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Vincenzo Carbone Una contemplativa nella vita attiva. M. Rachele Guardini IntraText CT - Lettura del testo |
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5. Donna prudente e forte. Madre Rachele si distinse nella virtù della prudenza. Ne diede prova, innanzitutto, nell’orientamento della vita a Dio e nella scelta dei mezzi per raggiungere il fine ultimo. Scopo unico delle sue azioni fu la gloria del Signore, la propria salvezza e quella degli altri. Prima di agire rifletteva, si consigliava e pregava, per chiedere lumi al Signore e conoscerne la volontà. Conosciutala, la seguiva con fermezza. La sua prudenza rifulse in modo speciale nella fondazione dell’Istituto. Riuscì ad innestare su un vecchio albero un nuovo germoglio e ne curò lo sviluppo, evitando contrasti e lacerazioni. Con ammirabile saggezza indusse le Figlie dell’Addolorata alla disciplina del nascente Istituto, le formò allo spirito di esso e scelse le candidate idonee.142 Pur essendo accesa di zelo, non si lasciò mai prendere dall’impeto e dalla fretta sconsiderata. Nell’assumere le opere e nell’allargare il raggio di azione della Pia Opera procedette con gradualità, badando prima alla formazione religiosa ed apostolica delle suore. Credeva meglio che fossero poche, ma sagge e zelanti, piuttosto che molte ed inoperose.143 Nella fondazione delle case, esigeva che fossero ben determinate le condizioni anche riguardo al necessario sostentamento delle suore, per evitare che le preoccupazioni materiali turbassero la loro serenità e incidessero negativamente sull’attività apostolica.144 Evitava di esporsi a rischi. A un parroco, che insisteva per fare accogliere alcune giovani, rispose: « Riguardo alle giovani sue parrocchiane, dalla carità sua raccomandatemi, dirolle che presentemente ho ricevuto il numero conveniente per l’Istituto nostro, per cui non avendo fin qui lo stesso fondi propri, è necessario che usi della ben dovuta prudenza, onde non avermi a pentire ».145 Si formava un giudizio chiaro e preciso delle persone e delle situazioni, e lo esprimeva con sincerità. Diceva sempre lealmente a mons. Balbi, a don Luca e a don Antonio Farina quello che riteneva di dover dire.146 Ella si trovava in una condizione delicata. La casa di Venezia, filiale dell’Istituto di Vicenza, aveva, infatti, un triplice riferimento: a don Luca, fondatore; a mons. Balbi, superiore ecclesiastico; a don Antonio Farina, superiore di Vicenza. Riuscì a tenere i rapporti con tutti e tre in modo così equilibrato da riscuotere il loro apprezzamento. Il suo atteggiamento torna a gran merito di lei e ne dimostra l’intelligenza, il tatto e la virtù. Come superiora, ebbe un vivo senso della sua responsabilità e adempì scrupolosamente tutti i suoi doveri. Lo si vide chiaramente nella fondazione delle case filiali. Ella dichiara: « Credo Dio infinitamente provvido e lo esperimento, ma lo Stesso vuole che usi la prudenza ben dovuta, perché l’opera sua perfezionasi. Siamo mortali, perciò è bene operare cautamente »;147 « S’io sarò dal Signore presto chiamata, non voglio lasciar imbarazzate quelle che restano ».148 La stessa cautela chiedeva a don Luca: « Le raccomando di usare tutta la prudenza, onde ben regolate sieno le cose, cioè che i documenti sieno fatti in regola, perché non bastano le belle disposizioni. Siamo mortali, dunque parmi prudenza disporre tutto cautamente ».149 In verità, si deve alla saggezza di Madre Rachele la giusta impostazione, che favorì il rapido sviluppo dell’Istituto. Nell’ultimo anno di vita diede un’altra prova della sua non comune prudenza, nella direzione del conservatorio delle Zitelle, riuscendo nel giro di un anno a trasformarlo totalmente.150
