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8. Impegno
apostolico per la salvezza delle fanciulle.
I gravi pericoli, ai quali le
fanciulle erano esposte, non lasciavano indifferente Madre Rachele. Lo zelo per
la loro salvezza la spinse ad estendere la sua attività oltre la Pia Opera, che
già tanto l’assorbiva.
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Si sentiva «scelta [dal Signore] per un’opera così
grande qual è quella di cercare la salvezza delle anime, introducendo nel cuor
delle fanciulle il conoscimento e l’amore, per l’esecuzione dei doveri che
appartengono a Dio, ed anche di quelli che sono dovuti alla società».107
A questa missione dedicò tutta se
stessa, senza risparmio di energie e di sacrifici. Ripeteva che bisogna darsi «tutte a tutti, per tutti condurre a Gesù».108
Bramava «vedere tutte le anime accese del fuoco, di cui arde
l’amabilissimo Cuore». Questo
desiderio era l’anima della sua azione apostolica.109 Nessun ostacolo la fermava: «Il
sapere cosa costa un’anima, mi fa vincere tutte le difficoltà».110
Nel settembre del 1838, il console
pontificio Giuseppe Battaggia le mise a disposizione un oratorio e un
appartamento. Ella li accettò, con l’intenzione di porvi «una ricreazione festiva» ed una scuola gratuita, per togliere le
fanciulle dalla strada.111
L’iniziativa però non poté
realizzarsi, perché le fanciulle povere venivano allora accolte nella casa del
Malcantone. Inoltre Madre Rachele non disponeva ancora di soggetti
preparati.112
L’idea di una scuola gratuita per le
fanciulle bisognose restò viva in lei e, appena poté, l’attuò. L’occasione le
fu data - 144 -
dalla triste condizione di quattro sorelle, che vivevano
nell’ignoranza della dottrina cattolica ed erano motivo di scandalo.
Ne accostò una, per indurla a
cambiare comportamento. Essa, piangendo, le chiese di accoglierla nella scuola.
Anche la mamma, con le lacrime agli occhi, illustrò a Madre Rachele la penosa
situazione delle sue figlie e la supplicò di prenderle a scuola.
Quelle lacrime scesero nel cuore di
Madre Rachele che, commossa, decise di accettarle. La notizia si sparse subito
e oltre venti mamme avanzarono la stessa richiesta per le loro figlie, ma la
ristrettezza dei locali non ne permetteva l’accoglimento.113
Dopo aver pregato per qualche
giorno, Madre Rachele decise di rivolgersi al conte Revedin. Il 1° o il 2
luglio 1839 gli scrisse un biglietto, chiedendogli udienza.114 Il giorno seguente, il conte si recò
all’Istituto. Madre Rachele gli espose la necessità di avere un’aula grande,
per poter accettare a scuola le fanciulle povere, e gli mostrò tre locali
angusti e fatiscenti che, ristrutturati, potevano servire allo scopo.
Il Revedin approvò il progetto e le
disse di fargli sapere la spesa. Ritornato a casa, le inviò 310 lire, perché si
procedesse con sollecitudine alla ristrutturazione, e si impegnò per tutta la
somma occorrente.115
Il 4 luglio l’ingegnere Astori, con
un capo muratore, ispezionò i locali e fece un preventivo di 667 svanziche.
Madre Rachele, ritenendo la cifra
superiore alle sue possibilità, - 145 -
chiamò un falegname che, con un altro
muratore, fece un preventivo di 340 lire austriache. Il 7 luglio lo comunicò al
Revedin, che finanziò i lavori.116
Madre Rachele ne informò subito don
Luca e il Farina,117 e fece
eseguire i lavori. Il 25 luglio scrisse a don Luca che sperava di poter tra
poco cominciare a disporre del nuovo locale.118 Esso fu benedetto da mons. Balbi il 10 agosto e
cominciò a funzionare con 32 ragazze. Madre Rachele ne diede comunicazione a
don Luca e al Revedin.119
Il patriarca Monico il 7 ottobre 1839
visitò l’aula e vi trovò un numero di fanciulle, superiore alla sua capienza,
che pure era abbastanza
ampia.120
Ogni volta che bisognava ricondurre
una giovane sulla retta via, Madre Rachele era sempre pronta a intervenire.
Molto si adoperò per il ravvedimento della bresciana Margherita Filippini che,
fuggita da casa, viveva a Venezia in un ambiente equivoco.
Appena informatane, la fece cercare
da una suora, essendo lei ammalata. Ristabilitasi, si recò due volte, in abito
secolare, ad incontrarla, per indurla a ritornare in famiglia.
Con il permesso del Balbi, la ospitò
in casa, in attesa di farla ritornare a Brescia. La Filippini però, dopo due
giorni, fuggì di notte, calandosi con un lenzuolo dal balcone.121
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Madre Rachele ne provò
grande dolore; era però soddisfatta di aver fatto il possibile per salvare
quella giovane. Al Farina, che le aveva chiesto informazioni rispose: «Oh, come sono contenta d’aver così
operato!».122
Il Farina la pregò di usare in
seguito attenzione e di non accettare persone che non conosceva: «Ricordatevi che il Vostro Istituto non è
per ritiro, e che una sola, che male corrisponda, disonora poi tutte le altre
[...]. Vi prego adunque quanto so e posso di essere forte, né muovervi per
nessun conto alle preghiere, alle quali non possiamo, né dobbiamo prestare
credenza».123
Per la verità, Madre Rachele non
aveva accolto quella giovane tra le educande, ma le aveva dato soltanto
ospitalità per qualche giorno, usando tutte le precauzioni. L’aveva infatti
messa in una stanza appartata, con la sorveglianza di una buona suora.
Scrisse a don Luca: «Gli dica [al Manziana] che preghi e
faccia pregare acciò il misericordioso Iddio mi conceda la fortezza necessaria
per combattere il nemico, che scatenossi per l’azione fatta dalla Filippini. Io
non sono per questo impaurita; ne ringrazio il Signore e vorrei poter consumare
la mia vita, per vedere quest’anima convertita».124
Fece di tutto per risolvere un altro
caso pietoso. Una donna, che conviveva irregolarmente con un uomo dal quale
aveva avuto una figlia, era disposta a mutare vita, ma si preoccupava per la
sorte della figlia. Voleva porla in un istituto di educazione, prima di rompere
l’illecita relazione.
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Madre Rachele prese a
cuore il caso pietoso e sollecitò l’intervento del conte Revedin.125
Un’altra volta, insieme con la
contessa Revedin si recò a «trar dal
male una giovinetta».126
Tolse pure dal pericolo la giovane
Rosa Padovan, e con il permesso di mons. Balbi, l’ospitò nell’Istituto.127
Queste pagine significative
illuminano le origini dell’Istituto delle Suore Dorotee di Venezia e ne fanno
conoscere in tutta la sua dimensione l’ispirazione apostolica, al di fuori di
ogni schematismo restrittivo.
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