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2. Forma e
contenuto delle lettere.
Lo stile, non forbito, è quello del
linguaggio familiare. Madre Rachele non possedeva una cultura letteraria
superiore. Per la sua spontanea schiettezza, era portata ad esprimere con
semplicità il proprio pensiero, badando principalmente alla sostanza.
La forma non appare sempre corretta,
specie per quanto riguarda l’uso delle parole, gli articoli, i pronomi e la
punteggiatura.
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Spesso le virgole sono fuori posto e, invece del
punto fermo si trovano i due punti. Perciò il periodo risulta talora pesante
per la lunghezza ed il susseguirsi di incisi.
Ricorrono parole ed espressioni del
dialetto veneto che, se danno una nota di colore al testo, indicano però la
fretta nel redigerlo e la mancanza di tempo per rivederlo.
Alcune volte Madre Rachele dovette
scrivere più lettere nello stesso giorno, mentre era tutta presa dai molteplici
impegni all’interno e all’esterno della comunità.
Spesso si scusa del ritardo nello
scrivere, dovuto alle occupazioni,13 a stanchezza,14 a malattia,15 a male di testa,16 o degli occhi.17
Benché indisposta, talora scrive dal
letto.18 Frequentemente era costretta a curare la
corrispondenza epistolare di sera o di notte, «prima
di pormi a letto»,19 mentre era «aggravata
da sonno»,20 sottraendo così ore al riposo. Quasi tutte le
lettere dal conservatorio delle Zitelle sono scritte di sera tardi.
In una leggiamo: «Ora suonano le undici; ritorno d’aver
visitato tutte. Le giovanette dormono saporitamente - 34 -
senza affanno. Questo mi lusinga che dimani staranno bene».21
In un’altra scrive: «Sono già suonate le dodici pomeridiane;
sentomi stanchetta, ma non so pormi a riposo senza scriverle due righette».22
Quante volte, dopo una giornata
vissuta con ritmo intenso, dalla sua penna escono espressioni commoventi! «Lascio, perché sono stanca»;23 «Continuerei
volontieri, ma sento l’applicazione»;24 «Lascio,
perché i miei occhi dicono basta»;25 «Lascio,
perché i miei poveri occhi non permettono ch’io più continui»;26 «Direi
di più, ma Maria Rosa non vuole che più scriva».27
Soltanto chi, per ragione di ufficio
o di ministero l’ha sperimentato di persona, può comprenderla!
Madre Rachele non ebbe una
segretaria e scrisse di suo pugno le numerose lettere. Ricorse ad altra mano,
quando vi fu costretta da malattia o da disturbi della vista, e lo dice
espressamente.28
Anche in quei pochi casi, non si
limitava a dare il pensiero, ma dettava la lettera, che era sua nel contenuto e
nella forma.
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La scrittura di Madre Rachele, minuta e un po’ inclinata, è chiara
e leggibile.
Per le lettere del 4 e del 19 dicembre
1838 (nn. 14, 16) al Farina, Madre Rachele si era servita di altra mano, forse
per il mal di testa di cui cominciò
subito a soffrire a Venezia.29
Il Farina rilevò il progresso fatto
nella grafia. Ella però gli rispose: «Prima
di tutto la disingannerò di avere io tanto profittato nel carattere non
essendomi mai esercitata per avanzare, attese le altre mie occupazioni. Colei,
che scrisse, è una di queste mie care Figlie, la quale farà presto ad ottenere
la patente».30
Confrontando gli originali dal 1838
al 1853, si nota realmente un notevole progresso nella grafia. Madre Rachele
riuscì a compierlo per la sua tenacia di volontà.
Destinatari delle lettere furono
cardinali, vescovi, sacerdoti, suore, religiosi, autorità civili, familiari,
amiche, benefattori.31
Maggiore è il numero delle lettere a
don Giovanni Antonio Farina (146) e a don Luca Passi (109).
Il contenuto, per lo più, riguarda
la trattazione degli affari della casa di Venezia e dell’Istituto. Perciò le
lettere, specialmente dal 1838 a tutto il 1846, costituiscono una fonte
insostituibile per lo studio dei primi passi dell’Istituto, - 36 -
del suo sviluppo, della
sua spiritualità ed attività apostolica.
Grande è pure il valore biografico
delle lettere. Esse ci fanno conoscere il secondo periodo della vita di Madre
Rachele e ce ne svelano la ricchezza interiore, l’umanità, le doti naturali, la
nobiltà e delicatezza di sentimenti, la pietà, l’insigne grado di virtù e
l’ardente zelo.
Sono sempre soffuse di profonda fede
e di vivo amore. Anche in quelle di ordinaria amministrazione o di semplici
saluti emerge un’alta ispirazione spirituale.
Non poche sono veri documenti di
profonda spiritualità, che suscitano ammirazione.
Esse infatti sono il frutto non di
uno studio – abbiamo detto che ella non ebbe una cultura superiore – ma della «sapienza»,
che le veniva dalla vita interiore, dalla comunione con Dio e dalla
contemplazione, alimentate dalla preghiera e dalla meditazione della divina
Parola.
Con tutta verità può dirsi di Madre
Rachele: Os loquitur ex abundantia
cordis!
Non ci è stato conservato il suo
ritratto; nelle lettere possiamo scorgere il profilo della sua vita spirituale
e l’intensa sua opera a servizio di Dio, della Chiesa e dell’Istituto.
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