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3. La personalità
di Rachele.
Donna di alta intelligenza e ricca
di insigni qualità naturali, Rachele ereditò dal padre fortezza di carattere e
tenacia di volontà; dalla madre dolcezza e finezza di tratto.
Armonizzando queste qualità,
raggiunse il perfetto equilibrio. Il 22 maggio 1841 scrive a don Marco: «L’assicuro ch’io godrei, se avessi pieno
il cuore di quella santa unzione, ch’Ella brama, sicura che corrisponderei
perfettamente alla volontà del Signore, manifestatami dall’ottimo Monsignor
nostro Superiore; ma che vuole! io credo industria del caro Amore il permettere
qualche volta ch’io usi del vino, invece dell’olio. Tal suprema disposizione la
trovo utilissima, conoscendo con questo mezzo più facilmente la mia miseria
[...].
Nell’atto ch’io faccio l’ingenua
confessione, mi si presentano due pensieri, che ambi sono del Santo di Sales:
il primo, la preminenza che dona ad un cucchiaio di miele piuttosto che ad un
barile d’aceto; il secondo è quello, che disse, il - 83 -
troppo genera
vermini. Io li rispetto, avendoli esperimentati un così gran Santo. Per parte
mia però la prego ad ottenermi tutto ciò che m’abbisogna, onde corrisponda
fedelmente alla divina volontà.
Chieda Ella al buon Gesù che
purifichi il vino della fortezza, mentre temo molto l’amor proprio».19
Alcuni giorni dopo, il 1° giugno,
scrive a don Luca: «Ella conosce
appieno la Rachele che, quantunque molte volte voglia dessa fare la cattiva,
Dio infinitamente buono non glielo permette, avendola munita di un cuore
secondo il suo volere, e di una volontà che vorrebbe essere pertinace, ma è
pieghevole, per cui adora ogni disposizione suprema e non potrebbe opporsi al
divino volere, perché lo ama, direi, se fosse possibile, infinitamente».20
La fortezza di carattere e la
tenacia di volontà le consentiranno di superare le molteplici difficoltà della
fondazione dell’Istituto di Venezia e di assicurarne lo sviluppo.
Era ferma nei suoi convincimenti,
mai però ostinata, sempre pronta a piegarsi all’ubbidienza, anche quando questa
le richiedeva sacrifici e rinunzie. Scrive a don Luca: «Credo non tituberà persuadersi ch’io avrei fatto a suo riguardo
il dimandato sacrificio, benché contro volontà, ma per rispetto: di ciò ebbe
tant’altre volte prova, mentre conosce la Rachele, che non avrebbe mai ceduto
per inclinazione in quello non fosse stata persuasa; ma oh la bella volontà di
Dio, che veggo in quella dei Superiori, mi porterà nella tomba».21
Di fatto, divenne suora dorotea per
ubbidienza al confessore - 84 -
e a don Luca, pur sentendo in sé forte
l’inclinazione alla vita contemplativa.
Era dotata di uno straordinario
intuito. Dice di sé: «Pare
impossibile, ma è ben vero, ciò devo confessare solo a gloria di Dio: quello,
che sento e pronuncio, ad un tempo o l’altro si avvera».22
Per la sua spiccata intelligenza,
unita a profondo spirito di osservazione e di riflessione, per l’esperienza
maturata nel lavoro in ambienti diversi, riusciva a cogliere subito l’essenza
dei problemi, a prevederne gli sviluppi e ad indicarne le soluzioni.
Lo si rileva nei vari incarichi di
governo e di direzione, che le vennero affidati e le meritarono la stima di
donna saggia da parte dei superiori ecclesiastici e delle
autorità civili.
