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Io sono stato sempre tentato a credere che anima e corpo sieno
una sola faccenda; che l'anima sia la risultanza sommaria delle nostre funzioni
organiche; - e che scompigliato una volta l'ordine simmetrico della nostra
organizzazione vada tutto in fumo, numeri e somma. - Noi vediamo che l'uomo ha
anima più o meno perfetta in proporzione che possiede un organismo più o meno
perfetto. - Noi vediamo che quando il minimo accidente sconvolge il nostro
tessuto fisico, l'anima seconda immediatamente cotesta alterazione. Noi vediamo
l'anima detirare nell'ebbrezza, nella febbre, nella pazzia; - osserviamo
sovente l'uomo prode nel fiore della forza e codardo nella vecchiaia; -
osserviamo il talento che è l'effluvio il più puro dell'anima descrivere la sua
curva a passo pari cogli anni. - Nei bambini noi vediamo un'anima in abbozzo,
che si spiega gradatamente collo sviluppo delle membra. - Noi vediamo che
l'anima dell'uomo vinto dal sonno è un'anima diversa da quella dell'uomo che
veglia. - Io sono stato assorto nel transito profondo di una morte imminente e
non aveva più sentore di corpo né d'anima. - Io sono stato otto giorni di
seguito immerso nel calore di una febbre maligna, e quegli otto giorni sono per
me una lacuna, una parentesi in bianco nel tratto della mia esistenza, se pur
l'esistenza vuolsi calcolare dal sentimento. E quantunque, stando a rigore di
logica, in natura non esistano paragoni, perché due oggetti disparati non
possono mai equivalere pienamente l'uno a l'altro, tuttavia io credo che l'ente
complessivo di corpo e d'anima per via di approssimazione possa paragonarsi a
un violino. - Il violino è il corpo, il suono è l'anima. - Spezzate il violino
e non v'è più strumento né suono.
Ma dicono molti che l'anima attende appunto di liberarsi dai
legami del corpo per riassumersi intera nella purezza della sua essenza e
vivere in un altro mondo una vita immortale senza più essere sottoposta alle
tante e diverse modificazioni della natura. Costoro però si dipartono da
un'ipotesi e non hanno l'indizio di un fatto minimo sul quale basarla. Invece,
chi crede nel sistema contrario si appoggia ad una serie di fatti
apparentemente visibili e palpabili. - Se tu osservi com'è in realtà che con un
colpo nella testa l'anima simultaneamente rimane percossa e per un tratto le
sue facoltà rimangono sospese, ragion vuole che tu infierisca che quando la
morte con un colpo finale distrugge le molle che tengono in giuoco la nostra
macchina, l'anima pure rimanga simultaneamente distrutta. Quello che succede in
parte, si può argomentare con una tal quale sicurezza che debba succedere nel
tutto, - è una legge di proporzione. - D'altronde ripugna al calcolo
dell'intendimento umano che l'anima, la quale in certo modo si ecclissa per
un'emicrania, debba rimanersi intatta e più potente di prima, per esempio, al
tocco dell'apoplessia, che spegne la vita colla rapidità del fulmine. - Oltre
di che sapete voi in buona fede concepire l'anima fuori del corpo così nuda,
nuda e priva di qualunque forma e sostanza? Per me questo è un accozzo di
parole che la lingua può mormorare, ma non è un'idea che la mente possa
afferrare e definire. - La mente nostra non ha potenza di concepire un numero,
che non esprima nessuna quantità.
L'uomo non può e non deve credere se non quello che entra nei limiti del suo
intendimento, e deve rifiutare quello che sta al di fuori di questi limiti,
perché non ha mezzi di verificarlo, perché se comincia a credere quello che non
intende, non saprà più mai quando avrà dinnanzi l'errore e quando la verità..-
Di là dall'orizzonte segnato all'intelligenza giace il mondo della fede, mondo
di fantasmi e di tenebre, e chi procura sospingervi dentro l'umanità è un
cervello malato, o è un impostore. E la fede non è il riposo dello spirito
umano, ma è un'inerzia funesta che ne ferma il movimento e lo fa imputridire. -
La fede è la verga magica del furbo colla quale si fa largo nel mondo, ed
impone agli uomini di credere a sangue freddo sì fatte stranezze che un pazzo
al punto culminante della sua frenesia mal saprebbe immaginare. - Socrate che
più che filosofo era un ottimo cittadino e ricercava il vero fin dove poteva
trovarlo, consigliava agli Ateniesi che non disputassero mai né di Dio, né
dell'anima .
Oltre di ciò non osserviamo noi che, per legge generale
costante, tutto quello che ha principio, ha pur fine? E l'anima che senza
dubbio ebbe un principio, se continuasse immortale non sarebbe una manifesta
contradizione alla legge osservata? Ma e non sarebbe possibile che riguardo
all'anima fosse accaduto quello che è accaduto di tante altre nozioni semplicissime
e naturali, le quali coll'andare del tempo avendo deviato dalla loro prima
origine, si sono tramutate sensibilmente nella forma e nella sostanza e
complicate dl errore e di elementi eterogenei affatto alla loro essenza? Per
esempio, la voce latina - inferno - nella prima accezione, che era la
più semplice e la più vera, significava - di sotto, - cioè morto, dacché
i morti stanno di sotto. In seguito la furfanteria degli impostori religiosi
agglomerò tante novelle e tante finzioni intorno a quest'unica voce, che i
tratti originali disparvero, e la voce si convertì in un sistema lugubre,
informe, studiato per atterrire la niente e la coscienza degli ignoranti. Io
penso che lo studio delle lingue antiche serva mirabilmente a rintracciare
l'origine di molte delle nostre nozioni.
