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4. La sorella Maria.
Nacque a Riva il 25 aprile 1822 e
due giorni dopo venne battezzata dall’arciprete don Filippo de Visintainer. Le
furono posti i nomi Maria, Maddalena, Antonia. Padrini furono Giuseppe Armani e
Maddalena Oliveri.92
Tutti di famiglia ebbero per lei una
predilezione; la chiamavano Marietta o Mariettina. Era la più piccola e si
faceva benvolere per la sua grazia, dolcezza e bontà.
I genitori l’affidarono per
l’istruzione elementare a Faustina Pasini, ex-monaca di un monastero
soppresso.93
Una compagna di scuola, divenuta poi
suora, ricorda che Maria si distingueva per rispetto e docilità alla maestra,
per delicatezza di sentimenti, per raccoglimento e pietà. Era perciò stimata ed
amata dalle compagne.94
L’educazione cristiana, ricevuta dai
genitori e dall’insegnante, l’avviò fin da fanciulla alla virtù. Secondo la
testimonianza del suo confessore don Giovanni Battista Mora, sacerdote di santa
vita, Maria all’età di dieci anni fece il voto di castità.95
Una conferma indiretta si trova nelle
lettere di Madre Rachele. Il 28 gennaio 1839 ella le scrisse: «Per sua [di Gesù] infinita misericordia,
presto hai gustato della vita divota»;96 e alcuni mesi dopo (13 luglio): «Risolsi
di scriverti, certa che riceverai questa come un avviso, che ti dà il caro
Gesù, da te - 61 -
scelto nella tenera età per tuo sposo. Ricordati ch’Egli
ti amò in modo speciale, avendoti per infinita sua misericordia fatto conoscere
la forza della sua grazia e dell’amor suo in un’età che tante non sanno neppure
cosa voglia dire ciò».97
Si aggregò alle terziarie
francescane e spontaneamente prese il nome di Teresa di Gesù, manifestando la
brama «di voler vivere vita
crocefissa con Gesù ad imitazione della grande Serafina d’amore, che spesso
chiedeva di vivere patendo, oppure di morire».98
Alla morte del padre, Maria, ancora
adolescente, rimase
accanto alla mamma, che trovava in lei conforto al suo
dolore.99
Furono anni di sacrificio per Maria,
specie quando la mamma, a causa della malattia, divenne di difficile
sopportazione.
La cognata Margherita riferisce che
Maria fu sempre paziente e serena, prodigando con generosità ogni cura alla
mamma.100
Progredì così nella virtù, e in
questo cammino di perfezione le fu di guida e sostegno Madre Rachele. Ella, per
seguire la volontà del Signore, aveva lasciato la giovane sorella,101 ebbe quindi per lei speciali attenzioni.
Lo zelo, per accendere e sviluppare
nelle anime l’amore - 62 -
di Dio, come rendeva sollecita Madre Rachele verso
Irene, così a maggior ragione la spingeva ad interessarsi di Maria per la sua
età e per le sue ottime disposizioni, che facevano presagire una vocazione
religiosa. Il 14 ottobre 1839 scriveva alla Madre Olivieri: «La mia piccola sorella cresce (spero) per
le Suore».102
Con quanta saggezza Madre Rachele
abbia guidato Maria, traspare dalle ventitré lettere, che ci sono state
conservate. Esse contengono le linee essenziali del cammino di perfezione, che
la stessa Madre Rachele aveva percorso. Conviene perciò farvi accenno, per
approfondire la conoscenza della sua spiritualità.
