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2. Difficoltà del
compito.
Madre Rachele iniziò la sua missione
con la piena fiducia di don Luca e del Farina; ebbe pure tutto l’appoggio del patriarca
Monico e di mons. Balbi.
Questo fu per lei di grande sostegno
e conforto; ma i problemi da affrontare erano davvero molti e gravi.
Alle difficoltà, proprie di ogni
inizio, si aggiungevano quelle della particolare situazione; prima fra tutte la
«riformazione» delle suore,14 che provenivano da un altro Istituto, per di più in declino.
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Lo stato di abbandono,
seguito alla morte del Barbaro, aveva causato una certa rilassatezza nella
disciplina. Le congregate «arbitre
nella propria volontà, ne usavano di questa a loro piacere».15 Bisognava, quindi, cominciare col ristabilire
la disciplina e l’osservanza della Regola.
L’impresa si presentava ancora più
difficile, perché alcune Figlie dell’Addolorata erano anziane e inveterate nelle
proprie abitudini. Mons. Balbi, nel presentare la Guardini alle congregate, le
esortò «a lasciare ogni loro opinione».16
Per poter ricostruire, occorreva
prima demolire; questo richiedeva molta prudenza, per evitare reazioni e
fratture, che avrebbero potuto compromettere la riuscita della fondazione.
Il 18 settembre 1838 la Guardini
scrisse al patriarca: «Ella vede
quanto difficile sia il distruggere una Casa senza schiamazzo».17
Con quale animo si accinse al gravoso
compito può rilevarsi dalla sua lettera alla Veronese, in procinto di recarsi a
dirigere la casa filiale di Schio: «Sono
certa che troverete colà molte cose al vostro spirito contrarie; raccomandatele
molto al Signore prima di cominciare a porvi rimedio e, quando sarete
necessitata di cominciare le azioni, guardate che le opere vostre dieno
l’esempio di ciò che far dovrete.
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Così facendo, non abbiate
timore, perché il Signore vi benedirà; ponete proprio in Lui tutta la vostra
confidenza. Voi vedete che niun istrumento sarebbe stato meno adatto di me per
quest’opera; eppure il Signore, che mi diede per sua infinita misericordia
questo conoscimento d’inabilità, mi scelse acciò gli altri conoscano ch’Egli
opera in me. Coraggio dunque, raccomandiamoci al Signore vicendevolmente e non
dubitiamo, Egli ci assisterà».18
In queste parole è tutta Madre
Rachele, con la sua fede e la sua prudenza!
Ella aveva una venerazione per le
Regole. Pregò il Farina di portare il testo con sé, nella sua venuta a Venezia,
perché desiderava confrontarsi con lui, avendone don Luca modificato qualche
punto.19
Dava per prima l’esempio di una
perfetta osservanza. Costretta ad uscire di casa per le necessità della
comunità e delle opere, consultò don Luca, per essere tranquilla in
coscienza.20
Gli chiese anche il permesso di una
lieve modifica all’esercizio del capitolo della colpa, e ne avvertì
pure il Farina.21
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Esigeva da tutte
l’osservanza regolare. Nell’agosto del 1838, comunicò al Farina: «Tutto viene eseguito per quanto è
possibile nel suo principio in una numerosa Comunità. Spero che tutto verrà
eseguito appuntino, essendo queste sue caris.me figlie
desiderosissime di crescere nell’amore e, per ottenere questo, stanno sopra se
stesse, onde non contravvenire alle Regole».22
Il Farina, dopo la visita alla casa
di Venezia nell’ottobre del 1838, pregò don Luca «di raccomandare alla M. Maestra di contentarsi delle vecchie e
di non esiger troppo».
Don Luca gli rispose: «mi sembra meglio che sia V. S. che glielo
scriva», per una ragione di
competenza, ma forse anche perché, avendone costatato i frutti, apprezzava la
saggia opera della Guardini, che «ha
ottenuto quello che difficilmente avrebbe potuto altri ottenere».23
La sottomissione e la rinunzia della
propria volontà richiedevano alle suore non lievi sforzi e sacrifici. Pertanto
non mancarono, all’inizio, momenti critici, come si rileva da un accenno della
lettera inviata da Madre Rachele il 18 settembre 1838 al patriarca: «Tutte, tutte, quantunque il nemico dia
loro grandi assalti, pure si assoggettano con somma docilità».24
Un’aspirante, per la malferma
salute, ritornò in famiglia, ma qualcuno attribuì il fatto al rigore delle
Regole. Però Madre Rachele spiegò: «Noi
nulla abbiamo che pesante sia, ma voi sapete che dolce riesce tutto quello pel
quale sentiamo più inclinazione, dove al contrario faticoso ci divien ogni
cosa, quando non l’amiamo. […] Le regole nostre non hanno - 124 -
nessuna
rigidezza, perché non vi è altro che l’esercizio della carità, essendo questo
lo scopo dell’Istituto nostro; ma ciò, che potrebbe incomodare qualche
immortificata (e questa poi non resterebbe nel nostro Istituto), può essere
quella totale dipendenza, che devono avere in tutto; nonché il silenzio, che
devono tenere fino alle 9 della mattina; in ogni tempo hanno da parlare con
somma dolcezza, onde ricordarsi più facilmente che sono elette a spose del
Sovrano del cielo e della terra».25
Ritenendo «non potervi essere vero spirito, dove non vi è perfetta comunità», si adoperò per stabilire la vita
comune, nonostante qualche opposizione.