- Le lingue antiche esprimevano la sembianza delle cose con' una
evidenza e con una verità di gran lunga superiore alle moderne, perché gli
uomini di una società poco avanzata, non avendo mezzi di divagare nella
metafisica che vuoi dire scienza oltre la natura, necessariamente si tenevano
inviscerati nella natura fisica e sensibile che li circondava. Quindi veniva
loro una lingua tutta di rilievo, - quindi i monumenti delle lingue antiche di
rado o mai espongono pensieri ragionati in astratto, ma ogni loro parola
dipinge sempre una cosa sentita profondamente perché le sensazioni degli uomini
di una società primitiva sono più rigorose e congiunte per un anello immediato
agli oggetti che le producono. - A conferma di tutto questo potete leggere la
Bibbia, Ossian, le poesie degli scandinavi e i documenti che si riferiscono ai
selvaggi di America e a tutti i popoli di prima natura. La lingua latina non è
di certo una lingua moderna, perché oltre alla sua antichità non indifferente,
la maggior parte dei suoi vocaboli ebbero radice nella lingua vetustissima dei
popoli italiani, che preesistevano tanto tempo avanti al dominio romano, -
popoli che sono dei primi a figurare nel mondo storico. Ora tornando sull'anima
osservo che in latino la voce - spiritus - che vuoi dire anima, nel
suo proprio significato vuoi dire soffio. - E Plauto in una delle sue
commedie usa un'espressione veramente singolare; volendo far dire ad uno dei
suoi personaggi - ti puzza il fiato, - gli fa dire:- - ti puzza l'anima; espressione
senz'altro poco conveniente, ma caratteristica per i suoi tempi, significando
che in allora comunemente intendevano per anima il fiato o il respiro. - E la
Genesi anch'essa narra che Dio soffiò per le narici l'anima in Adamo, e difatti
il naso è l'ordigno il più usitato e il più opportuno per respirare. - La cosa
dev'essere andata così: quegli uomini primitivi osservando che il corpo
quand'era morto più non respirava, naturalmente stabilirono che il fiato fosse
l'anima. Questa opinione però non intendo che possa recarsi in buona fede come
prova incontrastabile, dacché gli antichi in fatto di scienza hanno dovuto
errare spesso e necessariamente, perché la scienza è l'esperienza, e
l'esperienza è un manto che si trama a fila di secoli; e più il manto si
distende e più la scienza è completa e sicura. Nondimeno io ho osservato che
anche il volgo d'oggi crede come gli uomini dei tempi remoti, e quantunque in
forza d'un dogma religioso dica di avere un'anima destinata a una vita futura,
interrogato poi come comprende quest'anima, non sa dove rifarsi a rispondere, e
finisce col dire che l'anima è il fiato. - Del resto la scienza che confuta gli
argomenti pei quali si asserisce l'anima peritura, non ha finora saputo gettare
i fondamenti inconcussi della sua immortalità, ed è veramente curioso che un
numero d'uomini tanto ignoranti, quanto sapienti, i quali convengono
nell'ammettere l'esistenza di un fenomeno, non riescano poi a circoscriverlo in
una formula unica e precisa. Ma soggiungono i sostenitori dell'anima immortale:
la causa che noi difendiamo non va lasciata cadere così per poco, poiché ella è
connessa ad una questione di più alta importanza; - ella è connessa
all'esistenza dell'ordine morale. - Se si toglie di mezzo l'immortalità
dell'anima, quest'ordine più non esiste, e tutto rimane in dominio al cieco
movimento della materia, tutto rimane preda del caso. E allora quale avranno
riparo le tante ingiustizie che succedono in questo basso mondo, quale avrà
premio la virtù perseguitata, e quale avrà pena il delitto trionfante, se dopo
morte non concedete una vita futura in un mondo migliore? Però io non vedo la
ragione sufficiente che affinché sussista una cosa, s'abbia ad ammettere
l'esistenza di una cosa precedente, la quale ha delle apparenze validissime di
non esistere. - Confesso che l'argomento allegato non è dispregevole; per altro
ha sembianza d'essere ricavato piuttosto dalle cose considerate come dovrebbero
essere che dalle cose considerate come sono;
- confesso che se non è un argomento giusto in fatto, egli è almeno
giusto in diritto. Ma sapete voi positivamente se Dio esista, o se esista nel
concetto che avete immaginato? Conoscete voi la sua natura intima, e se ella
sia buona o cattiva o indolente? Conoscete voi la legge primaria e generale
ond'egli governa quest'opera incomprensibile da noi chiamata universo? Forse
egli combinando il disegno di una immensa armonia vi ha intrecciato il dolore e
la gioia come due elementi efficaci ad un vastissimo effetto, senza darsi briga
di certi particolari che percuotono gravemente la nostra povera natura, e per
lui sono impercettibili. Chi ha fabbricato l'orologio non si tormenta a pensare
se le ruote si travaglian penosamente, e se la lancetta percorra a bell'agio il
suo giro; - purché l'orologio nel suo tutto compia la sua destinazione,
l'artefice è lieto del suo meccanismo. - Forse Dio considera chi gode e chi
geme come due suonatori di due diversi strumenti, e purché vada l'orchestra,
non cerca più in là. - Certo a dipartirsi dai dati che abbiamo sott'occhio
pochi davvero avranno cagione di benedirlo: - ma sappiamo noi se egli si curi
d'essere benedetto o maledetto? E se egli ha fatto male questo mondo, come voi
stessi ne convenite, quali guarentigie avete che abbia fatto meglio
quell'altro? Non potrebbe darsi che l'avesse fatto anche peggio? Voi dite che i
suoi fini sono imperscrutabili, e tanto basta per non affermare sul conto suo
nulla di positivo sia nel presente che nell'avvenire. E nel vero egli non ha
mai parlato; non ha mai rivelato né il suo modo d'esistere, né il suo modo di
giudicare gli accidenti che risultano dall'immensa complicazione del suo
lavoro. - E chi è fra noi che osi di farsi suo interprete? La cosa finita e
caduca non può essere l'organo della cosa Infinita ed eterna. D'altra parte voi
me lo distinguete per un ente giusto e benefico; - ed allora io non vedo
ragionevolezza e coerenza in un ente sì fatto a tribolare l'uomo virtuoso in un
mondo per ricompensarlo in un altro. Un fare come questo mi sa piuttosto di
capriccio. - Io scorgerei più visibili le orme della sua giustizia, se facesse
star bene il virtuoso in questo mondo e lo facesse star meglio In un altro.
