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Vincenzo Carbone
Una contemplativa nella vita attiva. M. Rachele Guardini

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  • Volume I. LA VITA E L’OPERA.
    • Capitolo V. I PRIMI PASSI DELLA CASA DI VENEZIA.
      • 8. Impegno apostolico per la salvezza delle fanciulle.
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8. Impegno apostolico per la salvezza delle fanciulle.

I gravi pericoli, ai quali le fanciulle erano esposte, non lasciavano indifferente Madre Rachele. Lo zelo per la loro salvezza la spinse ad estendere la sua attività oltre la Pia Opera, che già tanto l’assorbiva.


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Si sentiva «scelta [dal Signore] per un’opera così grande qual è quella di cercare la salvezza delle anime, introducendo nel cuor delle fanciulle il conoscimento e l’amore, per l’esecuzione dei doveri che appartengono a Dio, ed anche di quelli che sono dovuti alla società».107

A questa missione dedicò tutta se stessa, senza risparmio di energie e di sacrifici. Ripeteva che bisogna darsi «tutte a tutti, per tutti condurre a Gesù».108

Bramava «vedere tutte le anime accese del fuoco, di cui arde l’amabilissimo Cuore». Questo desiderio era l’anima della sua azione apostolica.109 Nessun ostacolo la fermava: «Il sapere cosa costa un’anima, mi fa vincere tutte le difficoltà».110

Nel settembre del 1838, il console pontificio Giuseppe Battaggia le mise a disposizione un oratorio e un appartamento. Ella li accettò, con l’intenzione di porvi «una ricreazione festiva» ed una scuola gratuita, per togliere le fanciulle dalla strada.111

L’iniziativa però non poté realizzarsi, perché le fanciulle povere venivano allora accolte nella casa del Malcantone. Inoltre Madre Rachele non disponeva ancora di soggetti preparati.112

L’idea di una scuola gratuita per le fanciulle bisognose restò viva in lei e, appena poté, l’attuò. L’occasione le fu data


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dalla triste condizione di quattro sorelle, che vivevano nell’ignoranza della dottrina cattolica ed erano motivo di scandalo.

Ne accostò una, per indurla a cambiare comportamento. Essa, piangendo, le chiese di accoglierla nella scuola. Anche la mamma, con le lacrime agli occhi, illustrò a Madre Rachele la penosa situazione delle sue figlie e la supplicò di prenderle a scuola.

Quelle lacrime scesero nel cuore di Madre Rachele che, commossa, decise di accettarle. La notizia si sparse subito e oltre venti mamme avanzarono la stessa richiesta per le loro figlie, ma la ristrettezza dei locali non ne permetteva l’accoglimento.113

Dopo aver pregato per qualche giorno, Madre Rachele decise di rivolgersi al conte Revedin. Il o il 2 luglio 1839 gli scrisse un biglietto, chiedendogli udienza.114 Il giorno seguente, il conte si recò all’Istituto. Madre Rachele gli espose la necessità di avere un’aula grande, per poter accettare a scuola le fanciulle povere, e gli mostrò tre locali angusti e fatiscenti che, ristrutturati, potevano servire allo scopo.

Il Revedin approvò il progetto e le disse di fargli sapere la spesa. Ritornato a casa, le inviò 310 lire, perché si procedesse con sollecitudine alla ristrutturazione, e si impegnò per tutta la somma occorrente.115

Il 4 luglio l’ingegnere Astori, con un capo muratore, ispezionò i locali e fece un preventivo di 667 svanziche.

