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3. La sorella Irene.
Nacque a Preore il 6 dicembre 1810, alle
ore 11 di mattina, nella casa segnata col n. XXXI.43 Venne battezzata in - 49 -
quello stesso giorno dal vice curato Serafino
Seraffini e le furono dati i nomi di Irene, Ignazia, Lucia.
Fecero da padrini l’avvocato Ignazio
Buffi e la signora Lucia moglie di Pietro Bertolini, ostessa.44
Ci sono state conservate diciannove
lettere a lei dirette da Madre Rachele. Esse, con qualche certificato
anagrafico, costituiscono l’unica fonte di informazione, di cui disponiamo.
Siamo però già al 1838, quando Irene aveva quasi ventotto anni.
Ebbe una vita alquanto travagliata a
causa della malferma salute e dell’instabilità di carattere.
Le buone condizioni economiche della
famiglia le avevano consentito di studiare e divenire maestra.
Sperimentando, per la sua
sensibilità e suscettibilità, difficoltà a convivere in famiglia, appena poté,
lasciò la casa e si recò a lavorare a Verona.
Madre Rachele, fin dai primi giorni
della fondazione della casa di Venezia, l’avrebbe voluta con sé per l’istruzione
delle suore. Irene si trovava allora a Verona, diretta da don Gaetano Turri,
arciprete dei Santi Apostoli.45
Questi diede il consenso, ma il
desiderio di Madre Rachele non poté realizzarsi, a causa delle non buone
condizioni di salute di Irene. I medici le avevano consigliato di ritornare a
casa, per respirare l’aria nativa.46
Si ammalò poi gravemente e ricevette il Viatico e
l’Estrema Unzione.47 Madre Rachele ne soffrì molto, pregò e fece
pregare. Si era ormai rassegnata a perderla, - 50 -
quando il 6 gennaio 1839
le giunse la consolante notizia della sua guarigione.48
Quando si fu ristabilita in salute,
Madre Rachele dovette insistere per averla a Venezia come maestra, ma il p.
Gregorio Fontana e don Turri «combinarono
che Irene entrasse in casa del fratello».
Madre Rachele commenta: «Sia anche in questo fatta la volontà del
Signore, e quantunque a me sembri che ciò non sia bene, adoro le disposizioni
del Signore, che sempre sono giuste».49
Di fatto Irene restò a Verona, in
casa Soranzo. Madre Rachele provvide con un’altra maestra,50 ma non abbandonò la sorella. «La carità, più che i vincoli del sangue»51 la spingevano a continuare ad interessarsi di
lei.
Irene era buona di animo e coltivava
la vita spirituale, era però incostante e poco docile, per cui cambiava di
frequente direttore.52
Madre Rachele ne era dispiaciuta e
apertamente disapprovava tale comportamento, che riteneva dannoso al suo
progresso spirituale: «Imprimetevi
che noi dobbiamo combattere, e che la palma viene data a chi vince; perciò
guardatevi dal lasciarvi trasportare dalla troppa sensibilità, ma
coraggiosamente seguite la volontà di Dio con somma pace, obbedendo al saggio
vostro Direttore».53
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Quando apprese che, non
essendo disposta ad obbedire, aveva lasciato il suo direttore, Madre Rachele
scrisse al Turri: «Le mostrai il mio
rincrescimento per questa cosa, e l’assicurai che, per misericordia di Dio, mi
contenterei di fare qualunque figura, piuttosto che omettere quello che mi
venisse comandato da chi dirige l’anima mia. Non osai però di battere troppo,
per timore di causare alla stessa nuovi incomodi; pure apertamente le ho detto
che ha fatto malissimo, e ch’io non potrò mai approvare questo suo modo di
operare».
Lo pregò quindi di non cessare la «sorveglianza sopra quest’anima
combattuta. Mi assicuro che il tenero suo cuore non saprà ricusare questa
figlia, che fuggì irriflessivamente dalle braccia paterne; adoperare non seppe,
la poverina, l’arma tanto necessaria dell’umiltà; così mancolle anche
l’obbedienza».54
Il 9 dicembre 1839 Madre Rachele
scrisse a Irene una lettera dettata dal cuore, ferma e ricca di considerazioni
spirituali: «Ritornata dal Tirolo,
più volte ebbi desiderio di scriverti, onde narrarti che tutti di famiglia
stanno bene, ma non l’ho eseguito, perché troppo doloroso mi è il doverti dire
che sommo è il mio rincrescimento pel modo che li trattasti; ma in questo tempo
di preparazione alla nascita temporale del Divino Infante non posso più
protrarre».
