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Vincenzo Carbone
Una contemplativa nella vita attiva. M. Rachele Guardini

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  • Volume I. LA VITA E L’OPERA.
    • Capitolo V. I PRIMI PASSI DELLA CASA DI VENEZIA.
      • 2. Difficoltà del compito.
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2. Difficoltà del compito.

Madre Rachele iniziò la sua missione con la piena fiducia di don Luca e del Farina; ebbe pure tutto l’appoggio del patriarca Monico e di mons. Balbi.

Questo fu per lei di grande sostegno e conforto; ma i problemi da affrontare erano davvero molti e gravi.

Alle difficoltà, proprie di ogni inizio, si aggiungevano quelle della particolare situazione; prima fra tutte la «riformazione» delle suore,14 che provenivano da un altro Istituto, per di più in declino.


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Lo stato di abbandono, seguito alla morte del Barbaro, aveva causato una certa rilassatezza nella disciplina. Le congregate «arbitre nella propria volontà, ne usavano di questa a loro piacere».15 Bisognava, quindi, cominciare col ristabilire la disciplina e l’osservanza della Regola.

L’impresa si presentava ancora più difficile, perché alcune Figlie dell’Addolorata erano anziane e inveterate nelle proprie abitudini. Mons. Balbi, nel presentare la Guardini alle congregate, le esortò «a lasciare ogni loro opinione».16

Per poter ricostruire, occorreva prima demolire; questo richiedeva molta prudenza, per evitare reazioni e fratture, che avrebbero potuto compromettere la riuscita della fondazione.

Il 18 settembre 1838 la Guardini scrisse al patriarca: «Ella vede quanto difficile sia il distruggere una Casa senza schiamazzo».17

Con quale animo si accinse al gravoso compito può rilevarsi dalla sua lettera alla Veronese, in procinto di recarsi a dirigere la casa filiale di Schio: «Sono certa che troverete colà molte cose al vostro spirito contrarie; raccomandatele molto al Signore prima di cominciare a porvi rimedio e, quando sarete necessitata di cominciare le azioni, guardate che le opere vostre dieno l’esempio di ciò che far dovrete.


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Così facendo, non abbiate timore, perché il Signore vi benedirà; ponete proprio in Lui tutta la vostra confidenza. Voi vedete che niun istrumento sarebbe stato meno adatto di me per quest’opera; eppure il Signore, che mi diede per sua infinita misericordia questo conoscimento d’inabilità, mi scelse acciò gli altri conoscano ch’Egli opera in me. Coraggio dunque, raccomandiamoci al Signore vicendevolmente e non dubitiamo, Egli ci assisterà».18

In queste parole è tutta Madre Rachele, con la sua fede e la sua prudenza!

Ella aveva una venerazione per le Regole. Pregò il Farina di portare il testo con sé, nella sua venuta a Venezia, perché desiderava confrontarsi con lui, avendone don Luca modificato qualche punto.19

Dava per prima l’esempio di una perfetta osservanza. Costretta ad uscire di casa per le necessità della comunità e delle opere, consultò don Luca, per essere tranquilla in coscienza.20

Gli chiese anche il permesso di una lieve modifica all’esercizio del capitolo della colpa, e ne avvertì pure il Farina.21


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Esigeva da tutte l’osservanza regolare. Nell’agosto del 1838, comunicò al Farina: «Tutto viene eseguito per quanto è possibile nel suo principio in una numerosa Comunità. Spero che tutto verrà eseguito appuntino, essendo queste sue caris.me figlie desiderosissime di crescere nell’amore e, per ottenere questo, stanno sopra se stesse, onde non contravvenire alle Regole».22

Il Farina, dopo la visita alla casa di Venezia nell’ottobre del 1838, pregò don Luca «di raccomandare alla M. Maestra di contentarsi delle vecchie e di non esiger troppo».

Don Luca gli rispose: «mi sembra meglio che sia V. S. che glielo scriva», per una ragione di competenza, ma forse anche perché, avendone costatato i frutti, apprezzava la saggia opera della Guardini, che «ha ottenuto quello che difficilmente avrebbe potuto altri ottenere».23

La sottomissione e la rinunzia della propria volontà richiedevano alle suore non lievi sforzi e sacrifici. Pertanto non mancarono, all’inizio, momenti critici, come si rileva da un accenno della lettera inviata da Madre Rachele il 18 settembre 1838 al patriarca: «Tutte, tutte, quantunque il nemico dia loro grandi assalti, pure si assoggettano con somma docilità».24

