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Francesco Berni Rime IntraText CT - Lettura del testo |
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55. Capitolo del debito [A messer Alessandro Del Caccia].
Quanta fatica, messer Alessandro, come dir, verbigrazia, Anassimandro e Cleombroto e quell'altra brigata, per dichiararci qual sia 'l sommo bene e la vita felice alma e beata! Chi vuol di scudi aver le casse piene; chi stare allegro sempre e far gran cera, pigliando questo mondo com'e' viene: andar a letto com'e' si fa sera, non far da cosa a cosa differenzia, non guardar più la bianca che la nera. Questa hanno certi chiamata indolenzia, ch'è, messer Alessandro, una faccenda, che l'auditor non v'ha data sentenzia: vo' dir ch'io credo che la non s'intenda; voi chiamatela vita alla carlona, qua è un che n'ha fatto una leggenda. Un'altra opinion, che non è buona, tien che l'imperador e 'l prete Ianni sien maggior del torrazzo di Cremona, perché veston di seta e non di panni, son spettabili viri, ogniun gli guarda, son come fra gli uccelli i barbagianni. E fu un tratto una vecchia lombarda che credeva che 'l papa non fuss'uomo, ma un drago, una montagna, una bombarda; e, vedendolo andare a vespro in duomo, si fece croce per la maraviglia: questo scrive uno istorico da Como. Dell'altra filosofica famiglia sono intricati più, dico, gli errori, ch'una matassa quando si scompiglia. Vergilio disse che i lavoratori starebbon ben, s'egli avessin cervello, se fussin del lor ben conoscitori; ma questo alla sentenzia è stran suggello: è come dare inanzi intero un pane a chi non abbia denti né coltello. Chi vuol che le persone sien mal sane dice che lo studiar ci fa beati e la scienzia delle cose strane; e qui gridan le regole de' frati, che danno l'ignoranzia per precetto e non voglion che mai libro si guati. Non è mancato ancor chi abbi detto gran ben del matrimonio e de' contenti che son nel marital pudico letto. Questo amo io più che tutti i miei parenti e dico che lo starvi è cosa santa, ma senza compagnia, non altrimenti. Son queste opinion più di novanta; son tante, quanti gli uomini, le vite e sempre ogniun l'altrui celebra e canta; ma fra le più stimate e reverite è, per detto d'ogniun, quella de' preti, perch'egli han grandi entrate e poche uscite. voi, Svetonio e Platina e Plutarco, che scriveste le vite, state cheti: lasciate dir a me, che non imbarco e son in questo così buono autore, sono stato per dir, come san Marco. Più bella vita al mondo un debitore, fallito, rovinato e disperato, ha che 'l gran turco e che l'imperatore. Questo è colui che si può dir beato: in tutto l'universo ove noi stiamo non è più lieto e più tranquillo stato. E perché paia che noi procediamo con le misure in mano e con le seste, prima quel che sia debito vediamo. Debito è far altrui le cose oneste, come dir ch'a' più vecchi si conviene trar le berette et abbassar le teste; adunque far il debito è far bene e quanto è fatto il debito più spesso, tanto questa ragion più lega e tiene. Or fatto il presupposito e concesso che 'l debito sia opra virtuosa, le consequenzie sue vengon appresso. un uom ch'affronti e faccia stocchi assai: è uom da fargli fare ogni gran cosa. Non ebbe tanto cuore Ercole mai, né que' che vanno in piazza a dare al toro, sbricchi, sgherri, barbon, bravi, sbisai. O teste degne d'immortale alloro, ma più delle carezze e de' rispetti e delle feste che son fatte loro! Non è tal carità fra' più diletti figliuoli e padri, e fra moglie e marito, e s'altri son fra sé di sangue stretti. È più accarezzato e più servito un debitor da chi ha aver da lui che se del corpo fuor gli fusse uscito: non par che tenga memoria d'altrui. Andate a dir ch'un avaraccio boia abbia le belle grazie c'ha costui: anzi non è chi non brami che muoia, tanto è perseguitato e mal voluto, tanto l'han proprio i suoi figliuoli a noia. Un debitore è volentier veduto, mai non si truova che nulla gli manchi, sempre alle spese d'altri è mantenuto. Guardate un prete, quando va per Banchi, che sberettate egli ha da ogni canto, quanta gente gli è sempre intorno a' fianchi. Questo è colui che si può dare il vanto di vera fama e di solida gloria, quel ch'è canonizzato come un santo. Non ha proporzione annale o istoria con gli autentichi libri de' mercanti, che son la vera idea della memoria; e costor vi son drento tutti quanti, e quindi tratti a farsi più immortali. E' son dipinti su per tutti i canti: voi vedete certi abiti ducali, fatti con orpimento e zafferano, con lettere patenti di speziali. E sarà tal che prima era un cristiano, che si farà più noto a questo modo che non è Lancilotto né Tristano. Un debitor, ch'è savio, dorme sodo; fa sonni che così gli facess'io! Par che bea papaveri nel brodo. Disse un tratto Alcibiade a suo zio, ch'avea di certi conti dispiacere: «Voi sète pazzo, per lo vero Dio! Lasciatevi pensare a chi ha avere, o qualche modo più presto trovate, ch'i creditor non gli abbino a vedere». Vo' dir per questo, se ben voi notate, che se i debiti ad un metton pensiero, si vorria dargli cento bastonate. Vedete, Caccia mio, s'io dico il vero, ché il peggio che gli possa intervenire è l'esserne portato com'un cero. Voi vedete il bargello a voi venire con una certa grazia e leggiadria, che par che voglia menarvi a dormire; né so, quand'io veggo un che vada via con tanta gente da lato e d'intorno, che differenzia a lui dal papa sia. Poi, forse che lo menano in un forno? Sèrronlo a chiave in una forte rocca, com'un gioiel di molte perle adorno. Come egli è giunto, ogniun la man gli tocca, ogniun gli fa carezze e accoglienze, ogniun per carità lo bacia in bocca. O gloriose Stinche di Firenze, luogo celestial, luogo divino, a voi ne vien la gente a capo chino, e prima che la vostra scala saglia, s'abbassa in su l'entrar dell'usciolino; a voi nessuna fabbrica s'agguaglia: sète più belle assai che 'l culiseo, o s'altra a Roma è più degna anticaglia; voi sète quel famoso Pritaneo, dove teneva in grasso i suoi baroni el popol che discese da Teseo; voi gli tenete in stia come i capponi, mandate il piatto lor publicamente, non altrimenti che si fa a' lioni. Com'uno è quivi, è giunto finalmente a quello stato ch'Aristotel pose, che 'l senso cessa e sol opra la mente. Voi fate anche le genti industriose: chi cuce palle, chi lavora fusa, chi stecchi e chi mille altre belle cose; non vi ha né l'ozio né 'l negozio scusa, l'uno e l'altro ricapito vi truova, di tutti duoi v'è la scienzia infusa. S'alla città vien qualche buona nuova, voi sète quasi le prime a sapella: par che corrieri addosso il ciel vi piova. E qui si sente un romor di martella, di picconi e di travi, per mandare libero ogniun in questa parte e 'n quella. Ma s'io vi son, lasciàtemivi stare; di questa pietà vostra io non mi curo, a pena morto me ne voglio andare. Non so più bel che star drento ad un muro, quieto, agiato, dormendo a chiusi occhi, e del corpo e dell'anima sicuro. Fate, parente mio, pur de gli stocchi; pigliate spesso a credenza, a 'nteresse, e lasciate ch'a gli altri il pensier tocchi, ché la tela ordisce un, l'altro la tesse.
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