La Marzari, ex superiora delle
Figlie dell’Addolorata, aveva fatto chiedere al Balbi, dal sacerdote che
celebrava la Messa nell’Istituto, «lo
scioglimento della vita comune».
Madre Rachele, informatane,
intervenne subito per rendere vano il tentativo. Informò, poi, il Farina di
aver incontrato grandi difficoltà nel persuadere qualcuna alla perfetta vita
comune, ma vi era riuscita con la grazia del Signore.26
Ottenne pure dalle suore
l’accettazione dei lavori loro assegnati in casa, benché la Marzari lo
ritenesse quasi impossibile, dato che, nel passato, le congregate si
consideravano tutte uguali.27
Madre Rachele aveva un carattere
forte, che si rifletteva nella direzione della comunità e nell’azione educativa
delle ragazze.
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Senza farsi mai dominare
dall’impulsività, interveniva prontamente con fermezza, ma con serenità, per
eliminare ogni disordine.
Dopo di aver cercato invano di fare
ravvedere una ragazza indocile, l’allontanò dalla casa e diede precise
disposizioni, esigendo che le maestre le facessero rispettare.28 Venne così subito ristabilito l’ordine.
Era attenta, perché tutto procedesse
regolarmente e, se necessario, alla correzione univa il castigo, per educare
la persona al senso del dovere.29
Alla fermezza Madre Rachele univa la
dolcezza, che scaturiva dal suo amore per Dio e per il prossimo.30
Consapevole dell’efficacia di questa
virtù, la coltivò anche nelle suore. Il 17 novembre 1838 ella informò il
Farina: «Riguardo all’Oratorio di S.
Giacomo d’Orio, presentemente credo bene differire, acciò si formino le nostre figlie
nello spirito della dolcezza, bramando poterle esporre posseditrici di questa
bella virtù tanto raccomandataci dal Maestro Divino».31
Madre Rachele amava le sue figlie e
si prendeva cura di ciascuna di esse e di ogni loro necessità.32
Con tenerezza materna seguì la
malattia della novizia Anna Moro, che dovette subire un doloroso intervento
chirurgico. - 126 -
Ottenne di ricoverarla in una stanza da sola; pregò e
fece pregare; offrì al Signore la sua sofferenza e le sue mortificazioni; restò
accanto alla giovane durante l’operazione; ogni giorno le fece visita.33 Grande poi fu la sua gioia, quando poté
ricondurla a casa.
Al suo arrivo a Venezia, Madre
Rachele era rimasta colpita dalla povertà delle Figlie dell’Addolorata, che vivevano
in casette vecchie e mal ridotte.34 Ne provò pena e con lo stesso zelo, con il quale si adoperava per
ristabilire la disciplina e l’osservanza, cercò di sollevare la loro indigenza.
Il problema era per lei importante,
perché «mancando il corpo del
necessario, evvi pericolo che lo spirito s’indebolisca, e se ciò avvenisse […]
a poco a poco scemerebbesi quel santo fervore, che utilizza tanto le persone
che debbono prestarsi nelle opere di carità, le quali hanno da edificare i
prossimi col buon esempio crescendo in ogni virtù».35
Don Luca procurò dei benefattori;
altri li cercò lei stessa.36 Dall’imperatrice ebbe duecento fiorini.37 Anche il patriarca non le fece mancare il suo
aiuto.
Madre Rachele provvide innanzitutto a
restaurare le celle38 e a trasformare un locale fatiscente in aula
scolastica per accogliere le ragazze povere.39
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Con questi primi
interventi, la casa cominciò a cambiare aspetto; vi si notavano semplicità,
ordine e pulizia.40
Appena poté migliorare un poco il
vitto della comunità, ne diede comunicazione al Farina: «Per la spesa si ha cresciuto 3 libbre di farina a pranzo e due
tra la colazione e la cena. Se il Signore mi provvederà, potrò con mia
consolazione far star meglio queste povere creature. A D. Luca ho già scritto
chiaro che se abbiamo lo spirito, che tende ad innalzarsi, è circondato questo
di un corpo pieno di miseria e bisogni».41
Le suore e le ragazze non tardarono
a comprendere il grande cuore della loro superiora, e le si affezionarono,
nutrendo per lei stima ed affetto. Anche quelle, che all’inizio avevano provato
difficoltà ad accettare la nuova disciplina, si sottomisero docilmente.42
Il 17 novembre 1838 Madre Rachele
informò il Farina: «La Sanfermo
sempre più si affeziona, e mi dà dimostrazioni di contentamento. Anche la
Sig.ra Economa mi dice spesso di usare con lei libertà ed
avvertirla in ciò che manca».43
Quando nell’ottobre del 1839 si
allontanò la prima volta dalla comunità per un viaggio nel Tirolo, le suore e
le ragazze ne provarono dolore e si impegnarono a comportarsi bene durante la
sua assenza, per non arrecarle dispiacere.44 Al suo - 128 -
ritorno, tutte «godettero molto»; ed ella trovò le cose «in
buon ordine».45
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