Almeno così è costretta a conchiudere la logica, quando il puntiglio d'un
sistema non la spinge a fuorviare.
E chi dice a voi che riposate tanto sulla giustizia di un
mondo avvenire, che le azioni da noi distinte col nome di bene e di male non
sieno al cospetto di Dio due fatti diversi, ma indifferenti, come due colori,
come agli occhi vostri il verde e l'azzurro? E poi la bontà e la malvagità
dell'animo, principi sui quali ci appoggiamo tanto, io temo che, tranne
rarissime eccezioni, invece d'essere qualità positive ed inerenti continuamente
al medesimo individuo, sieno piuttosto un affare di situazione, e qualità nobilissime
e dipendenti affatto dalle occasioni nelle quali ci troviamo avviluppati. -
Oggi io sono in prigione e senza colpa, ma se un giorno sarò potente, chi sa
quanti e senza colpa farò gemere nel carcere stesso nel quale gemo stasera? La
storia dell'umanità osservata severamente nel suo vasto insieme e nelle sue
singole parti, vi presunta un saliscendi di offese e di vendette; vi offre lo
speitacolo di due partiti che or l'uno or l'altro si tengono un piede di ferro
sul collo, e fin ora ha segnato mai nei suoi annali l'epoca della equità e
della pace? La storia è una Sibilla, che consultata coscienziosamente ha dato
fin ora questo responso: - Se voi non foste oppressi sareste oppressori. - I
cristiani perseguitati, nei primi secoli predicavano pacificamente la dottrina
dell'agnello di Dio; - poi, quando il Vento fresco della fortuna li levò in
alto mare, conversero la croce in una spada a due tagli, gli altari in roghi e
l'ostia incruenta in vittime umane. La strage dei septembriseurs, fatta
a nome di un popolo e della filosofia, non fu meno atroce ed iniqua della S.te
Barthélemy, fatta a nome di un re e del fanatismo. - La giustizia di un
mondo avvenire sarebbe forse compatibile col dogma del libero arbitrio; ma
potreste voi giurare che le azioni nostre dipendono effettualmente dal libero
arbitrio? E che vale questo libero arbitrio, se le passioni e gli avvenimenti,
come spesso accade, si scatenano più forti di lui? In un caso somigliante egli
è peggio che inutile, dacché sottopone la Volontà umana a sostenere la fatica
di una battaglia che deve perdere. E a che vale questo libero arbitrio, se
tutti conveniamo che il giudizio umano è spesso infermo e agguatato
continuamente dall'errore? Se voi foste Dio, qual gastigo assegnereste a colui
che guidato da un'idea torta ha cancellato in buona fede dal libro della vita
l'esistenza di centomila uomini?
Ma invece molti asseriscono dopo lunghe ricerche esercitate
nell'indole delle azioni nostre che una fatalità onnipotente regge i freni del
genere umano allora a che la giustizia di un mondo avvenire? Io per me credo
che la razza umana sarà meno calpestata e infelice quando, invece di
fantasticare sull'avvenire e giacere e farsi un guanciale della Provvidenza
si terrà con più saviezza al presente, e tentando mille esperimenti, si
studierà di trovare una forma di stato sociale in cui ad ogni individuo sia
permesso senza danno del prossimo di muoversi liberamente e con piena
sicurezza nella sfera descritta dalla sua natura. Conviene stabilire in società
una media proporzionale, una condizione di cose, in virtù della quale le leggi,
le opinioni, i costumi suppliscano a quello che manca al debole e contengano
l'esuberanza del forte quand'ei la volge a detrimento de' suoi simili: - se no,
il miglior partito è di spegnere i lumi e prendere la gragnuola o il sul di
primavera quando lor piace di venire.
Che se voi mi dite: l'uomo è composto. di cuore e
d'intelletto, e il cuore vive una vita a parte, ed ha bisogno di una speranza,
di una illusione, di un. alimento, se no si corruga, s'inaridisce e muore prima
del tempo, io vi risponderò che dite saviamente. - Ed io ancora spero e
m'illudo, m'inebrio spesso di un sogno d'oro per tenere a bada la vita. Ed è
per questo che sovente concorro nella opinione di coloro che stimano la pazzia
godere alcuni vantaggi sulla ragione. - La ragione di tatti può trascorrere
certi gradi di certezza, - certi altri di probabilità; - ma se quindi passa le
soglie, mette il piede in un mondo incognito, in un mondo di vertigini che la
girano come un trastullo, allora la ragione o diventa pazzia o torna indietro
stanca e schernita. La pazzia, al contrario, dal bel principio si lancia per
l'infinito, naviga a piene vele e fornisce il suo lungo viaggio con un senso
profondo di sicurezza, con un'idea continuata di verità. Un pazzo può
immaginare a vita di essere un'aquila, di volare verso il sole, e di farsene
sua dimora; un uomo sano può immaginarlo per venti minuti; poi dà col piede in
una fossa e cade, e si accorge a prova di essere incatenato alla terra sua
genitrice; alla terra che fra breve dovrà divorano. Ed io ancora, lo ripeto,
spero e m'illudo e sento il bisogno di stendere una coltre sulla realtà, perché
essa è troppo dura e mi lascia le ossa indebolite. - E per questo lato, la
religione, quand'ella si cosa è buona. -
volge a consolare, a qualche cosa è
buona.
