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Vincenzo Carbone Una contemplativa nella vita attiva. M. Rachele Guardini IntraText CT - Lettura del testo |
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4. La vocazione religiosa. Il cammino spirituale percorso aveva fatto maturare nella Guardini la vocazione religiosa. Sentendosi attratta alla vita contemplativa, si orientò verso le «Adoratrici» ed aveva trovato un benefattore, il signor Giacomo Taffelli, disposto a provvedere alla dote necessaria.43 L’indicazione «Adoratrici» è generica. Qualcuno aveva pensato trattarsi delle Ancelle della Carità,44 «che a Brescia si chiamano o Adoratrici od Ospitaliere perché la fondatrice […] all’assistenza ospitaliera aveva unito l’adorazione eucaristica quotidiana, come si fa ancora a Casa Madre in Brescia».45 La supposizione però è da escludersi, perché l’appellativo «Adoratrici» per le Ancelle della Carità è tardivo e posteriore al tempo, cui i fatti si riferiscono. Fino al 1845, non disponendo di una chiesa propria, esse si recavano in quelle vicine. Cominciarono ad avere una loro chiesa il 9 ottobre 1845, e soltanto alcuni mesi dopo, il 13 maggio 1846, ottennero il permesso di conservarvi il SS. Sacramento.46 La fondatrice, durante la sua dimora a Roma negli ultimi mesi del 1850, soleva trattenersi in preghiera nella chiesa di S. Anna detta delle Sacramentarie, a Monte Cavallo, ove si faceva l’adorazione perpetua.47 Decise, allora, di introdurla anche nella sua casa madre. Ritornata a Brescia, la istituì nei primi giorni del 1851;48 pare, però, che essa abbia avuto inizio soltanto alcuni mesi dopo. La stessa Madre Rachele, in una lettera del 22 giugno 1840 (n. 298), distingue le Ospitaliere (Ancelle della Carità) dalle Adoratrici; è certo, dunque, che nel 1838 per Adoratrici non poteva intendere le Ancelle della Carità.49 La sua scelta si era indirizzata alle Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento, con clausura papale, fondate a Roma (31-5-1807) da suor Maria Maddalena dell’Incarnazione (al secolo Caterina Sordini).50 Lo si deduce dal fatto che Madre Rachele ebbe rapporti epistolari con alcune di esse.51 Inoltre, quando nel 1844 fu per alcuni giorni a Roma, spesso si recava a pregare nella loro chiesa.52 In quel tempo le Adoratrici non avevano case nel bresciano e nel bergamasco.53 Forse la Guardini le conobbe attraverso le amiche trentine entrate in quell’Ordine. Il disegno divino era un altro e le si manifestò durante la sua permanenza nella casa Passi a Calcinate, quando don Luca le propose di divenire Suora Maestra di S. Dorotea, per la fondazione in Venezia. È frequente il caso di persone che, pur sentendo inclinazione alla vita claustrale, vengono invece dirette dalla Provvidenza in Istituti di vita apostolica, per una speciale missione. Così fu per Rachele Guardini! La proposta di don Luca, quando ella si era già orientata verso le Adoratrici, le fu motivo di ansia. Se, da una parte, vedeva aprirsi la strada per attuare la vocazione religiosa, dall’altra, però, temeva di discostarsi dal volere divino, che ella credeva di scorgere nell’inclinazione alla vita claustrale. Essendosi prefissa come norma la piena conformità alla divina volontà, voleva conoscere quello che Dio veramente le chiedesse. Cercava la chiarezza e la raggiunse nella preghiera. Ubbidendo al consiglio del suo confessore, don Giovanni Battista Fenaroli parroco di Calcinate,54 superò le esitazioni e il 10 luglio 1838 entrò nella casa di Vicenza. Don Luca, in un primo momento, aveva comunicato al Farina che la Guardini si sarebbe recata a Vicenza dopo la metà del mese di luglio.55 Il 4 luglio precisò: «ciò accaderà nella ventura 7mana, e chi sa che non l’accompagni io stesso dovendo andare a Modena».56 Era un gesto paterno di don Luca, che comprendeva quanto costava alla Guardini mutare i suoi piani! Il 4 luglio era mercoledì; quindi la «ventura 7mana» cominciava il lunedì 9 luglio. Perciò la partenza della Guardini per Vicenza avvenne alla fine della prima decade di luglio. In una postilla del Farina alla citata lettera di don Luca si dice che la Guardini giunse a Vicenza il 10 luglio. Ella vi restò meno di un mese, preparandosi alla difficile missione che l’attendeva. Non