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Francesco Berni
Rime

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  • 53. Capitolo secondo della peste [A maestro Piero Buffet cuoco].
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53. Capitolo secondo della peste [A maestro Piero Buffet cuoco].

 

Ancor non ti ho io detto della peste

quel ch'io dovevo dir, maestro Piero,

non l'ho vestita dal dì delle feste;

et ho mezza paura, a dirti il vero,

ch'ella non si lamenti, come quella

che non ha avuto il suo dovere intero.

Ell'è bizzarra e poi è donna anch'ella;

sai tutte quante che natura ell'hanno:

voglion sempre aver piena la scudella.

Feci di lei quel capitolo uguanno

e, come ho detto, le tagliai la vesta

larga e pur mi rimase in man del panno,

però de' fatti suoi quel ch'a dir resta,

con l'aiuto di Dio, si dirà ora;

non vo' ch'ella mi rompa più la testa.

Io lessi già d'un vaso di Pandora,

che v'era dentro il cancaro e la febbre

e mille morbi che n'usciron fuora.

Costei le genti che 'l dolor fa ebbre

saetterebbon veramente a segno;

le mandano ogni dì trecento lebbre,

perché par loro aver con essa sdegno;

dicon: «Se non s'apriva quel cotale,

non bisognava a noi pigliare il legno».

In fin, questo amor proprio ha del bestiale

e l'ignoranza, che va sempre seco,

fa che 'l mal bene e 'l ben si chiama male.

Quella Pandora è un vocabol greco,

che in lingua nostra vuol dir 'tutti doni';

e costor gli hanno dato un senso bieco.

Così sono anche molte oppenioni,

che piglian sempre al riverso le cose:

tiran la briglia insieme e dan de sproni.

Piange un le doglie e le bolle franciose,

perché gli è un pazzo e non ha ancor veduto

quel che già messer Bin di lor compose:

ne dice un ben che non saria creduto;

leggi, maestro Pier, quella operetta,

ché tu arai quel mal, se non l'ha' avuto.

Non fu mai malattia senza ricetta:

la natura l'ha fatte tutt'e due:

ella imbratta le cose, ella le netta.

Ella trovò l'aratol, ella il bue,

ella il lupo, l'agnel, la lepre, il cane,

e dette a tutti le qualità sue;

ella fece l'orecchie e le campane,

fece l'assenzio amaro e dolce il mèle,

e l'erbe velenose e l'erbe sane;

ella ha trovato il buio e le candele,

e finalmente la morte e la vita,

e par benigna ad un tratto e crudele.

Par, dico, a qualche pecora smarrita:

vedi ben tu che da lei non si cava

altro che ben, perch'è bontà infinita.

Trovò la peste perché bisognava:

eravamo spacciati tutti quanti,

cattivi e buon, s'ella non si trovava,

tanto multiplicavano i furfanti;

sai che nell'altro canto io messi questo

fra i primi effetti della peste santi.

Come si crea in un corpo indigesto

collora e flegma et altri mali umori,

per mangiar, per dormir e per star desto,

e bisogna ir del corpo e cacciar fuori

(con riverenza) e tenersi rimondo

com'un pozzo che sia di più signori,

così a questo corpaccio del mondo,

che per esser maggior più feccia mena,

bisogna spesso risciacquare il fondo;

e la natura, che si sente piena,

piglia una medicina di moria,

come di reubarbaro o di sena,

e purga i mali umor per quella via;

quel che i medici nostri chiaman crisi

credo che appunto quella cosa sia.

E noi, balordi, facciam certi visi,

come si dice: «La peste è in paese!»;

ci lamentiam, che par che siamo uccisi,

che dovrebbemo darle un tanto al mese,

intertenerla come un capitano,

per servircene al tempo a mille imprese.

Come fan tutti i fiumi all'oceàno,

così vanno alla peste gli altri mali

a dar tributo e basciarle la mano;

e l'accoglienze sue son tante e tali

che di vassallo ogniun si fa suo amico,

anzi son tutti suoi fratei carnali.

Ogni maluzzo furfante e mendico

è allor peste o mal di quella sorte,

com'ogni uccel d'agosto è beccafico.

Se tu vuoi far le tue faccende corte,

avendosi a morir, come tu sai,

muori, maestro Pier, di questa morte:

almanco intorno non arai notai

che ti voglin rogare il testamento,

né la stampa volgar del «come stai»,

che non è al mondo il più crudel tormento.

La peste è una prova, uno scandaglio,

che fa tornar gli amici ad un per cento:

fa quel di lor che fa del grano il vaglio,

ché quando ella è di quella d'oro in oro,

non vale inacetarsi o mangiar l'aglio.

Allor fanno li amanti i fatti loro:

vedesi allor s'egli stava alla prova

quel che dicea: «Madonna, io spasmo, io moro»;

che se l'ammorba et ei la lasci sola,

s'e' non si serra in conclavi con lei,

si dice: «E' ne mentiva per la gola».

Bisogna che gli metta de' cristei,

sia spedalingo e facci la taverna;

e son poi grazie date dalli dèi.

Non muor, chi muor di peste, alla moderna:

non si fa troppo spesa in frati o preti,

che ti cantino il requiem eterna.

Son gli altri mali ignoranti e indiscreti:

corrono il corpo per tutte le bande;

costei va sempre a' luoghi più secreti,

come dir quei che copron le mutande

o sotto il mento o ver sotto le braccia,

perch'ell'è vergognosa e fa del grande.

Non vòl che l'uom di lei la mostra faccia:

vedi san Rocco com'egli è dipinto,

che per mostrar la peste si dislaccia.

O sia che questo mal ha per istinto

ferir le membra ov'è il vital vigore

et è da loro in quelle parti spinto,

o veramente la carne del core,

il fegato e 'l cervel gli den piacere,

perch'ell'è forsi di razza d'astore;

questo problema debbi tu sapere

che sei maestro e intènditi di carne

più che cuoco del mondo, al mio parere.

E però lascio a te sentenzia darne:

so che tu hai della peste giudicio

e cognosci li storni dalle starne.

Or le sue laudi sono un edificio,

che chi lo vuol tirare infino al tetto

arà facenda più che a dir l'officio

non hanno i frati de san Benedetto;

però qui di murar finirò io,

lasciando il resto a miglior architetto.

E lascio a te, maestro Piero mio,

questo notabilissimo ricordo,

che la peste è un mal che manda Dio;

e chi crede altramente egli è un balordo.




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