Parlando di religione che consola intendo la religione
naturale, sentimento puro, semplice e necessario che emerge dal cuore. Le
religioni rivelate, tenendo conto almeno di quelle esistite ed esistenti
finora, più o meno abbrutiscono l'intelletto, e se metti in bilancia il terrore
e il conforto che danno all'anima, il terrore supera troppo, e se calcoli il
bene e il male che hanno prodotto, il male si eleva ad una cifra troppo enorme.
Le religioni rivelate sono il medesimo sentimento che costituisce la religione
naturale, ma trasfigurato oscenamente ed involto in mille accessori che non gli
appartengono. - Qualsivoglia religione non è mai l'opera immaginata di pianta
da un ardito imperatore; - l'individuo ridotto ai soli suoi mezzi non può
conseguire mai tanto effetto, ma via via la forza delle cose distrugge una
credenza paralitica per troppa vecchiaia, e allora sorge un uomo potente, che
osservando il sentimento religioso ingenito e perenne nel cuore umano,
l'afferra, gli dà rilievo e lo circonda di quelle immagini e di quelle finzioni
contemperate al grado d'ignoranza dell'epoca in cui vive; quindi la religione
rivelata è sempre un'impostura ne' suoi accessori, ma il suo primo germe è vero
e permanente nel sentimento universale. - La religione naturale è un sentimento
che sgorga dalla speciale organizzazione del cuore e dalle tante calamità che
affliggono la vita dell'uomo; - è un sentimento presso che comune; nondimeno
alcuni ne vanno esenti. Vi sono alcuni in forza d'organismo privi del senso
religioso, come vi sono alcuni privi del senso musicale, e a costoro
quand'anche tu potessi dimostrare Dio, e l'avvenire colla precisione
dell'algebra, hanno un cuore che non rende l'eco il più debole a questi suoni.
Però la più parte degli uomini che ragionando non troverebbe altro che il
nulla, o il dubbio, serba Dio e la speranza nell'anima. Tuttavia la religione
naturale, o rivelata, non è un raziocinio. - L'analisi invece di corroborarla
tende direttamente a distruggerla. Ed è per questo che i capisètta esigono
specialmente sui punti fondamentali un grado di fede. L'analisi negli ultimi
tempi la tolse affatto di mezzo ad una grande nazione, e le conseguenze
concatenate d'un imponente raziocinio giunsero a surrogare al culto di Dio il
culto della ragione. Ma il culto della ragione era fuori di dubbio prematuro,
era troppo solo e troppo arido, né bastava a colmare il vuoto lasciato. La
religione sbandita dai domini della mente viveva pur sempre nel cuore, e forse
più forte, perché meglio riconcentrata; quindi prorompeva da ogni parte; quindi
mi piace Robespierre che, considerate le condizioni attuali del popolo,
ridonava a Dio l'esistenza, in ciò dimostrandosi egregio politico e sagace
conoscitore dell'umana natura. Il cuore e la sventura produssero la religione
naturale, la religione della speranza e dell'avvenire e la manterranno finché
vi saranno deboli ed infelici. È indispensabile che 1' uomo conculcato e
vissuto nel pianto speri nel futuro un vindice ed una ricompensa dei suoi
dolori. E perché i deboli e gl'infelici formano il maggior numero, quindi è che
moltissimi sono i credenti e rarissimi gli atei. - Ma il sentimento solo è un
pegno sufficiente della verità? Per risolvere adeguatamente il problema bisognerebbe
determinare se i calcoli del cuore sieno più securi di quelli dell'intelletto.
Tutte queste cose però da me tracciate così fiaccamente e
ristrette in uno spazio sì angusto sono state svolte da una moltitudine di
nobili ingegni in tanta larghezza di sviluppo, e la 'noie dei volumi è
cresciuta a tal grado che se la verità potesse arrampicarsi in cima, e
sedervisi, avrebbe il trono più alto fra tutti i re della terra; se non che
taluno teme che gema invece sepolta sotto tanta mole. - Così è - le son cose
tutte controverse ab aeterno e per avventura non saranno mai consentite
in una opinione uniforme. Tuttavia, concedendo ancora che dopo morte il corpo e
l'anima si dividano, e il primo rimanga a far polvere, e l'altra se ne voli
dove Dio, o il Diavolo la soffieranno, io giurerei che prima del corpo l'anima
non è nulla affatto. Poiché se ella fosse una qualche cosa, io credo che. non
consentirebbe mai a venire in questo mondo a quei patti coi quali ci si vive.
Se prima di nascere in Livorno il 1° dicembre 1806, e farmi
battezzare in Duomo col nome di Carlo Anzano Ranieri, io fossi stato un'anima
davvero, o avessi saputo il conto mio, non avrei mai dato il voto per entrare
in un corpo come quello in cui mi trovo - ove mi sembra di star peggio che in
una trappola.- Primieramente io non sarei entrato in nessun corpo, all'incontro
avrei voluto godere la libertà dello spazio percorrendo incessantemente le
strade dell'aria senza bisogno di passaporti - di bauli - di andare alla
locanda senza tema dei ladri - senza
tema che il fango mi lordasse i calzari, cose tutte che di rado, o mai, si
schivano in questo mondo. E perché avrei dovuto chiudermi in un corpo a menai -
e una vita breve, trista, oscura, soffocata?
a sentirmi stringere o pestare in una calca, a patire il caldo e il
gelo? il dolor dei denti, le coliche, e mille altri malori che la Provvidenza
costituiva al corpo in dote inalienabile? - E perché io anima, io spirito
indefinito, io soffio eterno, io intelligenza libera, trasparente, veloce, io
scintilla d'una fiamma immortale, avrei dovuto chiudermi in una cassa così mal
fatta? E perché in cinque poveri sentimenti, e talvolta anche in tre, poiché la
creatura può nascere sorda e cieca nel medesimo tempo? a che fine avrei dovuto
commettere contro di me tanto strazio? A che quid? dice un tale a
Livorno, terribile latinista, e terribile cancelliere in un tempo. Se io anima
avessi fatto di motu proprio un consimile errore, in verità dispererei
trovare avvocato capace a difendermi, fosse pure l'avvocato del Diavolo che
difende le cause più triste, perfino il peccato mortale.
