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Aperto l'uscio della camera e fatto un profondo inchino, il
servo si ritirò, lasciando il prete solo con la donna. Nel primo istante non la
vide, perché la camera sembrava un grazioso incendio, e gli occhi restavano
abbacinati. Le tappezzerie, i canapè, le poltrone, tutto era di stoffa rossa,
d'un rosso roseo brillante, con certi disegni gialli sinuosi, come a fiamma; e
il sole del tramonto, caldo, vivo, d'oro, entrava dalle due finestre
spalancate, gettando sul rosso e sul giallo della stanza certi lumi
incandescenti e certi lustri, che somigliavano a fuochi e a scintille. Un odore
di essenze, acuto, inebbriante, si effondeva dalla toletta a trine e a ricami,
dove, sotto al baldacchino, tenuto in aria volando da un putto alato,
luccicavano dinanzi alla cornice dello specchio, tutta a fiori di vetro, innumerevoli
vasetti di metallo bianco e pettiniere e saponiere e ampollette di cristallo
terso e ninnoli d'ogni maniera.
Il prete, entrando, si sentì una vampa alla testa: avrebbe
voluto fuggire. La donna lo chiamò con voce soave come un liuto lontano.
Era sdraiata sopra un sofà nel solo angolo ombroso della
stanza, lungo il lato delle finestre, in fondo, lì dove le pieghe delle ampie
tende scemavano sui fianchi la luce e lasciavano come una insenatura fra il
parato ed il muro.
- Si metta qui, signor curato, qui accanto, in questo
seggiolone. Mi sento così debole, che appena appena posso parlar sottovoce.
Il prete rispose ruvido: - Scusi, ho fretta. Sono venuto
perché il medico mi aveva detto ch'ella era malata e aveva bisogno di me. Posso
servirla in qualcosa?
- Sono malata, e come! Ma quel dottore sventato non capisce
nulla. Ella. signor curato, dotto e santo com'è, può dirmi una parola, che mi
conforti, che mi rianimi e, col ridonarmi la fede in me stessa e nelle cose del
mondo, tornarmi forse la salute del corpo. Il mio male sta qui -. Si toccò il
seno.
Era coperta d'una vesta a fiorami, che lasciava vedere tutto
il collo, una parte del petto candido e il principio delle spalle rotonde, sulle
quali cadevano, sciolti, i suoi capelli increspati, d'un biondo rossigno.
Principiavano bassi, in riccioletti matti. Il naso appiccicato alla fronte,
quasi senza incavo, con un piano vigoroso e largo; le narici gonfie, da cui la
donna sbuffava alle volte al pari d'una cavalla araba; le labbra tumide, le
gote piene, e il mento rientrante davano a quel viso un non so che di pecorino
e lascivo. Il cinabro della bocca era anzi un poco troppo vivace, il roseo
delle guance un poco troppo sfumato, e la forma delle brune sopracciglia un
poco troppo sottilmente arcuata per poter credere che l'arte non ci entrasse in
nulla. E sotto gli occhi cerulei stava un lividetto, che li faceva sembrare più
grandi. Era bella insomma alla sua maniera e carnale.
Il prete rimaneva in piedi. Ella si alzò con fatica, andò
verso di lui, lo prese per mano e, condottolo due passi innanzi, lo fece sedere
nel seggiolone. Poi, guardandolo fisso, come se ella si destasse in quel punto,
stirò le braccia, che le maniche larghe lasciarono vedere quasi fino alle
ascelle; e il petto si arrotondò fieramente.
Tornò a buttarsi sul sofà, lasciando cadere a terra dal piede
destro la pantofola ricamata. Gli occhi cerulei erano diventati di bragia.
La voce non aveva più la stanchezza e la dolcezza di prima. Vi
dominava un timbro secco, strozzato, rabbioso, quando disse al prete
interrottamente: - Mi dica un po', Don Giuseppe, perché mi sfugge? Perché non
vuole vedermi più? Quand'io passo nel villaggio a cavallo della mia mula,
perché mi chiude in faccia le imposte della sua casa? Dopo avermi ricevuta in
principio quattro volte nella canonica, perché ha ora dato l'ordine di non
lasciarmi entrare, nemmeno quando io reco il denaro dei poveri? Non posso
metter piede in sagrestia; è molto che non mi caccino, come un cane, fuori di
chiesa. Mi si rimandano i doni che faccio al tempio. Con qual diritto? Chi può
mai rifiutare le offerte che si porgono a Dio? - Sbalzò in piedi e si piantò di
contro il prete, domandando: - L'odio, signor curato, è forse una virtù
cristiana?
Il curato affermò pacatamente, ma con la voce che tremolava: -
L'odio del male è una virtù cristiana.
- Virtù cristiana, reverendo, è l'amore. Me lo insegnarono da
fanciulla, quando andava in chiesa alla dottrina; me lo hanno ripetuto al
confessionale. Poi, divenuta donna, vidi che l'amor vero mi rialzava l'anima,
mi purificava lo spirito, mi avvicinava al cielo. L'amor vero passò, e, giuro,
senza mia colpa. Allora, abbandonata, povera, gettata in una società piena di
seduzioni e di corruzioni, cascai nella finzione dell'amore. Ma la finzione
dell'amore, non è amore, è odio; è l'odio anzi più vile, abbietto, pauroso,
straziante che si possa provare. Quest'odio m'uccide. Il cuore intanto arde, e
cerca da molti anni invano il refrigerio di un affetto violento e sincero. Ho
bisogno dell'amore che brucia.
Il prete, afferrando con un supremo sforzo di volontà i
pensieri, che svanivano dalla sua testa, mormorò: - Calmatevi, poverina,
mettete in pace la fantasia eccitata dalle sventure e dalle colpe della vostra
vita. Fate di desiderare una sola cosa, il bene. Uscite da queste sozzure
d'inganni e di vizii, in cui si trascina e imbratta la vostra esistenza.
Tornate sola e povera, ma pentita e buona. Allora tutti vi dovranno amare,
perché, amando voi, ameranno la virtù.
- Anche voi, Don Giuseppe, mi amerete anche voi?
E gli prese la mano, e la strinse, e il prete s'avvicinò.
La donna continuava sommessamente: - Don Giuseppe, guidatemi.
Insegnatemi la via, conducetemi dove vi piace. Sarò la vostra schiava. Sarò, se
vorrete, la vostra santa. Il vostro cuore dev'essere grande e nobile, deve
specchiare il cielo, come i vostri occhi. Mi piacete perché siete bello, perché
siete candido, perché indovino che non avete mai amato, perché voglio essere il
vostro primo peccato, il vostro primo rimorso. Datemi il vostro amore, Don
Giuseppe, il vostro amore.
La donna, arrovesciata sul sofà, teneva sempre con le due mani
la mano del prete, il quale tremava dalla testa ai piedi. Il sole era
tramontato; la camera diventava buia.
Ma, mentre la femmina ripeteva le ultime parole, sembrò al
curato che d'improvviso un soffio fresco gli passasse sul fronte; e di repente
gli comparve davanti la figura tetra e sanguinosa del suo Cristo
dell'inginocchiatoio, solo che il volto, anziché piegato e morto, era vivo e
guardava minaccioso e fierissimo. Il prete scattò e, prima che la donna potesse
pronunziare una sillaba, era uscito dalla stanza.
Quando il servo con la livrea turchina e con le mostre cremisi
vide scappare il prete dalla villa, quasi correndo, senza voltarsi, come se
dietro le spalle lo minacciasse il demonio, sorrise maliziosamente, ponendosi
l'indice della mano destra sulla punta del naso.
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