incontrò particolari difficoltà ad entrare nello spirito dell’Istituto e vi si adattò subito, per l’alto grado di vita spirituale e di virtù raggiunto in precedenza. Rimase però in lei l’inclinazione alla vita contemplativa. Il 24 ottobre 1838 don Luca scriveva al Farina: «Le raccomando la Rachele. Veda di tenerla confortata nella presente vocazione, perché mi sembra nata fatta ed ha ottenuto quello che difficilmente avrebbe potuto altri ottenere».57 Il desiderio della vita claustrale riaffiorava di tanto in tanto,58 ma la Guardini riuscì sempre a superarlo con l’ubbidienza a don Luca. Il 20 marzo 1839 gli scrisse: «Ho ricevuto la pregiatissima sua lettera, nella quale con maggiore fermezza mi fa conoscere che Iddio vuole essere servito da me in Venezia. Adoro la sua santissima volontà e sono contenta di servirlo come vuole e dove vuole; ma la promessa che le feci, di non nasconderle ciò che penso, mi obbliga a parteciparle una nuova tentazione, la quale ho disprezzata e cerco di trascurare anche presentemente [...]. Ah, preghi per me e faccia pregare, acciò io sempre segua la sua voce, che Pastore la veggo datomi dal Signore; oh allora sì sarò certa di non errare!».59 Don Luca le prospettava l’utilità del suo lavoro per la salvezza di tante povere giovani esposte al pericolo. Questo pensiero la spingeva a mettere da parte il proprio desiderio e ad impegnarsi, con tutte le forze, nell’attività apostolica, seguendo la volontà di Dio, che vedeva riflessa nel consiglio di don Luca. Il 21 luglio 1839 gli scrive: «Ella mi ordina di leggere la pregiatissima sua lettera, sola, senza che il brutto ragno vi metta la sua parte. Io mi sono raccomandata al Signore, acciò questo non vi entri, ma egli è tanto furbo che non posso assicurarla se siasi allontanato. Monsignore la lesse col poscritto e poi dissemi: ‘D. Luca non s’allontana da quello ch’io ti ho detto; se lo spargere una parte del mio sangue potesse giovare per vederti a star bene, io lo verserei. Fa un riflesso e dimmi: se ti trovassi in questo punto in fine di tua vita, saresti più contenta di aver operato nella vigna del Signore, oppure aver pensato per te sola?’. Ho convenuto che sarei soddisfatta d’aver adempito la volontà del Signore, per quanto contraria fosse alla mia che, sempre ribelle, vorrebbe opporsi alla divina; io tengo per una grazia il desiderio ch’Egli mi dà, di questa voler adempire; per cui faccio a me stessa violenza ed opero, resistendo a tutte le contrarietà, contenta, come Le dissi nell’altra mia, d’essere vittima d’obbedienza […]. Il sapere cosa costa un’anima, mi fa vincere tutte le difficoltà, ed il riflesso d’avere un dì a rispondere per tante anime ad un Dio giudice, m’inorridisce; per cui invece di vedermi scelta dall’infinita sua carità, onde farmi meritare, sento grande pena; e mi conforto solo adorare la mano divina, che ha trovato un modo affinché possa purificare l’anima mia [...]. Sono persuasissima di potermi ingannare, per questo appunto tengomi sempre forte all’àncora dell’obbedienza, e vedo che [in] ciò [che] mi viene per questa comandato, riesco quantunque insufficientissima; così ognuno chiaramente vede che il Signore opera in me. Io sono anche disposta, s’Ella crede, di mai più manifestarle i moti del mio cuore ed i pensieri che occupano molte volte il mio intelletto, sicura d’aver un mezzo maggiore per offerire qualche cosa al caro Gesù».60 Il suo spirito anelava al raccoglimento, alla contemplazione e al colloquio con Dio. Il 26 agosto 1839 scrive al Farina: «Io sospiro questo momento [degli esercizi spirituali], perché l’anima mia è proprio affamata e arde del desiderio di ricevere la parola di Dio».61 Si piegava, però, alla vita apostolica, per ubbidienza e per amore al Cristo: «Quantunque questa mia ribelle natura cerchi continuamente d’opporsi, e peni per non poterla vincere collo spirito, pure sono contenta, nella speranza di dar gusto al caro Gesù, il quale, per sua infinita carità, fa vedere che non si dimentica della povera Rachele».62 L’inclinazione alla vita contemplativa riemerse con forza nella rinnovazione dei voti (19 settembre 1839). Madre Rachele riuscì a superarla, considerando la necessità di assistere le fanciulle e le indicazioni dei superiori, che l’assicuravano di essere nella volontà di Dio. Determinante, quindi, fu ancora una volta l’ubbidienza. In quello stesso mese scrive al Manziana: «Devo pure confessarle che, quantunque vivissimo senta l’impulso di essere annoverata nelle prime fortunate anime [le Adoratrici], non seppi dire una parola per resistere all’obbedienza, datami dai Superiori, di rinnovare i voti [...]