Io dunque non sarei entrato giammai in un corpo di qualunque
specie si fosse, e se la mala ventura così avesse voluto, e se una
imperdonabile curiosità mi avesse sospinto a cogliere il pomo amarissimo
dall'albero della vita, avrei scelto bene altramente. Avanti di tutto invece di
scendere in una casetta in via delle Galere
(sinistro presagio se reggesse sempre la religione degli auguri),
composta non so se di due stanze o di tre, sarei piuttosto calato in un antico
e magnifico palazzo. - E questo è un desiderio poco filosofico, poco giusto
ancora - ed io sono amico dell'eguaglianza più che noi dimostro, e benché sia
un povero, a petto dei milioni di poveri che mi ondeggiano intorno, non son
tanto povero - e se si potesse sinceramente conseguire, e compatire una
discreta eguagliava nell'universale, consentirei di tutto cuore a scendere un
gradino più giù; - almeno così la penso in questo momento. Ma dacché uno
stretto individuale egoismo ha rubato la mano, e signoreggia assoluto, mi
risento anch'io di cotesti influssi, e dacché nei proponimenti del bene ho
sentito dir sempre: - cominciate voi frattanto, io non sono ancor lesto; -
anch'io mi ritrovo trascinato dal cattivo esempio, anch'io son tentato dì
godere senza voltarmi indietro a vedere chi soffre; e se io scorgo un povero
che trema di freddo, la più grande spesa di sensibilità che io faccia è quella
di dire: poveretto, io compatisco; vorrei che tutti stessero bene, senza
riflettere che dal lusso inutile dei vestimenti, non dirò miei, ma di tale e
tal'altra persona, n'uscirebbe il vestito bastevole a coprire la nudità di due
o tre poveri che nascendo ignudi come noi, sortivano il diritto di vestirsi
come noi. Ma tale è il cuore umano: e poiché lo stato sociale di oggidì
presenta fra il dare e l'avere uno sbilancio, che mette paura, poiché la
società non è un ordine, un equilibrio, una giustizia, ma un vortice, un
parapiglia, un conflitto, - è una palla giuocata da pochi giuocatori, natura vuole
che ognuno aspiri ad essere il giuocatore piuttosto che la palla; e quando non
v'è forza di associazione, assenso di voti uniforme, anche l'uomo benefico è
costretto a farsi crudele dal sistema sociale che lo avviluppa; o se si muove
solo a rimediare un male immenso, comune, commette una stoltezza, buona se
vuoi, ma pure una stoltezza; versa una stilla d'acqua sopra un incendio
vastissimo e all'ultimo consumandosi nell'impotenza aggiunge una unità al
numero innumerabile degl'infelici che voleva sollevare.
Io non predico il pessimismo, perché non l'ho nel cuore, e
penso che non sia in natura. Bisogna sempre distinguere fra natura e società;
la natura umana è la tela bianca di un quadro; su quella tela potete dipingere
le figure angeliche di Raffaello, o i mostruosi grotteschi del Callotta. La
società è un edificio innalzato dagli uomini. Io dico che adesso viviamo in
epoca siffatta in cui la bontà o viene aggirata dal vortice, o rimane inerte.
Nondimeno l'edifizio sociale è atto a sentire importanti restauri, è atto
ancora ad esser crollato dai fondamenti, e forse non è lontano il tempo nel
quale la società di qualche parte del globo sarà confusa in un caos universale
d'onde risorgerà un mondo ordinato a più bella armonia. La società presente è
falsa, ingiusta, putrida in ogni sua fibra; o deve perire, o deve rinascere
sotto spoglie migliori. La luce non è più ferma sulle cime del monte come una
volta, è penetrata nelle forre più chiuse e ha rivelato le molle più interne di
questa macchina. La cieca fede è sbandita e con lei l'ignoranza; le sorgenti
son passate purificandosi traverso il dubbio; e il dubbio, che da una parte è
la tortura dell'intelletto, dall'altra è il padre della scienza e del diritto.
La scienza è lo spirito vivificante delle moderne opinioni, e sembra che voglia
assidersi regina dell'avvenire; la scienza di per sé sola non è un compenso
sufficiente al disagio dei sistemi attuali; e se si rimanesse in astratto senza
un'applicazione, senza produrre un frutto, sarebbe anzi una cosa' funesta.