Un’aspirante, per la malferma salute, ritornò in famiglia, ma qualcuno attribuì il fatto al rigore delle Regole. Però Madre Rachele spiegò: «Noi nulla abbiamo che pesante sia, ma voi sapete che dolce riesce tutto quello pel quale sentiamo più inclinazione, dove al contrario faticoso ci divien ogni cosa, quando non l’amiamo. […] Le regole nostre non hanno


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nessuna rigidezza, perché non vi è altro che l’esercizio della carità, essendo questo lo scopo dell’Istituto nostro; ma ciò, che potrebbe incomodare qualche immortificata (e questa poi non resterebbe nel nostro Istituto), può essere quella totale dipendenza, che devono avere in tutto; nonché il silenzio, che devono tenere fino alle 9 della mattina; in ogni tempo hanno da parlare con somma dolcezza, onde ricordarsi più facilmente che sono elette a spose del Sovrano del cielo e della terra».25

Ritenendo «non potervi essere vero spirito, dove non vi è perfetta comunità», si adoperò per stabilire la vita comune, nonostante qualche opposizione.

La Marzari, ex superiora delle Figlie dell’Addolorata, aveva fatto chiedere al Balbi, dal sacerdote che celebrava la Messa nell’Istituto, «lo scioglimento della vita comune».

Madre Rachele, informatane, intervenne subito per rendere vano il tentativo. Informò, poi, il Farina di aver incontrato grandi difficoltà nel persuadere qualcuna alla perfetta vita comune, ma vi era riuscita con la grazia del Signore.26

Ottenne pure dalle suore l’accettazione dei lavori loro assegnati in casa, benché la Marzari lo ritenesse quasi impossibile, dato che, nel passato, le congregate si consideravano tutte uguali.27

 

Madre Rachele aveva un carattere forte, che si rifletteva nella direzione della comunità e nell’azione educativa delle ragazze.


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Senza farsi mai dominare dall’impulsività, interveniva prontamente con fermezza, ma con serenità, per eliminare ogni disordine.

Dopo di aver cercato invano di fare ravvedere una ragazza indocile, l’allontanò dalla casa e diede precise disposizioni, esigendo che le maestre le facessero rispettare.28 Venne così subito ristabilito l’ordine.

Era attenta, perché tutto procedesse regolarmente e, se necessario, alla correzione univa il castigo, per educare la  persona al senso del dovere.29

Alla fermezza Madre Rachele univa la dolcezza, che scaturiva dal suo amore per Dio e per il prossimo.30

Consapevole dell’efficacia di questa virtù, la coltivò anche nelle suore. Il 17 novembre 1838 ella informò il Farina: «Riguardo all’Oratorio di S. Giacomo d’Orio, presentemente credo bene differire, acciò si formino le nostre figlie nello spirito della dolcezza, bramando poterle esporre posseditrici di questa bella virtù tanto raccomandataci dal Maestro Divino».31

Madre Rachele amava le sue figlie e si prendeva cura di ciascuna di esse e di ogni loro necessità.32

Con tenerezza materna seguì la malattia della novizia Anna Moro, che dovette subire un doloroso intervento chirurgico.


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Ottenne di ricoverarla in una stanza da sola; pregò e fece pregare; offrì al Signore la sua sofferenza e le sue mortificazioni; restò accanto alla giovane durante l’operazione; ogni giorno le fece visita.33 Grande poi fu la sua gioia, quando poté ricondurla a casa.

Al suo arrivo a Venezia, Madre Rachele era rimasta colpita dalla povertà delle Figlie dell’Addolorata, che vivevano in casette vecchie e mal ridotte.34 Ne provò pena e con lo stesso zelo, con il quale si adoperava per ristabilire la disciplina e l’osservanza, cercò di sollevare la loro indigenza.

Il problema era per lei importante, perché «mancando il corpo del necessario, evvi pericolo che lo spirito s’indebolisca, e se ciò avvenisse […] a poco a poco scemerebbesi quel santo fervore, che utilizza tanto le persone che debbono prestarsi nelle opere di carità, le quali hanno da edificare i prossimi col buon esempio crescendo in ogni virtù».35

Don Luca procurò dei benefattori; altri li cercò lei stessa.36 Dall’imperatrice ebbe duecento fiorini.37 Anche il patriarca non le fece mancare il suo aiuto.

