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Francesco Berni
Rime

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  • 59. Sonetto del Bernia [Dell’anticaglie e de’ suoi parenti]
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59. Sonetto del Bernia [Dell’anticaglie e de’ suoi parenti]

 

Non vadin più pellegrini o romei

la quaresima a Roma alle stazzoni,

giù per le scale sante ginocchioni,

pigliando l'indulgenzie e i giubilei;

contemplando li archi e' colisei,

e' ponti, li acquedutti e' settezzonî,

e la torre ove stette in doi cestoni

Vergilio, spenzolato da colei.

Se vanno per fede o per desio

di cose vecchie, vengan qui a diritto,

ché l'uno e l'altro mostrerò lor io.

Se la fede è canuta, come è scritto,

io ho mia madre e due zie e un zio,

che son la fede d'intaglio e di gitto:

paion gli dèi d'Egitto,

che son de gli altri dèi suoceri e nonne

e fûrno inanzi a Deucalionne.

Gli omeghi e l'ipsilonne

han più proporzion ne' capi loro

e più misura che non han costoro.

Io li stimo un tesoro

e mostrerògli a chi gli vuol vedere

per anticaglie naturali e vere.

L'altre non sono intiere:

a qual manca la testa, a qual le mani;

son morte e paion state in man de' cani.

Questi son vivi e sani

e dicon che non voglion mai morire:

la morte chiama et ei la lascian dire.

Dunque chi s'ha a chiarire

dell'immortalità di vita eterna,

venga a Firenze nella mia taverna.

 




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