- 233 -
330
Viva il Cuor di Gesù
e di Maria!
Molto Reverendo Padre,1
Io non so come cominciare questa mia, onde narrarle l’opera del mio Gesù.
Ella ricorderà che nella lettera del giorno 19 dissi che vedevo brutta la
malattia di Maria Rosa,2 ma ciò non toglievami la speranza di ricevere
dal buon Gesù la grazia, per mezzo di S.ta Dorotea, che
domenica ella venisse a Messa nel nostro Oratorio.
Oda prodigio! La sera del 20, il caritatevole Dottor Nardo, visitando
l’ammalata, trovolla coi polsi piccoli ed accusante acutezza di dolori ai
visceri, anzi eravi gonfiezza.
Permise inoltre Iddio ch’ella fosse presa da molto timore della morte.
Questo cresceva la pena mia. Cominciò ella dunque ad interrogare il Signor
Medico se rimarrà inferma; e tante altre cose dimandò. In fine chiese quanto
dovrà stare in letto.
Egli rispose che, umanamente guardando, sarà lunghetta. Un poco parlò da scientifico, poi come investito
dallo Spirito Santo, disse: Dio è onnipotente; può, se vuole, permettere che domenica
vada a Messa; ed anche potrebbe alzarsi, coll’aiuto suo, dimani ed andare a
passeggiare nell’orto; anzi questa sera medesima, quand’Egli voglia, può essere
ciò.
Qui s’introdusse discorso spirituale. Partito il Medico, animai l’ammalata
[a] confidare in Dio, dicendo ch’egli non aveva parlato da uomo, ma da angelo
ispirato dallo Spirito Santo.
- 234 -
Appena
svegliata, la mattina, ho dimandato come si trovava; ed accusommi avere dolori
atrocissimi.
La rimproverai per la poca confidenza, che mostrava in Dio, e
m’allontanai dalla stanza per esaurire i doveri dell’economa.3
Ritornata, la trovai piangente. Chiesi la causa, e dissemi: ella vuole
ch’io stia bene frattanto che mi sento molto male.
Io risi e, nel desiderio di sollevarla degli accusati dolori, le applicai
un cristere, ma non avendolo sentito, un secondo esperimentai, obbligandola
d’attaccarsi al mio collo, per farla discendere dal letto.
Stentatamente discese, così aiutata, e volta verso il Santissimo
Sacramento, con fatica piegò un ginocchio e disse cinque Gloria Patri.
Nell’alzarsi s’accorse di essere guarita, ma non sapeva di ciò
persuadersi. Allora le ho comandato di vestirsi; andammo poi nell’Oratorio.
Dopo discese le scale senza niun incomodo, pranzò e stette con Monsignore4 e col Medico fino alle nove.
Poi andò a letto e dormì fino alle sei della mattina; indi si è alzata,
ha fatto la meditazione in comune.
Indi sortimmo di casa per visitare il Signor Parroco5 e la sua famiglia; insomma sta
bene.
Io m’immagino che cosa risponderà il mio amorosissimo Padre a tutto il
narrato, che il buon Gesù, infinita carità, ha voluto compensarmi del piccolo
sacrificio che Gli avevo fatto della mia volontà. Sì, lo vedo proprio ch’Egli,
bontà senza pari, mi tratta da bambina, prova per affliggermi, ma trovandomi
troppo debile, prontamente mi consola, onde tenermi - 235 -
allettata; eppure ho grandissimi
desideri, ed anche in mezzo alla visita, ch’Egli si degnò farmi, sentivomi
dalla sua carità forzata [a] desiderare solo il suo volere.
Se io poi ardita determinai il tempo che volevo Maria Rosa guarita, lo
feci perché Ei mi spinse a questo chiedere.
Ora, piena di gratitudine, vado ripetendo che di me faccia quello ch’Egli
vuole, solo pregolo [di] tenermi la sua santa mano in capo, altrimenti mancherò
ad ogni buon proponimento.
Le accludo la lettera, che ho ricevuta dalla Margherita.6 Io con
sincerità godo per la vocazione sua, ma spiacemi per Donna Isabella.7
Non so poi se per noi sarà adatta, perché manca d’istruzione come di
mezzi. Operi la Signoria Vostra Reverendissima quello [che] crede, ma alla
confidenza in Dio unisca la prudenza.
Bacio rispettosamente a Lei ed al R.do Conte D. Marco
la sacra mano, dandomi l’onore di dirmi
Umilissima
Devotis.ma Obbl.ma Figlia
Suor
Maria Rachele Guardini
Dall’Istituto di S.ta Dorotea
Venezia il dì 22
Agosto 1840
Al Molto Reverendo Signor Conte
D. Luca Passi –
Bergamo
|