Aveva il dono di conoscere e
valutare le persone fin dai primi contatti. L’impressione, che ne riceveva,
veniva poi puntualmente confermata dai fatti. Ella stessa riconosce: «Varie volte ho desiderato mentire nell’opinione
che mi si presenta delle persone che veggo, ma non nacquemi mai tal caso».23
Delle aspiranti alla vita religiosa
percepiva subito l’idoneità o meno alla vita e all’attività dell’Istituto. La
sua valutazione, talvolta diversa da quella di don Luca, fu poi dai fatti
dimostrata giusta.
Qualche soggetto, accettato per
ubbidienza o – quanto meno – per accondiscendenza, dovette poi lasciare
l’Istituto, per difetti di carattere, per scarsa salute o per mancanza delle
qualità necessarie.24
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Per la sua dirittura
morale, Madre Rachele non conobbe mai il compromesso, ma fu sempre e con tutti
sincera, schietta e leale. Leggiamo in una sua lettera: «Non vi è dubbio che scriva una parola, se questa non mi parte
dal cuore, che parla il linguaggio della verità».25
Amava la chiarezza! Per lealtà,
oltre che per senso di responsabilità, manifestava, con franchezza e fermezza,
il suo pensiero a mons. Balbi, a don Luca, a don Farina, ai Vescovi, ai
sacerdoti e alle autorità civili. Dichiara: «Io
crederei di essere un’ipocrita, se operassi diversamente».26
Scrive al dott. Francesco Serafini,
presidente dell’I.R. Tribunale Mercantile Marittimo e
Cambiario: «Non v’ha dubbio che, per
ascendere l’eminente posto di Presidente, dato avrà prove della sua dottrina,
ma più credo della cognizione del cuore umano. Questo titolo è appunto quello
che mi dà coraggio di
manifestarle un mio scontentamento.
Sono persuasa ch’Ella avrà in me
scoperto una grande schiettezza, la quale non è sì facile a trovare all’epoca
presente, mentre purtroppo trovansi adulatori d’ogni genere; nemica di questi
ad ogni tempo, le dico non essere propria la maniera cui trattano la Carlotta».27
La sua «libertà di schiettamente dire»28 era sempre unita a profondo rispetto e devota
sottomissione.
Comunica all’amministratore del
conservatorio delle Zitelle per la soluzione di un problema: «S’accerti che quantunque lontana
dall’opporre a quanto sarà per ordinare il Signor - 86 -
Conte Direttore,
non tacerò quello che potrà essere necessario alla conservazione della pace
comune, tanto utile alle figlie che si debbono educare».29
Potremmo riferire altri episodi
simili, ma ci limitiamo a citare la lettera diretta ad un Religioso, che si era
recato a protestare contro la decisione di dimettere una sua nipote. Si può
ammirare in quella lettera il tono dignitoso, franco, risoluto ed insieme
rispettoso.30
Rachele aveva una squisita
sensibilità, che la rendeva capace di profondi e nobili sentimenti.
Amava molto la mamma che, dopo Dio,
teneva nel suo cuore il primo posto,31 e le fece sentire tutto il suo affetto specialmente quando rimase
vedova.
Nell’ottobre del 1839 Madre Rachele,
passando per Riva diretta a Trento, ebbe la gioia di rivederla e le diede
grande contentezza.32
Delle sue lettere alla mamma
soltanto sette sono a noi pervenute; altre sono andate perdute. Comunque sembra
che non le scrivesse spesso, si scusa infatti con lei della pena causatale per le poche lettere inviatele.33
Ciò non era da attribuirsi, come
ella stessa spiega, a scarso affetto o a dimenticanza, ma unicamente alle molte
occupazioni e al timore di soddisfarsi. «Sono,
cara Mamma, persuasa non attribuirete questo a trascuratezza, perché ben
conoscete la vostra Rachele, che non saprebbe togliere al suo - 87 -
dovere
un momento, per procurare a sé una soddisfazione»; «Voi conoscete la
vostra Rachele, perciò spero non avrete dubitato del mio cuore».34
Nelle lettere, dirette a Illuminato
e a Maria, accenna sempre alla mamma, raccomandandola alle loro cure. Ella
stessa era attenta a recarle consolazione e ad evitarle qualsiasi dispiacere.