Le parla dell’amore divino
nell’incarnazione; dell’amore di Cristo che, ubbidendo al Padre, per salvarci
morì sulla croce; per restare in mezzo a noi, istituì l’Eucaristia. «E la creatura sarà capace di resistere agli
impulsi della grazia, ed alla voce stessa di Dio, che si manifesta nei suoi
Superiori?
Irene, tu m’intendi; troppo ti amo
per non desiderare la tua vera felicità. Come potrai essere contenta,
dimenticando - 52 -
i doveri di figlia? Cogli questi bei giorni, scrivi alla
Mamma ed al fratello, e cerca di far loro conoscere che hai mancato e pregali
di chiamarti dal Signore particolari sue benedizioni.
Ti prego, mia cara, non voler vivere
a capriccio, ma sta appoggiata alla tua guida. Oh allora sarai contenta!
Possibile che abbia dimenticato i giorni di paradiso che godevi nell’obbedienza?».55
I saggi consigli della sorella
incidevano sull’animo di Irene, che le chiedeva di scriverle a lungo e di darle
notizie della sua salute.56 Madre Rachele l’accontenta, prendendo sempre l’occasione per
esortarla al bene: «Le azioni tue
guarda sieno buone, arricchiscile colla retta intenzione, così darai al mondo
frutti saporiti; cioè il tuo buon esempio sia il gusto soave, che prova la
bontà del frutto».57
Irene ritornò sotto la direzione del
Turri, e Madre Rachele ne fu contenta.58
Per la stima, che nutriva verso la
sorella, Irene le chiese suggerimenti per la sua attività educativa. Madre
Rachele rispose, indicandole i principi essenziali del suo metodo: dare il buon
esempio; avere comprensione e non esigere quello che la propria debolezza non
riesce a vincere; trattare con amorevolezza; incamminare alla virtù; imprimere
un grande amore a Dio e a tutte le virtù.59
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La guida e le preghiere di
Madre Rachele60 fecero sorgere in Irene il desiderio di recarsi
a vivere vicino a lei. Le scrisse di trovarle a Venezia un posto di
insegnamento, per potersi dedicare alla salvezza delle anime. Madre Rachele se
ne rallegrò e le raccomandò di conservare quella buona disposizione, senza
lasciarsi trasportare dalla consolazione sensibile: «Cerca Dio solo e sia tuo piacere seguirlo nel luogo degli
amanti. Per gustare adunque del Calvario è necessario rinunciare a tutti quei
gusti che la meschina umanità desidera».
Per l’abbondanza di maestre in
Venezia, non vi era la possibilità di un posto, e Madre Rachele comunicò alla
sorella: «Non è per ora il volere di
Dio, sembrando voglia da te che costì operi».61 Avrebbe potuto fare a Verona del bene,
aprendovi una scuola per le fanciulle.
La invitava al raccoglimento, alla
preghiera, all’adorazione, con spirito di amore e di riparazione.62
Nel 1841 si presentò l’occasione di
un posto d’insegnamento nel pio Istituto S. Maria del Pianto, fondato in
Venezia da don Daniele Canal. Madre Rachele lo propose ad Irene,63 conoscendo però la sua incostanza, non le
nascose i sacrifici, e la esortò a prepararsi per poter «essere al momento forte».64 Ne informò poi la mamma, per darle
consolazione.65
L’inizio dell’insegnamento fu
fissato per il mese di - 54 -
settembre.66 Il 12 luglio Madre Rachele scrisse a Irene: «Apparecchiati […] con animo generoso,
lasciando tutto ciò che può turbarti la pace del cuore, non potendo moralmente
un’anima perseverare nel bene, se trovasi turbata».67
L’avvicinarsi della partenza da
Verona fece sentire ad Irene la sofferenza del distacco dalle persone care;
ella chiese alla sorella che andasse a prenderla. Madre Rachele, pur
comprendendo i suoi sentimenti, le rispose con la consueta schiettezza: «Sappi che le nostre Regole non permettono
di allontanarsi dall’Istituto che per motivi di carità, perciò si oppongono
assolutamente a quanto tu desideri, perché la soddisfazione ne avrebbe parte».
