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Carlo Bini Manoscritto di un prigioniero IntraText CT - Lettura del testo |
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I primi giorni che l'uomo passa in prigione, sono per l'anima sua come giorni nebbiosi: - l'anima non ha peranche fatto l'occhio a quel clima; - vede confusamente, talvolta non vede gli oggetti, talvolta li vede doppi; - il suo palato non ha sapore; - un ronzìo continuo gli alberga le orecchie; - lo spirito giace stordito, e non sa pensare; - il cuore sente di star sotto a un fascio enorme di sensazioni, ma non sa darne ragione. Se la mente non gli crolla, è una prova sodisfacente della sua buona tempra; - se il corpo non gli si ammala, è una prova sodisfacente che il corpo fu tessuto cornme il faut. Sia come vuolsi, però in cotesta alterazione dello stato normale dell'anima l'uomo ci guadagna qualche cosa; la noia non trova luogo di abbarbicassi così di leggieri; - il pensiero, che agisce eccentricamente, non è quell'avvoltoio insaziabile, come quando il senno si aggira sopra il suo pernio naturale; - e il dolore vibra il suo pungiglione sopra una carne mortificata. Questo stato di esaltazione, in cui tutte le nostre potenze superando il coperchio hanno dato dl fuori, ha prodotto per legge di reazione una pace stanca, un sopore, un dormiveglia nell'anima nostra, che volentieri ella afferrerebbe di nuovo quando si desta, e la pienezza del giorno le mostra a diritto e a rovescio la sua posizione. Ma la natura vive d'eccezione a controgenio, e quanto più presto può, gradatamente rientra nel suo letto. Una volta, per altro, che il carcerato si è stropicciati gli occhi, e li ha spalancati, ed è desto ben bene, e si accorge, e tocca con mano di esser in prigione, la prima cosa che sente è la sconvenienza di una simil dimora, e il primo pensiero che se gli affaccia è quello di andarsene. Io stesso, che sono un uomo tutto pace, che, se il vento mi porta via il cappello, aspetto che si fermi, e non gli corro dietro, io stesso, - Dio mel perdoni, e chi mi ci ha messo, - ho pensato, prima d'ogni altra cosa, di andarmene. E vi ho pensato così a lungo, e con tanta intensità, che mi meraviglio come questo pensiero nel chinarmi non mi sia caduto già dal cervello in forma di lima. E se qualche spirito maligno non mi ruba questo mio cranio, portandoselo in un altro mondo a farvi sopra le sue esperienze, o a giuocarvi alle bocce; ma invece verrà in potere del sistema di Gall, e di Spurzheim; quei signori notino bene, e cerchino fra le tante protuberanze buone e cattive, ché troveranno uno scavo fatto dall'idea della fuga, una figura tale e quale come l'ho descritta qui sopra. Pertanto noi siamo d'accordo: il primo pensiero del carcerato è quello di andarsene. I mezzi poi per andarsene sono due: uno naturalissimo, e di riuscita infallibile, ed è quello di andarsene quando ti metteranno fuori; - l'altro naturale pur egli, ma non al grado del primo, ed è quello di fuggire. - Tu puoi fuggire con due metodi: - o fuggire da te col rompere la porta, o col segare i ferri della finestra; - o corrompendo a furia d'oro i custodi. Il primo metodo costa assai meno del secondo; il secondo assai più del primo. E tutto questo per tua regola e governo. Io, dopo molte considerazioni fatte colla coscienza, e non a caso, ho meco stesso deliberato effettivamente di rimanermi, finché un qualcheduno non venga a cavarmi. Già, figuratevi voi, mi hanno messo in un Forte munito di soldati, e di cannoni, e sotto chiave d'un Profosso munito di 12 Articoli stabiliti contro di me, e contro di lui; il Forte poi l'hanno messo in un'isola. - Ora andate a fuggire, se vi riesce! - Io mi protesto da capo, che non ho voglia né modo di andarmene; e quando anche conseguissi la fuga, sarei costretto a tornarmene indietro, perché fuori è la stessa prigione; - avrei di più da pagare il fitto d'una stanza, mentre adesso me ne godo un paio, e di pigione non se ne discorre, a meno che non facessero all'ultimo tutto un conto, - Napoleone, è vero, fuggì, - ma voi sapete chi era costui; e se nol sapete voi, altri l'hanno saputo; - e poi, egli fuggiva per delle buone ragioni; - fuggiva per rimettersi in capo un berretto da imperatore, ed io non potrei mettermi in capo che un berretto da notte; fuggiva per riafferrane la coda della Fortuna, che novamente gli capricciava dinnanzi, e gli faceva le smorfie da innamorata; - e poi egli era padrone del Forte dove io son racchiuso, e il Forte non era padrone di lui. - Ma io, che sono una cosa con un nome, e con un casato, e niente di più, faccio sapere a tutti una volta per sempre che ho meco stesso deliberato effettivamente di rimanermi, finché non mi diranno: - vattene. - Io sopporterò la mia prigione, come una escrescenza, che per un accidente mi sia venuta sulla persona, - come la paziente pizzuga sopporta quella casa d'osso che la Natura gli ha collocata sul dorso. V'è ancora un altro mezzo d'evasione; ma io mi attento poco a proporvelo: e quando voi lo saprete, confesserete che non è da tutti. È un mezzo mirabilmente semplice; non ha d'uopo d'oro, o d'argento, o di compagni; non ha d'uopo dì schiudere una porta, né di rompere un ferro; tu rompi una vena, e tutto è finito. - E allora, se il nulla non ti assorbe, tu vai a vagare pei campi dell'infinito, da dove volgendoti indietro, o la terra non ti apparisce, o tu scorgi sull'estremo orizzonte un punto bruno, impercettibile come il capo d'una formica. E allora esclami: dov'è la mia prigione? dove sono quelli che gemevano, quelli che facevano gemere? Oh la terra è una cosa falsa, gli uomini una folla di larve, il potente una larva con uno scettro di fumo, una larva più alta delle altre, perché ha trovato uno sgabello a salire. - Tu rompi una vena, e tutto è finito. il magistrato può ripiegare la sua toga. - chi vuoi giudicare? L'infelice si è appellato dal giudizio del verme a quello di Dio. - La giustizia può ringuainare la sua spada. - Chi vuoi percuotere una gleba? percuota, se vuole. Il vinto con un poco di sangue ha trionfato del vincitore. - Il tiranno gli aveva posto un piede sul collo; - lo serbava vivo per legarselo dietro al carro della vittoria; - e poi per attaccarlo a un patibolo a sfogo delle sue vendette; - a pasto di una plebe matta e feroce; ma l'infelice ha fatto un moto, un moto solo; e il piede del tiranno più non calca una vittima; - non calca che una massa di fango. - L'infelice con un moto solo l'ha vinto e deriso: - allora ei lo maledice e l'ammira; - allora in un eccesso di passione impotente grida come il Filippo di Schiller:
Rendetemi vivo quel morto; voglio che mi stimi,
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