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Francesco Berni
Rime

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  • 60. Capitolo a Messer Baccio Cavalcanti sopra la gita di Nizza.
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60. Capitolo a Messer Baccio Cavalcanti sopra la gita di Nizza.

 

Questa è per avisarvi, Baccio mio,

se voi andate alla prefata Nizza,

che, con vostra licenza, vengo anch'io.

La mi fece venir da prima stizza,

parendomi una cosa impertinente;

or pur la fantasia mi vi si rizza,

ché mi risolvo meco finalmente

che posso e debbo anch'io capocchio andare

dove va tanta e sì leggiadra gente.

So che cosa è galea, che cosa è mare;

so ch'e pidocchi e de' cimici il puzzo

m'hanno la coratella a sgangherare,

perch'io non ho lo stomaco di struzzo,

ma di grillo, di mosca e di farfalla:

non ha 'l mondo il più ladro stomacuzzo.

Lasso! che pur pensava di scampalla

e ne feci ogni sforzo con l'amico,

messivi 'l capo e l'una e l'altra spalla;

con questo virtuoso putto, dico,

che sto con lui come dir a credenza,

mangio 'l suo pane e non me l'affatico.

Volevo far che mi desse licenza,

lasciandomi per bestia a casa, et egli

mi smentì per la gola in mia presenza

e disse: «Pìgliati un de' miei cappegli;

mettiti una casacca alla turchesca,

co' botton sin in terra e con gli ucchiegli».

Io che son più caduco che una pesca,

più tenero di schiena assai ch'un gallo,

son del foco d'amor stoppin et esca,

risposi a lui: «Sonate pur, ch'io ballo:

se non basta ir a Nizza, andiamo a Nisa,

dove fu Bacco su tigri a cavallo».

Faremo dunque una bella divisa

e ce n'andrem cantando come pazzi

per la riviera di Siena e di Pisa.

Io mi propongo fra gli altri solazzi

uno sfoggiato, che sarete voi,

col qual è forza ch'a Nizza si sguazzi.

Voi conoscete gli asini da' buoi,

sète moncugino e monsignore

e converrà che raccogliate noi.

Alla fe', Baccio, che 'l vostro favore

mi fa in gran parte piacer questa gita,

perché già fuste in Francia ambasciatore!

Un'altra cosa ancor forte m'invita,

ch'io ho sentito dir che c'è la peste,

e questa è quella che mi la vita.

Io vi voglio ir, s'io dovess'ir in ceste:

credo sappiate quanto la mi piaccia,

se quel ch'i' scrissi già di lei leggeste.

Qui ogniun si provede e si procaccia

le cose necessarie alla galea,

pensando che diman vela si faccia;

ma 'l solleon s'ha messo la giornea

e par che gli osti l'abbin salariato

a sciugar bocche perché 'l vin si bea:

vo' dir che tutto agosto fia passato

inanzi forse che noi c'imbarchiamo,

se 'l mondo in tutto non è spiritato.

E se gli è anche adesso, adesso andiamo;

andiam, di grazia, adesso adesso, via;

di grazia, questa voglia ci caviamo.

Io spero nella Vergine Maria,

se Barbarossa non è un babbuasso,

che ci porterà tutti in Barberia.

Oh, che ladro piacer, che dolce spasso,

veder a' remi, vestito di sacco,

un qualche abbate od altro prete grasso!

Credete che guarrebbe dello stracco,

dello svogliato e de mill'altri mali:

fu certo un galantuom quel Ghin di Tacco.

Io l'ho già detto a parecchi officiali

e prelati miei amici: «Abbiate cura,

ché 'n quei paesi si fa co' pali».

Et essi a me: «Noi non abbiam paura;

se non ci è fatto altro mal che cotesto,

lo terrem per guadagno e per ventura;

anzi per un piacer simile a questo

andremo a posta fatta in Tremisenne,

sì che quel s'ha da far faccisi presto».

Mentre scrivevo questo, mi sovenne

del Molza nostro, che mi disse un tratto

un detto di costor molto solenne:

fu un che disse: «Molza, io son sì matto,

che vorrei trasformarmi in una vigna,

per aver pali e mutarli ogni tratto.

Natura ad alcun mai non fu matrigna:

guarda quel ch'Aristotel ne' Problemi

scrive di questa cosa»; e parte ghigna.

Rispose il Molza: «Adunque mano a' remi;

ogniun si metta dietro un buon temone

et andiam via, ch'anch'io trovar vorre'mi

a così gloriosa impalazione».

 

 

Post scritta. Io ho saputo che voi sète

col cardinal Salviati a Passignano

et indi al Pin con esso andar volete.

Me l'ha detto in palazzo un cortegiano

che sa le cose et è de' Carnesecchi

e secretario e le tocca con mano.

Questo nel cor m'ha messo cento stecchi,

per la dolce memoria di quel giorno

che mi dice: «Meschin, tu pur invecchi».

Col desiderio a quel paese torno

dove facemmo tante fanciullezze

nel fior de gli anni più fresco e adorno.

Vostra madre mi tante carezze!

Oh che luogo da monachi è quel Pino,

id est da genti agiate e mal avezze!

Arete quel cardinal divino,

al qual vo' ben, non come cardinale

né perch'abbia 'l rocchetto o 'l capuccino,

ché gli vorrei per quel più presto male,

ma perché intendo che gli ha discrezione

e fa de' virtuosi capitale.

Seco il Fondulo sarà di ragione,

che par le quattro tempora in astratto,

ma è più dotto poi che Cicerone:

dice le cose, che non par suo fatto,

sa greco, sa ebraico; ma io

so che lo conoscete e son un matto.

Salutatel di grazia in nome mio;

e seco un altro, Alessandro Ricorda,

ch'è un cert'omaccin di quei di Dio:

dico che con ogniun presto s'accorda,

massimamente a giucar a primiera

non aspettò già mai tratto di corda.

Quando gli date uno spicchio di pera

a tavola, così per cortesia,

ditegli da mia parte: «Buona sera».

Mi raccomando a vostra signoria.

 




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