La esortò, quindi, a vincere la
resistenza della natura: «pensa chi
ti ha chiamata e chi ti trae da cotesta città. Egli è quello stesso Dio che
comandò ad Abramo di lasciare la sua
patria, promettendogli abbondanza di figli, nonché prosperità».68
Nella prima decade di ottobre, Irene
raggiunse Venezia. Passando per Padova, si fermò per salutare Madre Rachele,
che in quei giorni si trovava ivi. L’aspettò due ore, ma ella era fuori casa e
rientrò più tardi, perché impegnata nell’«opera
del Signore». Madre Rachele ebbe
così «motivo di far un fioretto».69
Dopo un mese di permanenza
nell’Istituto del Canal, Irene si ammalò.70 Ristabilitasi, maturò la vocazione religiosa
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e nel 1842 entrò tra le Suore Maestre di S. Dorotea, prendendo il
nome di suor Maria Veronica.
Madre Rachele la destinò alla nuova
casa da aprirsi a Cemmo in Val Camonica. Ve la accompagnò ai primi di ottobre,
con la superiora Annunciata Cocchetti e suor Serafina Pellizzari.
La separazione costò non poco ad
Irene, che avrebbe desiderato rimanere a Venezia, ma si rassegnò. Madre Rachele
la sostenne spiritualmente, esortandola a rinunziare alla sua volontà, a
superare l’amor proprio, ad accettare la croce e a seguire Gesù.71
Conoscendo la sensibilità di Irene,
raccomandò alla Cocchetti di essere parca nel concederle permessi per cercare
consigli spirituali, perché credeva che si sarebbe fortificata nella virtù
maggiormente privandosi dei gusti, piuttosto che contentandosi.72
Insistette sulla necessità dell’offerta totale: «Sì, Irene
mia, il cuore coi suoi affetti è la cosa più grata per Lui
[Gesù]. Fate adunque di nulla ritenervi, ma siate generosa, ed Egli, ch’è
infinitamente ricco, non si lascerà vincere da voi».73
Dopo qualche mese, Irene si ammalò.
Madre Rachele l’affidò alla carità della superiora, aggiungendo: «Ditele che si consoli d’esser visitata
dal buon Gesù, e dica colla Santa sua particolare Protettrice: Son delizie, son
favori le tue croci o mio Gesù».74
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Avendo il medico giudicato
il clima di Cemmo non adatto alla debole costituzione fisica di Irene, Madre
Rachele, d’accordo con mons. Balbi, comunicò alla Cocchetti di trattenerla ivi,
possibilmente, fino alla stagione buona, per vedere se si riprendeva; in caso
contrario, l’avrebbe ricondotta a Venezia.75
Però, dopo una ventina di giorni, il
23 gennaio 1843 insieme con mons. Balbi dispose che la Cocchetti riconducesse al
più presto Irene a Venezia, perché alcuni medici, apposta consultati,
ritenevano che Irene avrebbe perduto «intieramente
la salute», se fosse restata a
Cemmo.76
In tal modo Madre Rachele adempì,
con senso di responsabilità, il suo dovere verso la suora ammalata; però, per
stimolarne l’impegno a vincersi, in quello stesso giorno le scrisse: «Non posso [...] far senza prevenirti che,
conoscendo tu al presente l’Istituto nostro, se vuoi stare tra noi, bisogna che
t’imprimi non essere permesso certi trasportini, e quando tu non volessi
combatterli, affine di vincerti, miglior cosa sarà che rimani a Verona, luogo
da te molto amato, ed ove avesti sempre tanti conforti».
Madre Rachele non intendeva
spingerla a lasciare l’Istituto, ma solamente avvertirla che le sarebbe stato
penoso vederla allontanarsi «per
qualche motivo strano».