Allargando la coscienza del male ne avrebbe allargata la sensibilità: ma la
scienza scuopre i mali, e i rimedi, e addita le fonti d'onde attingere la forza
necessaria a conseguire l'intento voluto. Oggi molto è stato discusso, - molto
è stato conchiuso; - quello che un secolo innanzi era un'ipotesi, oggi è un
assioma. La scienza dei diritti e dei doveri scambievoli è retaggio comune; per
altro i mali durano tuttavia e vanno ogni di più peggiorando. Ora con tanta
uguaglianza di. educazione morale, e in uno stato così violento d'ineguaglianza
materiale, come volete che le cose durino in pace e lungamente? In società vi è
troppo ristagno di potere e di ricchezze; un tratto immenso di terreno è
rimasto in secco; - oggi ha cominciato a screpolare; domani ognuna di quelle
lievi fessure sarà una voragine. Bisogna che tutto sia fluido, che tutto
circoli; la circolazione è la vita dell'uomo e dell'universo. - Il
combattimento seguirà non so quando, ma seguirà inevitabile e finale, - il
combattimento dei diseredati contro gli usurpatori. Ognuno ormai vuoi
partecipare, più o meno, al patrimonio che la natura largiva a tutti, e che
pochi carpivano unicamente per sé. Così vuole la scienza, scienza prodotta
dall'oppressione, dalla necessità delle cose, e dal tempo, non dai sistemi di
tale o tale altra scuola. - L'azione esercitata più là de' suoi limiti produce
sempre la reazione. Le masse non sviluppano questa scienza con tanta
sottigliezza di analisi, ma la sentono, ma l'hanno nel sangue, e l'enunciano
col fremito, coll'impazienza, con un linguaggio profondo di passione. - L'uomo
d'ingegno si vede d'intorno una siepe dì fatti imponenti, - ne indaga lo
spirito e quindi fa una storia di cause e di effetti che nessuno può impugnare,
ove non abbia voglia o interesse di travedere. I potenti poi s'adirano
coll'uomo d'ingegno, come se egli fosse la causa efficiente di quello stato di
cose; e lo perseguitano, e lo imprigionano, l'esiliano, spesso l'impiccano; e
non sanno che l'individuo, grande o piccolo che sia, è il prodotto del secolo
in cui nasce, non mai il produttore. - I potenti somigliano quei preti che
volevano bruciar vivo Galileo, perché in virtù del suo genio aveva scoperto nel
firmamento certe leggi eterne innegabili, che stavano in contrasto con certi
passi della Bibbia, Quei preti non dovevano inirnicarsi con Galileo. - Galileo
era innocente - leggeva la facciata del cielo come Dio l'aveva scritta. - Quei
preti dovevano invece riconoscere la verità, o distruggere il firmamento perché
la Bibbia avesse ragione. I potenti non possono ragionevolmente perseguitare
l'uomo d'ingegno che osserva il suo secolo, e ne pone i dati e le conseguenze;
- distruggano lo spirito del secolo, se hanno forza che valga, o pieghino
spontaneamente all'imperio della necessità, o attendano la lotta, et rira bien qui rira le dernier.
Quando arrivano i tempi grossi in una nazione, i potenti, non
so per quale fatalità, smarriscono immantinente il lume dell'intelletto, e
spesso agitati dalle furie, vedono da per tutto una congiura, e danno mano agli
arresti, agli esigli, ai supplizi talvolta. - Il senno e le leggi tacciono; -
regna il sospetto. - Io sono d'avviso
che: abbiano torto e la faccenda potrebbe governarsi altramente colla certezza
di miglior successo. Ogni secolo ha un carattere inciso e distinto, che si
rivela all'occhio di chi osserva gli eventi senza caligine di false passioni. -
Ogni secolo chiude nelle sue viscere una parola d'ordine che invocata
fedelmente risponde chiara e sonante. Da questi punti di partenza deve muovere
la ragione di stato, scienza che non ha per fondamento una serie di fini
aforismi, una serie di osservazioni già fatte, ma che ha per anima un'indagine
continua, e progressiva dell'opinione sempre rinascente e volubile. La politica
non è un'arte definita come l'arte del disegno, che procede da un subietto
determinato: è un'arte mobilissima, perché procede da una materia mobilissima.
La politica è il governo dell'opinione; può rettificare per il meglio il suo
subietto, non alterano sensibilmente o distruggerlo. quando arrivano i tempi
grossi non esistono congiure, o se alcuna ne esiste, è un pleonasmo, - è una
bolla che produce l'intensità della febbre; - non è a quel segno effimero,
isolato, che deve rivolgersi l'attenzione del governanti. - Quando avranno
fatta svanire dalla cute la bolla, rimane pur sempre la febbre, che ogni dì più
ingagliardisce. Che se poi i tempi son quieti e non accennano a novità, una
congiura non dà timore, non significa nulla, anzi significa che l'opinione nel
suo maximum è sempre intatta, e coloro che congiurano danno pegno
d'impotenza assoluta; perché temendo da una parte la compressione del potere, e
dall'altra l'inerzia e la resistenza dell'opinione pubblica, sono costretti a
celarsi come il ladro fra le tenebre, ridotti in pochi, penetrati efficacemente
di un dato principio. - Ora di che temere dl un pugno di individui, che in
forza della loro posizione son condannati a non far nulla, che non hanno mezzi
di propagare la loro idea, che non osano manifestarsi? Costoro con fatiche
inaudite e un lungo tratto di tempo potranno raggranellare cento, duecento, se
volete mille individui sparsi sopra una vasta superficie, e gran mercé se nel
numero non trovano chi per imprudenza o per debolezza o per altro motivo in un
attimo non mandi in fumo il lavoro di lunghi anni. - Ma ponete pure che il
fatto rimanga nella sua integrità: e che può fare così celato, così ristretto,
così incognito alla maggioranza del popolo? Non vi rende l'immagine di colui
che con un trapano volesse perforare il San Bernardo? Se voi scoprite una
congiura siffatta io non vi consiglierò di premiarla, perché sarebbe una pazza
pretensione, ma il meglio che possiate fare è di renderla ridicola e di
fiaccarla per sempre con una opportuna moderazione. - Non date corpo alle
ombre, non date valore effettivo a tal moneta, che lasciata per terra così
com'è, pochi o punti troverete che la raccolgano. Un supplizio o una pena
esorbitante concilia non so quale interesse a favor del paziente, e lascia