Madre Rachele fu una donna giusta nel senso evangelico della parola. Praticò la virtù della giustizia verso Dio, dedicando tutta la vita al servizio e alla gloria di Lui.151 Ne seguì sempre la volontà e ne osservò fedelmente la legge e l’insegnamento.152 Tutto quello, che si riferiva a Dio, era in cima ai suoi pensieri e costituiva lo scopo primario della sua attività. Intendeva impiegare tutto il tempo per il Signore, senza perdere un solo « attimo ».153 Fu fedele nell’adempimento dei propri doveri, impegnandosi fino a sentirsi qualche volta venir meno.154 Non toglieva ad essi neppure « un momento » e cercava di compierli « rettamente », il « meno imperfettamente » possibile.155 Pensava che dal suo modo di operare poteva dipendere il bene di molte anime,156 e lo stesso impegno raccomandava alle suore.157 Esercitò pure la giustizia verso il prossimo, armonizzandola con la carità: due virtù da lei « particolarmente amate ».158 Aveva un profondo rispetto per la personalità e i diritti degli altri, evitando di offendere anche il più piccolo. Era puntuale ed esatta nell’adempiere i propri impegni; obiettiva ed imparziale nel giudizio e nel comportamento verso tutti. Nutriva profonda riconoscenza per i benefattori dell’Istituto e la concretava nella preghiera.159 Si dichiarava amante della semplicità,160 e di fatto era semplice e trasparente, leale e sincera, aliena da sotterfugi e astuzie. Il suo era il linguaggio della verità, che con garbo diceva sempre a tutti.161
Da sottolineare è anche la virtù della fortezza di Madre Rachele. Ella ebbe per natura un temperamento forte, ma riuscì a dominarlo perfettamente, con il controllo continuo di se stessa. Fu libera da impulsività e impetuosità; in ogni circostanza ci appare padrona di sé, eguale di spirito, senza alti e bassi, serena, equilibrata, dolce, affabile e ilare.162 Questo le guadagnò la stima e l’affetto di quanti la conobbero. Esercitò la fortezza nel tendere a Dio nel cammino di perfezione, mai interrotto da alcuna difficoltà interiore o esterna. Concepì la vita terrena come un « combattimento » e, fortificata dalla grazia, la visse lottando, per santificarsi ed ottenere la corona celeste.163 Pur sentendosi inclinata alla vita contemplativa, accolse, per consiglio del confessore, l’invito di don Luca, divenne suora dorotea e, per ubbidienza, rimase fedele a questa scelta, benché di tanto in tanto si facesse sentire fortemente l’attrattiva alla vita del chiostro.164 La sua fortezza si manifestò poi nella non facile impresa della fondazione e del governo dell’Istituto. Quale fosse la sua condotta traspare chiaramente da quello che scrive a Barbara Pagani: « Le dirò che ho provato piacere, intedendo dalla sua lettera la determinazione da Lei presa, ma più godo per la fermezza che dimostra: questa è proprio quella cristiana virtù, chiamata fortezza, per cui intrapresa dall’anima un’opera, che ridondare ne possa gloria a Dio, vi resiste a costo d’ogni patimento, anzi di questo si compiace, perché atta la rende con ciò ad avvicinarsi all’Amante Divino, il quale contentossi di spargere tutto il preziosissimo suo sangue per redimerla. Ritenga pure ciò che la serafica S. Teresa dice di se stessa in molti capi: ‘Niente ti turbi, colla pazienza tutto si acquista’; aggiunga poi la massima di S. Paolo: ‘Omnia possum in eo, qui me confortat ’».165 Nonostante l’intima propensione a non comandare e a vivere sotto ubbidienza,166 accettò l’esercizio dell’autorità e lo adempì fedelmente. Ne sentiva il peso, ma non lo rifiutò, per conformarsi alla volontà di Dio.167 Diede ancora prova di fortezza soprannaturale nell’intensa azione apostolica, svolta con generoso impegno malgrado la malferma salute. Le difficoltà non l’abbattevano, anzi ne ringraziava il Signore, che le permetteva per rafforzarla nella virtù. Esclamava: « Sia benedetto Iddio, che si serve dei venti impetuosi, per rassodare anche le piante deboli ».168 Quando un parroco si oppose all’istituzione della Pia Opera nella sua parrocchia, Madre Rachele accolse umilmente la permissione del Signore.169 In ogni contrarietà rimaneva serena, perché – diceva – tutto quello che turba non viene da Dio, che è Dio della pace.170 Nelle varie malattie, che la travagliarono portandola a prematura morte, dimostrò tale forza di animo da suscitare la commossa ammirazione delle suore.
