in me la malattia della superbia, ma
tutto sento il desiderio di guarire, per cui volentieri sostengo le
tante necessarie umiliazioni, onde giungere al possesso della bella
umiltà, tanto necessaria per seguire più da vicino il caro Gesù ».204
Pur avendone tutte le capacità
naturali e soprannaturali, rifuggiva dall’ufficio di superiora,205 non tanto per il peso e i sacrifici che esso
comportava, quanto piuttosto per la condizione stessa di essere posta
al di sopra degli altri. Si sentiva « incapace », « insufficiente » a tale compito.206
Sprofondata nell’umiltà, viveva in
un abituale sentimento di indegnità ed esprimeva di sè un giudizio severo. Si
riteneva l’ultima di tutti, « la
più miserabile », « la più infima », « la
più indegna », e a tutti chiedeva
preghiere per la sua miseria.207
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Si dichiarava « indegna » della grande opera, per la quale il Signore l’aveva scelta;208 un « inetto istrumento »;209 un « niente », uno « zero », cui mancando l’unità, cioè Gesù, nulla può210 una « inesperta bambina »,
condotta dalla infinita carità di Gesù.211
Quando mons. Balbi annunziò la sua
nomina a superiora della casa, ella ne restò colpita. Scrisse al Farina: « Mi sono sentita mancarmi il cuore, in pensando che
il Signore si vuole servire della più infima fra le sue creature ».212
Temeva che la sua indegnità fosse di
ostacolo alle benedizioni divine sulle suore e sull’Istituto. Confessa al rev.
Zanzotti: « L’anima mia tanto
desiderio sente di vedere amato il buon Gesù che non vi è pena, la quale
disposta non sia [a] soffrire contenta. La sola cosa, che molte volte mi
opprime, è il conoscimento di mia miseria, che fammi temere di trattenere la
mano di Dio a versare le sue benedizioni sopra questo povero Istituto, ciò per
la insufficienza mia.
Partecipai ai miei Superiori tale
sentimento, e credettero comandarmi disprezzare i timori, per soddisfare alla
volontà di Dio ».213
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Chiede ad Antonia
Zanzotti: « Voi pregate,
acciò per la mia superbia non abbia a trattenere la sua mano ».214
Nell’esercizio del « capitolo della colpa », dopo di aver assegnato la penitenza alle
suore, le faceva ritornare al proprio posto, perché « il vederle ai piedi d’una miserabile come io
sono, non posso resistere senza venir meno ».215
Pur professando la sua pochezza,
Madre Rachele si accinse umilmente all’opera, confidando nel Signore, e solo a
lui attribuisce tutti i buoni risultati, che non tardarono a venire.216
Nutre vivo sentimento di
riconoscenza verso la misericordia di Dio, che opera tutto per mezzo del « niente»
che è lei. Dichiara: « Sono
sempre più confusa, vedendo le benedizioni che il misericordioso Iddio versa di
continuo sopra questo suo niente»;217 « Oh, quanti mali commetterei, se Egli colla sua
bontà non mi sorreggesse continuamente; io veggo proprio la sua mano
sempre pronta per aiutarmi ».218
Dinanzi alle innumerevoli
benedizioni divine esclama: « Io non so contemplare questo nostro Istituto senza ricordarmi di
ciò che ha fatto Gesù Cristo per nostro amore ».219
Il suo animo traboccava di
riconoscenza per le grandi cose, che il Signore compiva in lei e per mezzo di
lei. Commossa - 452 -
ripete a Dio il più sentito ringraziamento ed invita
gli altri ad unirsi alla sua preghiera.220
I successi non la esaltavano, ma le
facevano sentire più forte il dovere di corrispondere alle grazie del Signore.
Scrive ad Antonia Zanzotti: « Voi vedete quanti motivi ho per confondermi. A che
cosa mi servirebbero tanti onori, se nel gran giorno vedessi scritto: hai mal
corrisposto? Mia cara, se davvero mi amate, pregate affine ottenermi questa
grazia ch’io abbia sempre presente il mio niente, come il tutto che posso
coll’aiuto di Dio ».221
Spesso chiedeva preghiere per poter corrispondere ai
benefici e alle grazie, che riceveva continuamente dal
Signore.222
Suo atteggiamento costante era di « scegliere sempre l’ultimo posto, e tenersi come
lo straccio della cucina che, adoperato, si mette in angolo senza riguardo ».223 Fedele a questo principio, il 6 gennaio 1840, mentre soffriva
forti dolori negli occhi, scrisse a don Luca: « Mi rallegro nella speranza che, divenendo cieca,
sarò da tutti dimenticata».224
Il 9 settembre 1852 venne eletta
superiora dell’Istituto suor Maria Luigia Roberti. Madre Rachele, che l’aveva
accolta nell’Istituto ed avviata alla vita religiosa, la sera di quel giorno le
scrisse: « Da questo momento
la prego disporre di me con libertà, sicurandola che, ove potrò coadiuvarla
perché abbiano felice esito le disposizioni del nostro buon Gesù,
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sarò contenta di farlo, quand’anche mi costasse qualche sacrificio
[...]. Rispettosa bacio sua mano, supplicandola impartirmi sua benedizione ».225
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