Concludeva: «Prega, mia cara, ed il Signore t’illuminerà. Ricordati che
nell’umile soggezione facilmente si purifica l’anima, la quale non potrà mai
elevarsi, fintantoché non si annichila».77
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Il trasferimento non
avvenne subito, perché don Luca non lo condivideva, ritenendo «immaginazione» che l’aria fosse dannosa ad Irene. Madre Rachele gli spiegò
che la decisione era stata determinata dal parere del medico di Cemmo,
confermato dal chirurgo di Venezia, il quale aveva detto che, lasciandola ivi,
poteva «essere nuovamente assalita
dall’infiammazione di cervello minacciata, senza speranza di più ricuperarla».78
Madre Rachele, rispettando il volere
di don Luca, scrisse alla Cocchetti di curare l’ammalata, evitandole ciò che le
avesse potuto nuocere e causare una ricaduta.79
Le cose sembravano avviarsi bene. Irene prese degli
impegni con don Luca. Madre Rachele ne fu contenta e il 13 febbraio
1843 le scrisse: «Procuriamo di ben
conoscere la sua volontà, onde eseguirla meno imperfettamente ci sia possibile.
Io credo che un’anima, la quale ama proprio
Dio, non possa conoscerla, senza sentirsi attratta ad eseguirla,
quand’anche le costasse molta pena per parte dell’umanità».80
I fatti diedero ragione a Madre
Rachele! I tentativi risultarono vani e, due mesi dopo, si dovette ricondurre
Irene a Venezia. Ivi ella sperimentò all’inizio un miglioramento nel «male di capo»;81 poi
continuarono ancora gli alti e bassi.
Ai primi di febbraio 1844 le fu
cercata una sistemazione presso la contessa Lucia Mocenigo; la cosa però non
andò in porto. Irene chiese allora di restare ancora un po’ di tempo
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nell’Istituto, per sperimentare la sua vocazione. Madre Rachele
glielo concesse nella speranza che divenisse «un
poco più generosa nell’animo».82
Il tentativo servì soltanto a
rinviare di qualche mese la decisione, non riuscendo a risolvere i dubbi e i
problemi psicologici, che Irene si portava dietro.
Il 21 luglio 1844 ella lasciò l’Istituto.
Suor Maria Rosa Sanfermo e suor Caterina Gavazzi l’accompagnarono a
Verona.83
Sarebbe rimasta ancora suora, se
avesse potuto restare sempre con la sorella, senza essere mai trasferita in
altra casa. Il regolamento però non lo permetteva, né Madre Rachele, che aveva
il culto delle Regole ed esigeva il distacco assoluto dalla propria volontà,
era disposta a concederlo. La lasciò quindi partire, adorando le disposizioni
di Dio, che non chiama tutti per la stessa strada.84
Ne provò grande afflizione, ma era
tranquilla, perché con spirito soprannaturale di carità aveva fatto tutto il
possibile per il bene spirituale della sorella. Lo stesso giorno della sua
partenza, la raccomandò a don Carlo Trevisani di Verona.85
Irene non era fatta per la vita
religiosa, e non ripeté il tentativo presso altro Istituto. Verona era il suo
ambiente; in esso si trovava bene, e si sistemò in una pia famiglia.86
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I rapporti rimasero buoni e
Madre Rachele continuò a seguirla con consigli ed esortazioni. Il 20 ottobre
1844 la mise in guardia contro le mancanze, che derivano dal carattere e dalla
irriflessione: «Ricordati la
necessità che ognuno abbiamo di vegliare, affine non cadiamo; procura, ti
prego, in avvenire di star sopra te stessa, onde non t’accada mai d’averti a
pentire dell’operato, altrimenti potrebbe succedere, ah! Dio non lo permetta
mai, che inutile ogni cura tornasse dell’ottimo tuo Direttore».87
Il 4 maggio 1847, nella chiesa di
San Nicolò di Verona, Irene sposò Francesco Gasparini.88 Ebbe da lui un’unica figlia, Ermenegilda, nata
a Verona il 1° agosto 1850.89
Nel 1876 Irene, in fin di vita, fece
scrivere alla sorella Maria (suor Geltrude), perché si recasse a
darle l’estremo saluto.
Maria rispose esprimendo il suo
dolore ed esortando la sorella alla rassegnazione. Pur desiderando anche lei di
vederla, non si recò a trovarla, perché il regolamento non lo permetteva e lei,
superiora, doveva dare il buon esempio.90
Confortata dai santi sacramenti,
Irene si spense il 12 febbraio 1876 a San Giovanni Lupatoto (Verona).91
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