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Francesco Berni Rime IntraText CT - Lettura del testo |
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28. Contro l’essergli dati a forza versi e carmi.
Eran già i versi a i poeti rubati come or si ruban le cose tra noi, onde Vergilio, per salvar i suoi, compose quei dua distichi abbozzati. A me quei d'altri son per forza dati, e dicon: «Tu gli arai, vuoi o non vuoi»; sì che, poeti, io son da più che voi, dappoi che io son vestito e voi spogliati. Ma voi di versi restavate ignudi, poi quegli Augusti e Mecenati e Vari vi facevan le tonache di scudi. A me son date frasche, a voi danari; voi studiate, et io pago li studî e fo che un altro alle mie spese impari. Non son di questi avari di nome né di gloria di poeta: vorrei più presto aver oro o moneta; mi vuol pur impiastrar di versi e carmi, come se io fusse di razza di marmi. Non posso ripararmi: come si vede fuor qualche sonetto, il Berni l'ha composto a suo dispetto; e fanvi su un sguazzetto di chiose e sensi, che rineghi il cielo se Luter fa più stracci del vangelo. Io non ebbi mai pelo che pur pensasse a ciò, non che 'l facessi; e pur lo feci, ancor che non volessi. mai che gli uomini avessen tanto ardire di mutarsi in cornette, in pive, in lire, ad uso di trombetta veniziano, che ha dietro un che gli legge il bando piano. che, perch'io dica a suo modo, il comune mi pigli e leghi e dìame della fune.
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