Madre Rachele provvide innanzitutto a restaurare le celle38 e a trasformare un locale fatiscente in aula scolastica per accogliere le ragazze povere.39


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Con questi primi interventi, la casa cominciò a cambiare aspetto; vi si notavano semplicità, ordine e pulizia.40

Appena poté migliorare un poco il vitto della comunità, ne diede comunicazione al Farina: «Per la spesa si ha cresciuto 3 libbre di farina a pranzo e due tra la colazione e la cena. Se il Signore mi provvederà, potrò con mia consolazione far star meglio queste povere creature. A D. Luca ho già scritto chiaro che se abbiamo lo spirito, che tende ad innalzarsi, è circondato questo di un corpo pieno di miseria e bisogni».41

Le suore e le ragazze non tardarono a comprendere il grande cuore della loro superiora, e le si affezionarono, nutrendo per lei stima ed affetto. Anche quelle, che all’inizio avevano provato difficoltà ad accettare la nuova disciplina, si sottomisero docilmente.42

Il 17 novembre 1838 Madre Rachele informò il Farina: «La Sanfermo sempre più si affeziona, e mi dà dimostrazioni di contentamento. Anche la Sig.ra Economa mi dice spesso di usare con lei libertà ed avvertirla in ciò che manca».43

Quando nell’ottobre del 1839 si allontanò la prima volta dalla comunità per un viaggio nel Tirolo, le suore e le ragazze ne provarono dolore e si impegnarono a comportarsi bene durante la sua assenza, per non arrecarle dispiacere.44 Al suo


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ritorno, tutte «godettero molto»; ed ella trovò le cose «in buon ordine».45

 

 




14 Cf. lett. n. 6.



15 Lett. n. 6. Di una giovane, che aveva lasciato l’Istituto, Madre Rachele scrive al benefattore conte Revedin: «Il malumore, in essa succeduto nella mutazione della Regola, prova il poco amore alla soggezione, attesoché noi professiamo una dipendenza somma, cosa che qui non si praticava in avanti»: lett. n. 304.



16 Lett. n. 1.



17 Lett. n. 6. Nella lett. n. 948 (24-9-1844) accenna alle «pene sostenute» nei primi anni dell’Istituto.



18 Lett. n. 65. Della Taverna, scelta per aprire una casa in Bassano, Madre Rachele scrive: «Trovo una grande necessità che possieda un vero annichilamento, acciò l’esempio più che le parole abbiano a parlare in lei»: lett. n. 98.



19 Cf. lett. n. 3.



20 Cf. doc. n. 11. Quando nel 1852 divenne superiora del conservatorio delle Zitelle, sottopose al giudizio di mons. Balbi alcune sue difficoltà per l’osservanza di qualche norma della Regola, data la diversità di orari, di regolamento e di consuetudini di detto conservatorio: cf. lett. n. 1179.



21 «Devo avvertirla che nell’esecuzione della colpa, quando hanno ricevuto la penitenza le Suore, le faccio porre a suo posto, avendomi permesso questo il Sig. C.te D. Luca, attesoché il vederle ai piedi d’una miserabile come io sono, non posso resistere senza venire meno»: lett. n.40.



22 Lett. n.3.



23 Doc. n. 12.



24 Lett. n. 6.



25 Lett. n. 232.



26 Cf. lett. n. 3.



27 Cf. lett. n. 5.



28 Cf. lett. n. 14.



29 Cf. lett. nn. 60, 242, 359. Circa le lamentele della giovane Angela Pavan, Madre Rachele comunicò al Revedin: «Non nego d’averla molte volte punita, ed avrei goduto, se avessi potuto far a meno, perché troppo soffro, quando sono costretta di ciò fare; pure confesso di essere diligentissima in vigilare, sicura che mancherei al mio dovere, se questo omettessi»: lett. n. 304.



30 Cf. lett. n. 28.



31 Lett. n. 13.



32 Cf. lett. n. 177.



33 Cf. lett. nn. 38, 39, 42, 43.



34 Cf. lett. n. 3.



35 Lett. n. 351.



36 Cf. lett. nn. 14, 96, 97, 122, 124, 182, 183, 253, 315, 396, 400; doc. n. 11.



37 Cf. lett. nn. 19, 20, 21.



38 Cf. lett. n. 14.



39 Cf. lett. n. 101.



40 Cf. lett. nn. 260, 293, 313.



41 Lett. n. 11. Il 15-11-1839 confidò a don Luca che per lei costituiva una preoccupazione, l’accettare aspiranti con poca dote;  non aveva infatti lavori e doveva, quindi, pensare all’economia, affinché le suore avessero il necessario: cf. lett. n. 182.



42 Cf. lett. nn. 3, 5, 6.



43 Lett. n. 13.



44 Cf. lett. n. 146.



45 Cf. lett. n. 174.






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