. Quel nido di angeliche creature lascia al mio cuore sempre più sentire veemente il desiderio di essere a loro annoverata, benché nell’ultimo luogo. Non ci vorrebbe che l’escludermi di Monsignor Vescovo, per essere persuasa che Iddio non m’abbia a loro chiamata. Intanto ringrazio il misericordioso Iddio che adoperi questo suo niente per l’opera sua».63 Tre mesi dopo, confida alla Madre M. Carolina Costanza Mangiagalli del monastero Matris Domini di Bergamo: «Veramente voi avete avuto una gran fortuna entrando in claustrale asilo; ed io ringrazio Iddio di ciò che ha fatto di me, perché sono certa ch’Egli dispone tutto per il meglio; e quantunque senta ancor viva la brama di pormi in clausura, pure adoro la sua volontà, perché cosa servirebbemi l’essere allontanata per mio capriccio dalle creature, se poi Egli mi togliesse la sua grazia?».64 Il 22 giugno 1840 scrive a don Marco: «Vivo conservo per quest’angelico Istituto [delle Adoratrici] l’impulso, ma conoscomi troppo miserabile per essere unita con quelle anime benedette, per cui, quando più forte sento il desiderio di sola trovarmi col mio Gesù, vo ripetendo che altro voler non voglio che il suo, e benché tanta violenza provi nella vita attiva, sarò contenta di tutta consumarla, quando così Egli voglia, non desiderando il mio, ma il suo piacere».65 Viveva così il conflitto interno fra l’esigenza profonda di contemplazione e l’intensa attività, elevandolo ad accettazione ed offerta. Senza nulla perdere dell’anelito spirituale, mantenne sempre il necessario senso pratico. Ne seguì una mirabile armonia tra contemplazione ed azione, che distinse tutta la sua vita religiosa. Ella dichiara: «Necessitata dal mio dovere di essere continuamente occupata nella vita attiva, pure sente l’anima mia sempre spinta maggiore per unirsi a Dio non solo colla solitudine del cuore, ma anche della persona; e nella veemenza dei desideri vo pregando il Divino Amante che faccia di me ciò che vuole, ma concedami almeno ch’io abbia la consolazione di vederlo adorato ed in parte risarcito da altre».66 Questa profonda unione con Dio, alimentata dalla preghiera e dal raccoglimento, animava la sua intensa attività. Al Manziana scrive: «Devo confessare che adoro la volontà del Signore, e che non so volere altro che questa si adempisca in me, ringraziandolo che, per l’infinita sua misericordia, mi scelse, benché indegnissima, per l’apostolica vita; ma l’anima mia sentesi sempre più attirata per la vita nascosta, e le bellezze, che gli occhi miei sono necessitati a vedere in questa città, non servono ad altro che per destarmi maggiore il desiderio di poter sola trattenermi col mio Gesù».67 A suor Geltrude delle Adoratrici dice di essere «la poverella, ch’è obbligata dall’obbedienza a girare per la città, mentre l’anima sua vorrebbe, col mezzo della santa solitudine, ascendere il gran Monte, per riposarsi nella beata Gerusalemme». Pur dovendo «calcare la terra», cerca di tenere la sua «conversazione in cielo»; «questo [...] vo facendo ed è veramente l’unico mezzo da me adoperato per confortare la povera mia anima».68 Quando sembrava imminente l’apertura di una casa di Adoratrici in Brescia, apre il suo animo al Manziana: «Mi reca sommo contento il sapere che hanno l’enumerazione delle aspiranti per l’angelico Istituto delle Adoratrici. E che sarà della poverina, che tanto ansiosamente lo sospirò, e tutto dì arde della brama di potersi togliere alle creature, per vivere, tutta nascosta, al suo Creatore? Parmi già di sentirla rispondere: sarà quello che Dio vorrà. Oh volontà amabilissima del mio Gesù, tu sei e sarai sempre la mia!».69 [Pagina bianca]