Degno di rilievo è il suo grande spirito di sacrificio e di mortificazione. La morte precoce del padre mutò le condizioni economiche della famiglia, ed ella dovette ben presto cominciare a lavorare fuori casa. La dura esperienza, affrontata con spirito di fede, le fece acquisire quel carattere di serietà che distinse tutta la sua vita e le meritò la stima affettuosa delle famiglie presso le quali prestò il suo servizio. Continuò così nella vita religiosa, dando esempio di laboriosità e di dedizione. Oltre al normale governo dell’Istituto e alla formazione delle suore, attese senza risparmio di energie all’apertura di nuove case e alla diffusione della Pia Opera. Pur oberata da numerosi ed ardui problemi, con non lieve sacrificio si impegnò perfino nello studio, per conseguire il diploma di abilitazione all’insegnamento. Considerava, infatti, la preparazione culturale necessaria alla missione delle Suore di S. Dorotea. Spesso era costretta a lavorare anche di notte, per far fronte alle esigenze dell’ufficio e per sbrigare la corrispondenza.171 Talora suor Maria Rosa Sanfermo, preoccupandosi della sua salute, doveva intervenire per sollecitarla ad andare a letto.172 Nel vitto, come nel sonno, fu molto mortificata. Ella riferisce: « Qui si lavora giorno e notte, dando al corpo quel solo che può bastare perché non cada, eppure ho spesso forti dolori di capo. Siane ringraziato il buon Gesù, che così dispose di me ».173 A don Luca, che le aveva dato notizie sui soggetti per la fondazione della casa di Bologna, rispose: « Io sono persuasa che tutte, tutte saranno vestite dello spirito di mortificazione, ma se mai qualcuna più ne sentisse la ripugnanza, io la prego, per amor di Dio, di vincersi onde non abbia da demeritare le celesti benedizioni ».174 Ebbe una grande sensibilità, che riusciva a dominare perfettamente. Il 9 febbraio 1840 scrive alla sorella Marietta: « Eccomi a subito appagare il desiderio della cara Mamma. Dille pure che la mia salute è buona, ed il motivo del mio ritardo a scrivere fu solo per timore di mancare al mio dovere, oppur soddisfarmi ».175 Trovandosi a Padova per il trasferimento di una suora ammalata, desiderava spingersi fino a Vicenza, ma vi rinunziò e il 9 luglio 1850 da Venezia scrisse al Farina: « Oh quanto desiderio sentivo di giungere fino costì, per baciare la sacra Sua mano e rivedere l’amata Comunità, ma non avevo permesso di ciò eseguire, così feci di mia viva brama un’offerta al buon Gesù ed alla cara nostra Madre ».176
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142 Cf. pp. 134 ss. 143 Cf. lett. n. 477. Afferma: « Iddio mi conceda la necessaria grazia, onde cooperi con fervore al perfezionamento della Pia Opera, estendendola e coltivandola con prudente zelo »: lett. n. 488. 144 Il suo atteggiamento era preciso e fermo: « Quantunque senta una grande brama di giovare al mio prossimo, tuttavia vado cautamente, quando si tratta di estendersi, non allontanando le Suore dall’Istituto fino che garantita non sia pel mantenimento loro »: lett. n. 931; cf. lett. n. 941. 145 Lett. n. 439. Il 28-9-1840 scrisse al Farina: « Coraggio, adunque, in mezzo alle avversità: stiamo saldi, e tutta poniamo la nostra confidenza in Dio, attendendo da lui i soccorsi necessari. Evvi però un grande bisogno di adoperare anche la prudenza, onde non tentare Iddio; e questa tanto gliela raccomando, affinché non abbiamo ad avere il dolore di veder distrutta l’opera del Signore per la troppa bontà del cuore »: lett. n. 350. 146 Cf. pp. 85, 136, 137, 148. 147 Lett. n. 605. 148 Lett. n. 501. 149 Lett. n. 575. 150 Cf. pp. 390 ss. 151 Cf. lett. nn. 295, 312, 316, 371, 436, 534, 561, 691, 785, 974, 1010, 1035, 1110, ecc. 152 Cf. pp. 422-430. 153 Cf. lett. nn. 683, 691. 