Innanzitutto insiste sull’amore di
Dio. Le scrive: «Desidero che la
fiamma del santo amore tanto in te s’accenda e tutta ti consumi. Oh dolce
consumazione!».103
Le raccomanda «di crescere sempre nel santo amore di
Dio. Tutto ha fine quaggiù, ma l’amore di Dio si perfeziona in cielo».104
La esorta quindi a non porre limiti
nell’amare Dio, e ad abbandonarsi intieramente alla sua divina volontà.105 «Sii
col buon Gesù generosa, se vuoi avanzare nel santo amore di Dio; e l’ubbidienza
tua sia cieca, pronta ed allegra».106
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Per poter seguire Gesù,
progredire nella perfezione e vivere tutta di Dio, dovrà distaccarsi dalle cose
terrene e non lasciarsi mai distrarre dalle creature;107 le
occorrerà pure costanza, «perché non chi comincia, ma quelli che
perseverano, riceveranno la corona».108 Perciò Madre Rachele ripete: «Col passare gli anni, non passi il tuo
fervore, ma sempre più s’accresca; tutto è quaggiù passeggiero, ma le virtù,
esercitate per amore di Dio, aumentano l’amore nell’anima, ed anche la gloria».109
Le tante grazie e prove di amore,
che Maria ha ricevute da Gesù, devono spingerla a restare a Lui fedele.110 Madre Rachele le scrive: «Mai che abbia ad intendere che tu
scostata ti sia dal caro Gesù»;111 «chiedo
al mio Gesù a volerti piuttosto togliere la vita che offenderlo [...]. Se qualche
insidia ti tendesse il nemico [...] prontamente manifestala a colui che [...]
tanta cura tiene dell’anima tua».112
Le consiglia, quindi, molta
preghiera per ottenere l’aiuto di Dio nelle tentazioni113 e per
avanzare speditamente nella perfezione. La esorta a «perseverare costantemente nel metodo di vita già cominciato da
qualche anno»,114 e di coltivare - 64 -
il raccoglimento: «Non ti scordare [...] di quella secreta
cella, che altre volte ti parlai; colà racchiuditi, ad esempio di S. Caterina
da Siena, e benché tu sii obbligata di trattenerti colle creature, in mezzo
anche a loro tienti più che puoi silenziosa, onde rientrare nell’amata
solitudine del tuo cuore, per ascoltare l’amantissimo Gesù; e t’assicuro che
alla sua scuola imparerai quello che il mondo disprezza; quivi acquisterai la
cristiana umiltà e fortezza per soffrire tutto quello che l’umana natura
aborrisce; ed eguale ti manterrai per suo amore in ogni incontro».115
Anche «in mezzo alle faccende»
e «nella vita attiva» deve rimanere unita al Signore, facendo
più frequenti voli colla mente nel Costato dolcissimo di Gesù.116
Bisogna santificare tutte le azioni,
compiendole per amore di Gesù: «Facciamo
che ogni nostra opera diventi eterna per la rettitudine d’intenzione».117
Le sofferenze e le pene, sopportate
per amore di Dio, fanno crescere nella virtù e nel merito: «Consolati, dunque, quando hai motivi di
soffrire, assicurandoti che vale più un momento di croce, quando Iddio lascia
sentire all’anima il pregio suo, che tutte le dolcezze del Paradiso. Coraggio,
mia cara, non paventare! Quando Iddio è con te, basta ogni cosa»;118 «Coraggio,
Mariettina mia, nel burrascoso mare del mondo non dobbiamo aspettarci altro che
pene, le quali, superate con cristiana rassegnazione, ci formeranno per tutta
l’eternità beate».119
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Madre Rachele trasmise
alla sorella anche lo zelo per la salvezza delle anime. Le scrisse: «Fa [...] di sempre più amarlo [Dio]
quaggiù, e procura che anche dagli altri sia conosciuto, ed allora certamente
lo ameranno».120
Quando apprese che a Riva era
scemato il fervore delle cooperatrici della Pia Opera e delle promotrici del
Rosario vivente, le raccomanda: «Non
ti scordare di ciò che Gesù Cristo dice nel Santo Vangelo, cioè che tutti siamo
obbligati di correggere con carità i nostri fratelli, e S. Paolo dice che tutti
non ponno essere predicatori, ma che ognuno deve predicare con l’esempio.
Perciò ti raccomando di coltivare, quanto puoi, le povere fanciulle.
Imprimi loro il santo timor di Dio
ed eccitale alla virtù, particolarmente alla devozione in chiesa, allo stare
ritirate nelle loro case, quando il dovere non esige che abbiano a sortire, e
dovendo andare pei loro affari, inculcherai loro di andare composte. Farai
anche loro conoscere quanto importa che amino
il lavoro».121
Le inviava libri, che le potevano
essere utili per istruire le
ragazze.122
Al ritorno dal viaggio a Capriana e
a Caldaro, le comunica la commozione provata nell’ammirare «l’opera del Signore» ed aggiunge: «Eccita
in mio nome tutte le giovani, che ponno, a custodire le fanciulle; non le
lasciate, per carità, in abbandono».123
Desiderava che Maria le desse spesso
notizie della sua - 66 -
vita spirituale, per poterla seguire meglio e
costatarne il profitto.124
Maria, per la profonda stima che
aveva verso la sorella maggiore, con fiducia le apriva il suo animo. Madre
Rachele, apprezzandone la bontà e la ricchezza spirituale, la guidò nel cammino verso la consacrazione
religiosa.