Madre Rachele, ritenendo la cifra superiore alle sue possibilità,


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chiamò un falegname che, con un altro muratore, fece un preventivo di 340 lire austriache. Il 7 luglio lo comunicò al Revedin, che finanziò i lavori.116

Madre Rachele ne informò subito don Luca e il Farina,117 e fece eseguire i lavori. Il 25 luglio scrisse a don Luca che sperava di poter tra poco cominciare a disporre del nuovo locale.118 Esso fu benedetto da mons. Balbi il 10 agosto e cominciò a funzionare con 32 ragazze. Madre Rachele ne diede comunicazione a don Luca e al Revedin.119

Il patriarca Monico il 7 ottobre 1839 visitò l’aula e vi trovò un numero di fanciulle, superiore alla sua capienza, che pure era abbastanza ampia.120

 

Ogni volta che bisognava ricondurre una giovane sulla retta via, Madre Rachele era sempre pronta a intervenire. Molto si adoperò per il ravvedimento della bresciana Margherita Filippini che, fuggita da casa, viveva a Venezia in un ambiente equivoco.

Appena informatane, la fece cercare da una suora, essendo lei ammalata. Ristabilitasi, si recò due volte, in abito secolare, ad incontrarla, per indurla a ritornare in famiglia.

Con il permesso del Balbi, la ospitò in casa, in attesa di farla ritornare a Brescia. La Filippini però, dopo due giorni, fuggì di notte, calandosi con un lenzuolo dal balcone.121


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Madre Rachele ne provò grande dolore; era però soddisfatta di aver fatto il possibile per salvare quella giovane. Al Farina, che le aveva chiesto informazioni rispose: «Oh, come sono contenta d’aver così operato!».122

Il Farina la pregò di usare in seguito attenzione e di non accettare persone che non conosceva: «Ricordatevi che il Vostro Istituto non è per ritiro, e che una sola, che male corrisponda, disonora poi tutte le altre [...]. Vi prego adunque quanto so e posso di essere forte, né muovervi per nessun conto alle preghiere, alle quali non possiamo, né dobbiamo prestare credenza».123

Per la verità, Madre Rachele non aveva accolto quella giovane tra le educande, ma le aveva dato soltanto ospitalità per qualche giorno, usando tutte le precauzioni. L’aveva infatti messa in una stanza appartata, con la sorveglianza di una buona suora.

Scrisse a don Luca: «Gli dica [al Manziana] che preghi e faccia pregare acciò il misericordioso Iddio mi conceda la fortezza necessaria per combattere il nemico, che scatenossi per l’azione fatta dalla Filippini. Io non sono per questo impaurita; ne ringrazio il Signore e vorrei poter consumare la mia vita, per vedere quest’anima convertita».124

Fece di tutto per risolvere un altro caso pietoso. Una donna, che conviveva irregolarmente con un uomo dal quale aveva avuto una figlia, era disposta a mutare vita, ma si preoccupava per la sorte della figlia. Voleva porla in un istituto di educazione, prima di rompere l’illecita relazione.


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Madre Rachele prese a cuore il caso pietoso e sollecitò l’intervento del conte Revedin.125

Un’altra volta, insieme con la contessa Revedin si recò a «trar dal male una giovinetta».126

Tolse pure dal pericolo la giovane Rosa Padovan, e con il permesso di mons. Balbi, l’ospitò nell’Istituto.127

Queste pagine significative illuminano le origini dell’Istituto delle Suore Dorotee di Venezia e ne fanno conoscere in tutta la sua dimensione l’ispirazione apostolica, al di fuori di ogni schematismo restrittivo.

 

 




107 Lett. n. 97.



108 Lett. n. 33.



109 Cf. lett. nn. 85, 81.



110 Lett. n. 108.



111 Cf. lett. n. 6.



112 Cf. lett. n. 6, nota 15.



113 Cf. lett. n. 101.



114 Cf. lett. n. 96, nota 4.



115 Cf. lett. n. 101.



116 Cf. lett. nn. 100, 102.



117 Cf. lett. nn. 101, 103.



118 Cf. lett. n. 110.



119 Cf. lett. nn. 115, 119.



120 Cf. lett. n. 153.



121 Cf. lett. nn. 196, 218, 225, 234.



122 Lett. n. 234; cf. doc. n. 40.



123 Doc. n. 41.



124 Lett. n. 238.



125 Cf. lett. nn. 253, 263.



126 Cf. lett. n. 260.



127 Cf. lett. nn. 360, 362.






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