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Francesco Berni
Rime

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  • 54. Capitolo in laude d’Aristotele [A maestro Piero Buffet cuoco].
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54. Capitolo in laude d’Aristotele [A maestro Piero Buffet cuoco].

 

Non so, maestro Pier, quel che ti pare

di questa nuova mia maninconia,

che io ho tolto Aristotele a lodare.

Che parentado o che genologia

questo ragionamento abbia con quello,

ch'io feci l'altro , della moria,

sappi, maestro Pier, che quest'è 'l bello:

non si vuol mai pensar quel che si faccia,

ma governarsi a volte di cervello.

Io non trovo persona che mi piaccia,

né che più mi contenti che costui:

mi paion tutti gli altri una cosaccia,

che fûrno inanzi, seco e dopo lui,

e quel vantaggio sia fra loro appunto

ch'è fra il panno scarlatto e i panni bui,

quel ch'è fra la quaresima e fra l'unto,

ché sai quanto ti pesa, duole e incresce

quel tempo fastidioso, quando è giunto,

ch'ogni ti bisogna frigger pesce,

cuocer minestre e bollire spinaci,

stringer melanze sin che 'l succo n'esce.

Salvando, dottor miei, le vostre paci,

io ho detto ad Aristotele in secreto,

come il Petrarca: «Tu sola mi piaci».

Il qual Petrarca avea più del discreto,

in quella filosofica rassegna,

a porlo inanzi, come 'l pose drieto.

Costui, maestro Piero, è quel che insegna,

quel che può dirsi veramente dotto

e di vero saper l'anime impregna;

che non imbarca altrui senza biscotto,

non dice le sue cose in aria al vento,

ma tre e tre fa sei, quattro e quattro otto.

Ti fa con tanta grazia un argumento,

che te lo senti andar per la persona

fin al cervello e rimanervi drento.

Sempre con sillogismi ti ragiona

e le ragion per ordine ti mette;

quella ti scambia che non ti par buona.

Dilèttasi di andar per le vie strette,

corte, diritte, per fornirla presto,

e non istà a dir: «L'andò, la stette».

Fra li altri tratti Aristotele ha questo,

che non vuol che gl'ingegni sordi e loschi

e la canaglia gli meni l'agresto.

Però par qualche volta che s'imboschi,

passandosi le cose di leggiero,

e non abbia piacer che tu 'l conoschi.

Ma quello è con effetto il suo pensiero:

se gli è chi voglia dir che non l'intende,

làscialo cicalar, ché non è il vero.

Come falcon che a far la preda intende,

che gira un pezzo suspeso su l'ali,

poi di cielo in un tratto a terra scende,

così par ch'egli a te parlando cali

e venga al punto, e, perché tu l'investa,

comincia dalle cose generali

e le squarta e minuzza e trita e pesta,

ogni costura e buco gli ritrova,

sì che scrupolo alcuno non ti resta.

Non vuol che l'uomo a credergli si mova

se non gli mette prima il pegno in mano,

se quel che dice in sei modi no 'l prova.

Non fa proemî inetti, non in vano:

dice le cose sue semplicemente

e non affetta il favellar toscano.

Quando l'incorre a parlar della gente,

parla d'ogniun più presto ben che male;

poco dice d'altrui, di sé niente,

cosa che non han fatto assai cicale,

che, volendo avanzarsi la fattura,

s'hanno unto da sua posta lo stivale.

È regola costui della natura,

anzi è lei stessa; e quella e la ragione

ci ha posto inanzi a gli occhi per pittura.

Ha insegnato i costumi alle persone:

la felicità v'è per chi la vuole,

con infinito ingegno e discrezione.

Hanno gli altri volumi assai parole,

questo è pien tutto e di fatti e di cose

e d'altro che di vento empir ci vuole.

O Dio, che crudeltà, che non compose

un'operetta sopra la cucina,

fra l'infinite sue miracolose!

Credo che la sarebbe altra dottrina

che quel tuo ricettario babbuasso,

dove hai imparato a far la gelatina;

che ti arebbe insegnato qualche passo,

più che non seppe ApicioEsopo,

d'arrosto, lesso, di magro e di grasso.

Ma io che fo, che son come quel topo

ch'al leon si ficcò dentro all'orecchia

e del mio folle ardir m'accorgo dopo?

Arreco al mondo una novella vecchia,

bianchezza voglio aggiungere alla neve

e metter tutto il mare in poca secchia.

Io che soglio cercar materia breve,

sterile, asciutta e senza sugo alcuno,

che punto d'eloquenzia non riceve;

e che sia il ver, va', leggi ad uno ad uno

i capitoli miei, ch'io vo' morire

se gli è suggetto al mondo più digiuno.

Io non mi so scusar se non con dire

quel ch'io dissi di sopra: e' son capricci

ch'a mio dispetto mi voglion venire,

come a te di castagne far pasticci.

 




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