La mattina del 19 settembre 1839,
nella casa di Venezia, si era svolta la cerimonia per la vestizione religiosa
di due giovani e per la professione di quindici suore. Nel pomeriggio, mentre
il suo animo era pieno di gioia, Madre Rachele scrisse a Maria: «Ti assicuro che tanto grande era il
nostro
contento, che la nostra chiesetta sembrava divenuta
un paradiso.
Coloro che si deliziano del mondo,
comprendere mai potranno quanto sia dolce il servire Dio a quelli che generosamente
rinunciano a tutto ciò, che non è suo.
M’immagino che questo fatto
t’invoglierà maggiormente del desiderio di ritirarti dal mondo, ma Dio vuole
intanto che tu adempisca ai doveri di figlia, eseguendo unitamente quelli di
sposa nascosta, fintantoché gli piacerà di riceverti».125
Intanto, nella prospettiva della
vita religiosa, Madre Rachele volle che Maria vi si preparasse attendendo con
diligenza allo studio. Scrisse a don Mora: «Conosco
che necessario non è lo studio, per giungere al possesso del Sommo Bene; ma per
seguire gl’impulsi, che ha manifestati da qualche anno tanto colle parole che
coi fatti, bisogna che a questo si assoggetti; - 67 -
altrimenti non
giungerà così facilmente a cooperare alla salvezza non solo sua, ma anche altrui».126
Godeva dei suoi progressi ed
esprimeva la speranza che, avanzando nello studio, crescesse anche nell’amore
di Dio e nel fervore.127
Una volta Maria le comunicò che le molte
occupazioni non le consentivano di applicarsi allo studio. Madre Rachele le
rispose che ne era poco soddisfatta. Essendo le giornate così lunghe, non
doveva esserle difficile poter dedicare un’ora allo studio. Quindi, con
fermezza, le annunziò che, se non avesse corrisposto ai suoi desideri, non le
avrebbe più scritto.128
Maria ubbidì e proseguì gli studi.
Madre Rachele volle pure che facesse
un’esperienza nella casa di Venezia. Maria, con il permesso della mamma, vi si
recò il 17 febbraio 1841, accompagnata da don Luigi Salvadori, e vi rimase più
di un mese.129
Vi si trovò bene, trascorrendovi
giorni di gaudio spirituale. Il 23 febbraio Madre Rachele scrisse a don
Giuseppe Passi: «Dessa è quella buona Mariettina di sempre».130
Il giorno seguente, comunicò a don
Luca: «La Mariettina è quella colomba di sempre ed ha un ingegno superiore ad
ogni aspettazione. Ella starebbe qui volontieri, ma il fratello e la mamma
vogliono che al compiere del mese ritorni - 68 -
in famiglia. Ciò verrà
fatto, per non recar a loro dispiaceri».131
Qualche giorno dopo il ritorno di
Maria a Riva, Madre Rachele scrisse alla Zanzotti: «Dessa era beata e si sarebbe fermata volontieri, se il dovere
di assistere la cara mamma non l’avesse chiamata.
Dissemi anche ieri l’ottimo nostro Superiore
che l’ha veduta partire con pena, pel giudizio tanto costante che ha».132
Nell’agosto del 1844, avendo appreso
che Maria era stata poco bene, Madre Rachele espresse il desiderio di averla
ancora a Venezia.133
Nell’ottobre la mamma concesse il permesso,134 non sappiamo però se Maria si sia recata a
Venezia. Forse il viaggio fu rimandato per un mutamento di pensiero della mamma
o per le sue non buone condizioni di salute.