delle traccie indelebili nel cervello del popolo, traccie che lo conducono a
investigare, a meditare, a sentire quello che fuori di questa circostanza non
avrebbe mai meditato né sentito. Il terrore dà un certo effetto, un certo
rilievo alle cose più Insignificanti, quando queste hanno per fine o per
pretesto un'intenzione grande e lodevole; - e con questi mezzi una baia assume
a poco a poco forme venerate di religione. La ragione di stato nella
dominazione dispotica è un'arte troppo difficile, perché quasi sempre muove
contro natura e segue l'indole di tutte le arti. - Bisogna contenerla in certi
limiti, e se li trapassa, l'arte si dissolve e perisce. - Il despota bisogna
che insegni a dormire; guai a lui se insegna a morire, è una lezione che ben
tosto gli tornerà contro. Bisogna persuadere al popolo che voi siete
eternamente sicuri, che nulla vi può smuovere dalla base ove siete
collocati; - guai se mostrate loro che
avete tremato, se mostrate loro che v'è un'altra forza indipendente dalla
vostra, la quale può sbalzarvi di seggio e mettervi in frantumi. - Che se poi
gli elementi sociali di una data epoca vanno in dissoluzione, credetelo, allora
non v'è chi congiuri, e se trovate una mano di cospiratori, guardateli bene in
taccia e vi accorgerete subito di quello che si tratta; se volete impiccarli siete
padroni; la corda sta per voi; - ma
tenete per fermo che è corda male spesa; - rimandateli a casa. - I vostri
annali segneranno una volta un atto di senso comune. - In una aperta
dissoluzione di elementi sociali nessuno cospira, - e tutti cospirano; - è una
forza indipendente dall'individuo, che agisce in quel tempo; - l'uomo si sente
menar via e non sa il come, e invano si sforzerebbe di dar col petto nella
corrente. - È la coscienza umana che si desta da un lungo secolo di oblio e
chiede i suoi diritti e li ottiene; - è l'elettricismo di una volontà unica,
che invade tutta una nazione; è il tempo in cui l'uomo legge con uno sguardo
nell'occhio dell'altr'uomo, che non ha mai visto, un pensiero simile al suo, -
un consenso, - una promessa che sarà mantenuta. - E allora, o potenti, se
versate del sangue, voi non toccate dalle mille miglia lo scopo voluto: - le
moltitudini non vedono più un reo nel giustiziato; - esse dicono: noi tutti
siamo rei come lui; quel sangue non fa che seminare la vendetta. - Poste le
cose in questo modo, davvero io non so qual consiglio proporvi, perché siete
materia intrattabile. - Io non oso confortarvi a rientrare pacificamente nel
seno dell'umana famiglia, perché sdegnate di essere uomini, perché quantunque
la forza delle cose vi chiami a morte inevitabile, volete morire dibattendovi
in un odio feroce e impotente, perché volete che il trionfo dei comuni diritti
costi lacrime e sangue, perché volete fino agli estremi obbedire al cattivo Dio
che vi istituiva flagello degli uomini. - Io non oso dirvi: o potenti, voi
siete troppo padroni della scelta; - avete sempre in mano i dadi della guerra e
della pace; - tutto sta nel trarre. - Se volete, potete scendere i primi
nell'ordine nuovo, - potete risparmiare una serie di grandi Sciagure; ma
bisogna scendervi dì buona fede, e mantenere rigidamente i patti giurati. - Non
dubitate, gli uomini son meno cattivi di quello che si pensa e che si scrive:
se non fosse così, come avrebbero tanta pazienza? Ma bisogna osservare i patti
giurati: - è l'unico modo di affermare la pace, perché quando l'universale è
tollerabilmente soddisfatto i partiti o non si muovono, o hanno poco spazio da
muoversi e poca durata. - Ma se io vi facessi questo bel discorso mi dareste
retta? o piuttosto non mi fareste stare in prigione un anno più del tempo che
intendete di farmici stare? Altre volte le nazioni parlarono così e i potenti
accettarono, ma con restrizione gesuitica, col pensiero e coll'opera sempre
diretti a tornare indietro, e allora le dighe si ruppero: la guerra subentrò
alla pace, la forza al diritto; la vendetta scrisse le leggi e fu un dramma
rapido e turbinoso di vittorie e di sconfitte; un dramma di sangue e di tenebre
dove il boia sorse protagonista terribile, il medesimo boia che tagliò per tutti;
che tagliò la testa di Luigi, di Bailly, di Robespierre. E un ordine nuovo di
cose dove ci menerà? Avanti di certo. - Contemplata la storia nei suoi
risultati complessivi, un progresso di meglio nella vita sociale si verifica.
La vita sociale d'oggi, presa ancora com'è, è ben diversa e migliore che non
era quella dell'antica civiltà, quella del medio evo, quella ancora di un
secolo innanzi. - Queste sono prove statistiche, e non pretensioni di sistemi.
Un miglioramento materiale è penetrato anche a traverso gl'ingombri che g]i
oppone lo stato di società, costituito com'è di presente, - e il desiderio e i
tentativi di star meglio sono anch'essi in progresso. lo non affermo che l'uomo
sarà pienamente felice; - il cuore umano ha certe leggi organiche che sussisteranno
immutabili, finché egli si muova - certi dolori lo faranno gemere in qualunque
età, in qualunque condizione. Ma la vita delle nazioni può e deve migliorare.
Fino a qual punto è impossibile determinano; forse dopo un lungo trapassare di
stadio a stadio, quando a forza di attrito tutti gli angoli acuti dell'umana
famiglia si saranno appianati giungeremo ad uno stato di tolleranza universale.
- La tolleranza non so se sia totalmente un frutto della ragione o della
stanchezza, probabilmente dell'una e dell'altra. - Dopo lunghi cimenti fatti a prova di secoli, di ferro e di
fuoco, per avventura un giorno faremo siffatto ragionamento: Uomini di tutte le
contrade e di tutte le opinioni, perché ci diamo la caccia, perché
c'insanguiniamo interminabilmente? La terra è larga abbastanza e tutti gli anni
feconda, può pascerci tutti, può seppeilirci tutti. - Se l'amore potesse essere
il nostro Dio e avere il mondo per altare, la vita meriterebbe d'essere eterna,
e l'uomo ben di rado avrebbe da piangere: ma dacché l'amore è così scarsa dote,
e bisogna serbarne la più parte a noi stessi, mettiamo in comune il poco che ne
avanza e per il resto tolleriamoci; - l'umana sapienza consiste nel tollerare.