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43 Cf. lett. n. 428. Le «Memorie sull’Istituto» riferiscono che fu Carlo Manziana di Brescia ad ottenerle dal Taffelli la promessa della dote (cf. p. 4). 44 Fondate a Brescia (18-5-1840) da Maria Crocifissa (Paolina) di Rosa, furono approvate dall’imperatore Ferdinando come pia unione il 7-5-1844, e da Pio IX il 23-12-1847. Le costituzioni ebbero l’approvazione definitiva l’8-4-1851. Il riconoscimento imperiale delle stesse (14-4-1852) permise l’erezione canonica della congregazione, le prime vestizioni e professioni: cf. G. Rocca, Ancelle della Carità, in Dizionario degli Istituti di perfezione, ed. Paoline, vol. I, Roma 1974, col. 552; L. Fossati, Beata Maria Crocifissa Di-Rosa, cit. 45 P. Guerrini, Le Dorotee di Brescia, cit., p. 38, nota 8. Don Luca, l’8-3-1838, chiedeva alla Marini notizie sulle «Adoratrici», forse perché la Guardini gli aveva manifestato il desiderio di entrare in quell’Istituto, quando ancora non si pensava alla fondazione delle Dorotee in Venezia. 46 Cf. E. Girelli, Della vita di Suor Maria Crocefissa al secolo Paola Di Rosa e dell’Istituto delle Ancelle di Carità da lei fondato in Brescia, Giovanni Bersi e Comp. Tip. Lib. Edit. Vesc., Brescia 1884, pp. 175-177. 47 Cf. E. Girelli, cit., p. 219. 48 Cf. ibid., p. 312. 49 La loro fondatrice è spesso menzionata nelle lettere di don Luca e di don Marco: cf. P. Guerrini, Le Dorotee di Brescia, cit., lett. nn. 50, p. 72; 60, p. 82; 72, p. 91; 115, p. 128; 116, p. 129; 120, p. 132; 123, p. 133; 143, p. 148; 171, p. 168; 174, p. 171; 192, p. 185; 207, p. 196. Don Luca il 27-5-1852 scrisse alla Marini: «andrete dalla Signora Paolina e farete le mie congratulazioni pel compimento dei suoi voti [erezione canonica dell’Istituto], e gli direte che non potendo esser presente di persona lo farò di spirito, ed a Volterra dirò il giorno del S. Cuore la Messa per il suo Istituto, ed essa poi faccia pregare pel nostro»: P. Guerrini, ibid., lett. n. 171, p. 168. Il 28-5-1852 don Marco scrisse alla Marini: «Spero di farvi presto una visita e sarebbe in occasione della celebrazione della festa del Sacro Cuore, in cui si darà principio alla solenne apertura della istituzione delle Adoratrici»: ibid., lett. n. 172, p. 169. 50 Furono approvate il 2-2-1808 dal card. Della Somaglia. Il 13-2-1818 Pio VII ratificò tale approvazione, che fu poi confermata da Leone XII (6-7-1821): cf. G. Rocca, Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento, in Dizionario degli Istituti di perfezione, vol. I, cit., coll. 109-110. 51 Cf. lett. nn. 357, 875, 986, 1069. 52 Cf. lett. n. 878. 53 Mons. Carlo Domenico Ferrari, vescovo di Brescia, con lettera dell’8-10-1838 (AVBr) pregò l’imperatrice di ottenergli dal consorte il permesso di una fondazione delle Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento nella sua diocesi. Egli ebbe da un benefattore una somma di denaro a tale scopo: cf. lett. di Madre Rachele a don Luca (10-6-1839), n. 86. Il permesso non fu concesso. Qualche anno dopo, il 4-10-1843, don Luca scrisse a mons. Altieri, nunzio a Vienna, pregandolo di informarsi sui motivi della negata concessione (ASVt, Nunziatura di Vienna, vol. 281P). Il nunzio gli rispose il 15-10-1843: «Per quello poi concerne la meditata fondazione da effettuarsi in Brescia, delle Perpetue Adoratrici del SS. Sacramento, mi permetta che in luogo di fornirle qui le richiestemi informazioni, io Le manifesti il mio modo di pensare su questo proposito. Sarei [...] di parere, che senza far caso della negativa già riportata in seguito alla domanda fatta a questo Governo, pochi anni sono, da Mg.r Ves.o di d.a Città per ottenere la Sovrana approvazione dell’indicata fondazione, si dovesse ora ripetere dal med.o la stessa domanda, esponendo in essa con chiarezza e precisione tutto ciò che possa servire a far concepire una esatta e vantaggiosa idea dell’Ordine […], e che perciò sia a portata di facilitare il conseguimento del sospirato assenso Sovrano»: ASVt, Nunziatura di Vienna, vol. 282 C (3 gennaio 1842 – 29 dicembre 1843), Nunzio Altieri, n. 1921, f. 305. 54 Cf. lett. n.135. 55 Cf. doc. n.3. 56 Doc. n.5. 57 Doc. n.12. 58 Cf. lett. nn. 81, 83, 143, 146, 216, 218, 285, 298, 310, 311, 423. 59 Lett. n. 46. 60 Lett. n.108. 61 Lett. n.123. 62 Lett. n.115. 63 Lett. n.143; cf. lett. n.311. 64 Lett. n.216. 65 Lett. n.298. 66 Lett. n. 273. 67 Lett. n.83. 68 Lett. n.357. 69 Lett. n.218. |
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