Il 19 marzo 1845 Madre Rachele
comunicò a Irene che Maria, «nel suo
ritorno», le avrebbe portato il
disegno del camice da lei richiesto.135 In quella data Maria non era a Venezia, ma a Riva. Il 25 marzo
infatti Madre Rachele chiedeva alla mamma di farla partire, e prometteva che, «compiuto un mese», Maria sarebbe ritornata a Riva.136
Non sappiamo come si svolsero i
fatti, perché ci mancano le lettere di quel periodo.
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Qualche mese dopo la morte
della mamma, Maria, rifiutata una proposta di matrimonio, il 10 gennaio 1847
entrò nell’Istituto delle Ancelle della Carità, accoltavi dalla fondatrice
Maria Crocifissa di Rosa.
A diciassette anni, nel marzo del
1839, aveva già manifestato alla sorella Rachele il desiderio di assistere i
malati.137 Poi la
lunga ed amorevole assistenza, prodigata alla mamma inferma, la prepararono
alla missione di Ancella della Carità. Appena le circostanze glielo
consentirono, realizzò l’aspirazione, che coltivava da tempo.
Certamente, prese la decisione
d’accordo con la sorella che per tanti anni l’aveva seguita spiritualmente,
preparandola alla vita religiosa.
Forse Madre Rachele, conoscendone la
ricchezza interiore, le attitudini e l’esperienza che la rendevano idonea a
lavorare in mezzo alle ragazze, l’avrebbe voluta suora dorotea. Però, come
sempre, adorò la divina volontà, desiderando unicamente la gloria di Dio ed il
bene delle anime.
L’ingresso
di Maria nella vita religiosa dovette essere un momento di grande gioia per
Madre Rachele, che tanto si era adoperata a tale scopo. Veniva così anche
ricompensata della sofferenza per le delusioni ricevute dall’incostanza di
Irene.
Le lacune del carteggio non ci
permettono di seguire i rapporti tra Rachele e Maria in quegli anni. Non
abbiamo trovato loro lettere o minute negli archivi delle Dorotee e delle
Ancelle.
Ultimamente è stata scoperta la
copia di una lettera di Madre Rachele a mons. Faustino Giovita Pinzoni,
superiore - 70 -
delle Ancelle della Carità. Dalla lettera appare la cura
che Madre Rachele continuò ad avere per Maria anche durante la vita
religiosa.138
Maria vestì l’abito delle Ancelle il
18 giugno 1852; tre giorni dopo emise i voti e prese il nome di
Geltrude.139
La di Rosa, conosciuto il grado di
perfezione e di preparazione della giovane suora, il 15 dicembre 1854 le affidò
il compito di maestra delle novizie.
Alla di Rosa, morta nel 1855,
successe nel governo
dell’Istituto Madre Paola Luigia Tedeschi. Suor Geltrude,
restando maestra delle novizie, divenne anche vicaria generale.
Si estese così il campo della sua carità, che poterono sperimentare suore,
ammalati, feriti di guerra e afflitti di ogni genere.140
Nel settembre del 1859 lasciò l’incarico di maestra
delle novizie e le fu dato quello di guida delle professe,
continuando ad essere vicaria generale e superiora della casa madre.
Nel 1890 cominciarono a manifestarsi
i primi sintomi della malattia, che doveva condurla alla tomba. Sopportò la
sofferenza con fortezza di animo e rassegnazione. Si spense piamente il 10
ottobre 1893, esortando le consorelle alla carità: - 71 -
«Amatevi l’un l’altra, compatitevi,
aiutatevi sempre, amate le vostre ammalate».141
Dopo quarant’anni di vita religiosa
lasciò l’esempio di insigni virtù: «Generoso
distacco d’ogni bene caduco, purezza illibata, pronta obbedienza, prudenza
rara, ardente carità, zelo d’apostolo [...], intuito non comune a conoscere le
altrui necessità e mano sicura per porvi rimedio».142
In una parete dello
scalone della casa madre delle Ancelle della Carità in Brescia, si legge la
lapide:
calde lagrime all’amara dipartita di
suor geltrude guardini
che per ben xl anni resse in brescia
con senno virile e rara prudenza
qual vicaria l’istituto delle ancelle
della carità
fiore d’imperitura riconoscenza ne abbellÌ
la salma
intrecciato a fervido voto
d.o.m.
faccia splender sovente nel triste esilio
simili facelle di fervida carità
n. 22 aprile 1822 m. 10 ottobre 1893
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