- Lasciamo piegare a destra chi v'è inclinato, a sinistra chi vuole andarvi, la
terra è larga abbastanza: è un Pantheon capace a contenere tutti gl'idoli - Tu
puoi adorare un Priapo, io una cipolla, e pacificamente. Ognuno sarà salvo
secondo i suoi meriti. - Perché consumare un breve anelito di vita a dilaniarci
per una larva? Siamo noi eterni perché almeno la vittoria abbia un premio
corrispondente a tanti misfatti? La stessa meta attende tutti, - chi calpesta e
chi è calpestato; - e fra breve. Con un
mezzo volger di secolo, vinti e vincitori formeranno uno strato di polvere
indistinta, - un pavimento alle danze o alle battaglie dei nostri nepoti. Con
un mezzo volger di secolo la terra non serba più sia un'orma innocente, sia
un'orma di sangue. Prendete le ceneri del genio e quelle della follia, le
ceneri del padrone e quelle del servitore, son quattro mucchi in fila uguali di
quantità, di colore, di sapore; scegliete. - Dov'è l'occhio mortale che
discerna Dante da Brandano, Napoleone dal suo cocchiere? Perché insanguinarci,
perché darci la caccia? perché assottigliare infernalmente l'ingegno onde
inscrivere nei nostri codici tanti delitti che non emergono dall'essenza delle
cose, ma da un cuor depravato e feroce? - Consultiamo la natura nuda e vergine
come ella si rivela alla mente del giusto, e saremo meno sventurati. - Consultiamo
la natura umana senza velo di disprezzo, di cupidigia, di prepotenza;
consultiamola anatomicamente nel suo stato originale e osserveremo che si può
spogliare dal fango onde l'ha ricoperta un falso sistema sociale e rivestirla
d'una certa luce, una luce che non dobbiamo rapire al sole, come Prometeo,
perché ella ha sorgente nell'anima umana. - E l'arte sta nel trovarla e il
genio la sa trovare, ma noi abbiamo finora crocifisso il genio invece di
coronare. - Intanto tolleriamoci: v'è spazio per tutti, e permettiamo che
ognuno vi si volga a suo grado. Il genio può trasfondere nei suoi quadri
l'armonia e l'iride dell'universo; - la follia può ridere, e saltar per le
piazze; - Il forte può andare a caccia al cinghiale, - il debole può recitare
il suo rosario, e tutti pacificamente. - La terra è larga abbastanza; - L'umana
sapienza sta nel tollerare.
Indovinate chi amo più di tutti sulla terra? Io amo mia Madre;
- io l'amo più della Patria, cui dono il mio sangue se lo vuole, - più della
mia T***, ch'io amo pur tanto. - Povera mia Madre! Se voi la conosceste, forse
non ci capireste nulla. No, non è una donna elegante, - non sa di musica, - non sa il francese, - non ha cerimonie; - è
una donna quieta come un ciel sereno, una donna alla buona, che crede in Dio,
che va ogni giorno alla Messa, a pregare prima per me e poi per sé: è una donna
alla buona, che crede in tutto; - crede che l'olio versato porti Sciagura; -
crede che il vino versato porti fortuna. E' una povera donna, che ama il suo
figliuolo come voi amate voi stessi. - Io mi confesso come davanti a Dio. Non
amo tanto mio padre; è un buon uomo; -
ma la mia povera Madre è bene altra cosa. - Io non amo mia Madre per il latte
che mi ha dato, perché del latte non me ne rammento; - ma quando mio padre
talvolta mi sgridava, ella mi consolava, - mi asciugava le lacrime, mi baciava, mi dava un trastullo, mi
riconduceva alla gioia. Quand'io andava a scuola, e mi era innamorato dei
libri, mia Madre mi dava Il denaro onde comprarmeli. - Mia Madre mi ama come il
suo cuore, io sono il suo cuore. Mi guarda con una compiacenza, -
s'inorgoglisce di me, come la giovane sposa della sua corona di rose nel dì
delle nozze. Ed io l'amo ugualmente. Io ho un sembiante duro, - e quando sento
dentro non sono punto espansivo; - ma gli occhi mi parlano, - e mia Madre
guidata dall'istinto mi guarda sempre negli occhi, e ne riman consolata. Povera
mia Madre! ora tu non puoi più guardarmi, e chi sa per quanto! - io aveva il
vizio di addormentarmi col lume acceso, e mia Madre si levava di notte a
levano, perché temeva un pericolo. E alla mattina entrava nella mia stanza a
vedermi, in punta di piedi, e rattenendo il respiro per non rompermi il sonno.
- E quando parlava di me alle vecchie sue conoscenti, diceva che io era un angiolo,
- ed io risapendolo rideva di cuore, pensando che il mondo ml chiamava un
diavolo. - Povera mia Madre! Dio ti renda quella mercede, che merita il tuo
tanto amore!
Una sera io fui ferito di tre stilettate; - tutti credevano
ch'io morissi; anch'io credeva. Fui portato a casa agonizzante; caddi in
deliquio, e vi stetti più ore. Al risensarmi, chi trovai presso al letto? - Era
mia Madre, e così vicina a me, che di certo intendeva col suo fiato caldo
d'amore di vincere il gelo della morte. Mi parve l'Angiol custode. Mi ravvivai,
- cominciai con lei un colloquio lungo, veloce, passionato, sublime; - mia
Madre mi rispondeva interrottamente; - io nell'esaltazione non me ne accorsi:
mia Madre era convulsa; - ella non può piangere. Se io me ne fossi avveduto,
forse sarei morto. Mia madre dacché mi hanno strappato al suo seno è stata
assalita da un palpito così violento di cuore, che è andata vicino a morte. O
povera mia Madre! perdonami il tuo dolore! potessi avere almeno contato i tuoi
palpiti per rammentarmene!
Qui finisce il Manoscritto di un
Prigioniero; nella pagina interna della coperta si leggono questi due versi:
La prigione è una lima si sottile
Che aguzzando il pensier ne fa uno stile.
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