Irene, per la sua incostanza, era
stata sempre per la famiglia motivo di preoccupazione. Perciò, quando decise di
stabilirsi a Venezia, Madre Rachele così scrisse alla mamma: «Vuole il Signore donarvi la consolazione
di veder vicino a me collocata l’Irene».35
Ancora, due mesi dopo: «Il prossimo mese, l’Irene verrà in
Venezia, onde occupare un posto di Maestra in un Collegio.
Voi, mia cara Mamma, non cessate di
pregarle da Dio le più abbondanti benedizioni, ed io vi prometto che tutto
quello potrò fare a vantaggio della stessa, non lo tralascerò, perché possiate
avere la consolazione di vederla una volta a ben stabilirsi nel pensier suo».36
Pur desiderando di avere con sé a
Venezia Maria per un mese, dichiara però di essere più contenta di sacrificare
il suo piacere di abbracciare la sorella, piuttosto che procurare dolore alla
mamma.37
Appena apprese che la mamma era
gravemente ammalata, scrisse a Maria: «Tu
puoi immaginarti qual dolore io senta, per trovarmi così distante, pure in
mezzo alla mia pena ho - 88 -
il conforto di poter sperare di vederla».38 Mons. Balbi, infatti, le avrebbe permesso di
recarsi a «consolare» la mamma, se questa fosse stata in
pericolo di vita; ma le condizioni dell’ammalata migliorarono, e Madre Rachele
non intraprese il viaggio.39
Nel luglio del 1842, la signora
Domenica si ammalò nuovamente e chiese con insistenza di vedere almeno una
volta la figlia.
Mons. Balbi trovò conveniente che
Madre Rachele l’accontentasse. Le permise perciò di farle visita durante il
viaggio a Cemmo per l’apertura della nuova casa.40
Nel settembre del 1846, Madre
Rachele si recò a dare l’ultimo saluto alla mamma morente, che desiderava
vederla prima di morire. Scrive poi a mons. Farina: «Piacque all’amabilissimo nostro Gesù concedere a lei ed a me
tale conforto. Quando mi vide, si rallegrò e disse che altro non desiderava in
questo mondo; benediceva Dio e si offeriva contenta di morire. Ciò avveniva la
mattina del giorno nove, quando il giorno dieci, all’una poco più, spirava
orando.
Molto io sento questa separazione, e
parmi fino difettoso il mio patimento; supplico adunque sua carità pregare per
Essa ed anche per me».41
Abbiamo accennato innanzi
all’affetto, che Rachele nutriva per il fratello, le sorelle e la cognata:
affetto, nobilitato dal desiderio e dalla cura per il loro vero bene e profitto
spirituale. Essi perciò la stimavano e l’amavano molto.
Anche tutte le persone, che ebbero
modo di accostarla, - 89 -
poterono apprezzare ed ammirare il suo grande
cuore, attento e pronto alle necessità materiali e spirituali degli altri.
Al primo posto erano le fanciulle e
le ragazze povere ed esposte ai pericoli.
Pur avendo un carattere forte, si
commuoveva fino alle lagrime dinanzi ai bisogni e alla sofferenza
altrui.42
Concludiamo questi appunti
sottolineando la prudenza di Madre Rachele che, con la fortezza di carattere,
la tenacia di volontà e la schiettezza, costituisce la nota distintiva della
sua personalità.
La sua prudenza, espressione di
acuta intelligenza e di profondo equilibrio, brillò nell’attività di governo e
di educatrice.
Le eccellenti qualità, di cui
Rachele era dotata, fecero di lei una donna completa. Esse si svilupparono
armonicamente sotto l’influsso della grazia, con la quale ella collaborò, e
divennero virtù, segnando il suo itinerario di perfezione, nel quale germogliò
la vocazione religiosa.
Alla fine del nostro studio
tenteremo una sintesi della spiritualità e delle virtù di Madre Rachele.
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