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Vincenzo Carbone Una contemplativa nella vita attiva. M. Rachele Guardini IntraText CT - Lettura del testo |
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4. Condizione giuridica della fondazione. La casa di Venezia sorgeva come filiale di quella di Vicenza, occorreva perciò una dichiarazione formale del Farina. Don Luca, per la fretta o per la scarsa conoscenza delle formalità giuridiche, non aveva pensato a portarla con sé. Al suo arrivo, gli fu chiesta dall’esperto curiale Balbi, e don Luca dovette subito provvedere. Nel pomeriggio dello stesso 6 agosto, scrisse al Farina: «La prega [Balbi] di scrivergli una lettera in cui gli significhi che, dietro al consiglio dato a me da S.A., ed a senso del decreto sovrano (che citerà) di stabilire case figliali (citi pure il paragrafo delle regole approvate che stabilisce questo), egli invia Rachele Guardini e stabilisce questa casa di Venezia come sua casa figliale sino a che S. Em. non crederà di erigerla in casa centrale. Aggiunga pure che S.M. l’Imperatrice ne ha assunto lo speciale patrocinio. Lo faccia subito, perché tale è il desiderio di Monsignore».30 Alla lettera di don Luca la Guardini accluse una sua, nella quale descrisse l’incontro con la nuova comunità e con mons. Balbi.31 Il Farina scrisse il 9 agosto al Balbi nel senso indicatogli da don Luca,32 più per compiacerlo che per convincimento. Nutriva infatti delle perplessità circa quella fondazione.33 I fatti poi dimostreranno che don Luca aveva visto giusto. Il Rumor accentua la collaborazione del Farina nella fondazione della casa di Venezia.34 Per la verità, la collaborazione, dopo non poche difficoltà, si limitò ad acconsentire che quella casa sorgesse come filiale di Vicenza. Mons. Balbi l’11 agosto ringraziò il Farina per l’aggregazione della casa di Venezia all’Istituto di Vicenza, e per l’invio della «ottima Rachele Guardini. Veramente non potea farci regalo migliore; basta vederla e trattarla ogni poco per convincersi esser ella nata fatta al bisogno. Adesso sì che la Pia Opera farà qui dei progressi giganteschi. Sino ad ora v’era in molti la buona volontà, ma a questi mancavano il tempo e li mezzi per poter agire come bisognava pel buon andamento, al presente sono tolte tutte le difficoltà».35 Al Balbi erano stati sufficienti i primi contatti, per apprezzare le doti della Guardini e ritenerla idonea all’impresa, come don Luca aveva giudicato36 e il Farina sperava.37 Si espletarono così le formalità per la fondazione della casa di Venezia. I documenti raccolti ce ne offrono un quadro sostanzialmente chiaro. Pensò don Luca, sin dall’inizio, ad un suo Istituto? È difficile valutarne fino in fondo le intenzioni, tenuto conto delle complesse circostanze. Alcuni fattori, però, ci inclinano a crederlo: il suo convincimento che, per lo sviluppo della Pia Opera, occorreva il sostegno di un Istituto religioso; la difficoltà a trovarne disposti a dedicarvisi pienamente e, soprattutto, ad entrare nello spirito dell’Opera; l’impegno posto nella fondazione veneziana e la cura con la quale la seguì; lo sviluppo stesso degli avvenimenti. Di fatto, la casa di Venezia sorse ad opera di don Luca, che deve considerarsi il fondatore dell’Istituto da essa sviluppatosi. Suoi furono il progetto, la realizzazione e lo spirito.38 Madre Rachele, il 18 settembre 1838, scrivendo al patriarca Monico, chiama don Luca «zelante nostro Fondatore».39 Don Luca trovò in lei una valida collaboratrice, dotata di grandi capacità e spiritualmente preparata. Ella fu la pietra angolare e la confondatrice del nascente Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea di Venezia.40
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30 Doc. n. 6. 31 Cf. lett. n. 1. 32 Cf. doc. n. 7. 33 Nelle «Memorie storiche» dell’Istituto di Vicenza si legge: «Passato un mese circa il Conte Luca ritornò per condurla [Rachele Guardini] a Venezia […]. Qui aprì una casa figliale soggetta intieramente alla nostra nell’antico Istituto del fu Conte Barbaro. Egli stesso pronunciò l’apertura col corso di dieci giorni di Santi Esercizi. Si raccolsero varie donne, che già erano in ritiro, e si arruolarono alla nuova Istituzione. Noi negli scritti cercavamo sempre al Co. Luca qualche dimora anche nell’accettare le giovani proposte, perché credevamo ciò esigere la prudenza. Intanto non si conoscevano queste, la loro indole, la loro educazione, i principi, da cui erano mosse, per noi s’ignoravano. E sapevamo abbastanza come il Co. si facesse sempre agevole ogni impresa, e come non volesse intoppi né porgesse ascolto a consigli. Tutte queste ragioni aveano fatto pel nostro animo qualche breccia, e noi eravamo disposti piuttosto restarsi un grado indietro, che avanzare oltre il costume, e con maggiore discapito»: pp. 66-67. Vengono poi riportate le lettere di don Luca e della Guardini del 6 agosto, con l’annotazione: «Dopo siffatte cose, e dopo i concerti presi col Conte in fissare che la spedita fosse come spedita dal nostro Istituto, e figlia del medesimo, si scrisse a Mr Balbi»: p. 68. 34 Cf. L’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea, cit., p. 139. 35 Doc. n. 9. 36 Cf. doc. n. 3. 37 Cf. doc. n. 7. 38 Cf. docc. nn. 3-6, 11, 12, 14. 39 Lett. n. 6; cf. lett. nn. 32, 33, 62, 309, 310, ecc. 40 Quando il Balbi le annunziò che il patriarca le avrebbe chiesto se desiderava la visita dell’imperatrice in occasione della sua venuta a Venezia, la Guardini rispose: «Io sarei molto più contenta essere l’ultima di tutte, piuttosto che figurare come fondatrice; ma sia fatta la volontà del Signore anche in questo»: lett. n. 8. Nelle «Memorie sull’Istituto di S. Dorotea in Venezia» viene chiamata «Fondatrice»: cf. p. 5. |
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