154 Cf. lett. nn. 1002, 423, 801, 985, ecc. 155 Cf. lett. nn. 1018, 425, 654, 759, 847, 992, 1028, 1040, 1051, 1060, ecc. 156 Cf. lett. n. 274. 157 Cf. lett. n. 754. 158 « Non è forse ordinata la carità? e mancando di giustizia, potrò credere d’aver adempiuto il mio dovere? »: lett. n. 411. Ancora: « È però anche vero dover io, non solo colla virtù [della] carità, ma colla giustizia ancora procedere, per cui mi è d’uopo sacrificare qualche volta il mio cuore, affine di non offendere ambedue le nominate virtù »: lett. n. 782. 159 Cf. lett. nn. 97, 102, 122, 144, 183, 220, 231, 263, 339, 430, 836, 919, 1011, ecc. 160 Cf. lett. nn. 974, 999. 161 Cf. p. 85. Chiede a don Luca: « Mi ottenga dalla bontà di Gesù la grazia di camminare la via della semplicità e verità »: lett. n. 271. Riconosce di avere « una grande schiettezza »: lett. n. 1021. Non scrive mai una parola che non le parta dal cuore « che parla il linguaggio della verità »: lett. n. 787; cf. lett. n. 398. Dopo di aver manifestato a mons. Balbi un rilievo sul comportamento delle persone di servizio nella di lui casa, dichiara: « Io spero di essere perdonata pel mio ardire; Ella sa ch’io non sono tranquilla, se non Le paleso tutto »: lett. n. 99. 162 Cf. lett. nn. 268, 807. 163 Cf. lett. nn. 20, 30, 37, 63, 94, 199, 268, 381, 612, ecc. 164 Cf. pp. 83, 84, 93 ss. 165 Lett. n. 283. 166 Cf. lett. nn. 101, 108, 198, 584, 777. Quando, al termine del secondo triennio, fu riconfermata nell’ufficio di superiora, scrisse al card. Patrizi: «Credevo proprio dovesse cessare ogni diritto sopra di me nell’elezione; onde godeva il mio spirito nella certezza di poter come suddita volare ad ogni cenno, affine adempire prontamente la volontà di Dio in quella della mia Superiora; ma […] i voti generali dichiararono volere Iddio ch’io addossassi nuovamente il regime, così per conformarmi alla sua volontà, sempre cara e bella, piegai la mia, benché pertinace»: lett. n. 1087; cf. doc. n. 181. 167 Cf. lett. nn. 63, 146, 1002, ecc. « In questa sua missione si mostra forte, lucida e mirabilmente dritta di giudizio: caso per caso, dopo lunghe preghiere e meditazioni non soffre incertezze, anche quando ha da prendere risoluzioni gravi di fronte alle giovani disadatte all’Istituto, nonostante che quelle decisioni si ripercuotano nel profondo di lei in un dolore che abbraccia e duplica il dolore della espulsa. Soffre più lei che non colei alla quale ella deve imporre la rinuncia. È una vera manifestazione di superiore maternità che ella attua verso le figlie: in altri casi, cioè quando una religiosa deve staccarsi dalle consorelle e dalla casa che ama, o per trasferimento, o forse per una nuova fondazione, ella cerca di sorreggerla nel momento del passo doloroso. Alla signora Anna Veronese, in Schio, ella scrive in data 26 novembre 1839 questa lettera nella quale non sappiamo se più ammirare la profonda conoscenza del cuore umano o la delicatezza veramente materna con la quale ella cerca di portare sollievo e guida »: G. Papàsogli, Don Luca Passi, cit., p. 193. 168 Lett. n. 50. 169 Cf. lett. n. 24. 170 Cf. lett. n. 87. 171 Cf. pp. 33-34. 172 Cf. lett. nn. 86, 238. 173 Lett. n. 501. 174 Lett. n. 487. 175 Lett. n. 240. Il 28-12-1844, nell’inviare gli auguri alla mamma, che dopo Dio teneva nel suo cuore il primo posto, si scusa del ritardo e delle poche lettere che le dirige, e spiega che ciò non dipendeva da negligenza, ma dal fatto « che non saprebbe togliere al suo dovere un momento, per procurare a sé una soddisfazione »: lett. n. 1018. In una sua lettera al p. Angeli leggiamo: « Godo che la famiglia Larcher sieno tutti sani. S’Ella crede, mi farà grazia dire alla Giovannina che ho più volte desiderato di scriverle, ma il timore di soddisfare me stessa mi trattenne »: lett. n. 111. Cf. lett. nn. 211, 318. 176 Lett. n. 1137. |
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