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La stanza del rettore era un paradisetto. Faceva caldo. Nel
camino brillava un gran fuoco, e dinanzi ad esso un uomo lungo e stecchito, una
specie di Don Chisciotte prete, si stava scaldando la schiena con le mani
dietro. Appena mi vide entrare, innanzi di aprire la lettera ch'io gli
presentavo, mi chiese se avessi fame, se avessi freddo, se fossi stanco, se
volessi bere; e senz'attendere la risposta, andò alla credenza a cavarne una
bottiglia, mi fece sedere nella poltrona accanto al fuoco, e chiamò il servo,
ordinandogli di preparare la cena. Bevetti il vermouth, due bicchieri, e il
rettore voleva farmi bere il terzo a ogni costo. Lieto come una pasqua, mi
pigliava per le mani, mi picchiava famigliarmente sulle ginocchia, sorrideva
con un certo ghigno bonario tutto cuore, e diceva:
- Ci ho proprio gusto: mi rincresceva davvero di finire l'anno
solo come un eremita. Sia benedetto il cielo: ho trovato un compagno. Pasquale,
un'altra brancata di fascine, un altro ceppo ben secco. Bada all'arrosto, che
non s'abbrustolisca troppo.
E andava su e giù per la stanza con le sue gambe
interminabili, facendo svolazzare la veste; poi si tornava a piantare ritto
innanzi al camino, e allora l'ombra oscillante de' suoi stinchi, proiettata
dalla fiamma, si distendeva sul pavimento, e il torso si sbatacchiava sulla
parete opposta, e il collo e il capo tracciavano la loro forma allungata sul
soffitto, sicché la figura nera appariva spezzata in tre lati, e si muoveva ora
di qua ora di là, come un pulcinella di legno dislogato da un ragazzo
impaziente.
Alla fine il rettore lesse la lettera di presentazione, e gli Oh!
e gli Ah! non terminavano più.
- Oh, ah, il figliuolo del mio caro Gigi! È proprio lei? Sa
che da trent'anni... che cosa dico? da quarant'anni... sicuro, fu nel... non mi
rammento bene... ma in somma sono passati quarant'anni almeno dacché vidi per
l'ultima volta il mio buon Gigi. E non sapevo che avesse preso moglie, ed
ignoravo che avesse un rampollo così grande e grosso, scusi, come lei. È
succeduto quel che succede sempre quando ci si vuol bene davvero: non ci si
scrive mai. Ma, lo creda, pensavo sempre all'amico del Liceo e del Ginnasio, e
chiedevo a me stesso: Gigi sarà vivo, sarà sano? Egli ignora forse ch'io sono
canonico, ed io ignoro... A proposito, a che professione s'è mai dato suo
padre? Mi pareva che avesse poca voglia di sgobbare a quei tempi. E dove s'è
piantato? A Venezia? Ho sempre avuto un gran prurito di andarci; ma poi,
seminario, noviziato, canonicato, rettorato, il diavolo che mi... E lei da qual
parte del mondo mi capita qua? Oh! Ah! Vedi bel caso. Bene, benone,
arcibenissimo. Pasquale, un'altra brancata di fascine, e la cena presto, e il
Grignolino del 1870, intendi bene?
Non pareva una cena da mille metri sul livello del mare, né da
Siberia. Si mangiava, si beveva allegramente.
- Pasquale, un'altra bottiglia. Il Barbera del 1860.
- Grazie, ho bevuto abbastanza.
- Via, via, l'ultima sera dell'anno! E per il figliuolo del
mio più vecchio amico! E sta bene Gigi? Sarà diventato grasso, mi figuro, e
grigio.
Porta la barba intiera o il pizzo o i soli baffi o ha la
faccia pelata come me? Quarant'anni fa era una buona pelle quando ci si metteva.
Una certa servotta, la Santina: aveva le mani e le guance rosse, e i capelli
crespi. Una sera... Dio me lo perdoni...
E si turava con le due mani la bocca enorme, e sghignazzava.
Il naso lungo e adunco, gli occhi piccoli e biancastri, il mento aguzzo e
sporgente, la fronte schiacciata e bassa, tutto era in moto in quel volto, su
quel collo interminabile, su quella interminabile persona scarnita; e dimenava
le braccia come un mulino a vento.
- Pasquale, Pasquale, una bottiglia di Barolo, di quello che
Sua Eminenza bevette l'ultima volta, ma bada di non sbagliare, del più vecchio,
c'è scritto l'anno 1850, e non iscuotere la bottiglia, portala adagio adagio
come se fosse una reliquia.
- Grazie, non posso, ho bevuto troppo.
- L'ultimo dì dell'anno, mi canzona! E com'è stata ch'è venuto
qui a passare l'ultima notte?
- Ero ai Tre Turchi...
Pasquale annunziò una deputazione. La deputazione si componeva
di un solo vecchietto bianco e curvo, che, in nome dei cinque o sei sacerdoti,
i quali vivono rannicchiati nelle loro camerette dell'ospizio anche gli eterni
mesi dell'inverno, era venuto ad augurare il buon anno al signor rettore.
Borbottata con impaccio infantile qualche parola, il pretucolo se ne andò via,
spaurito del suo gaio e inquietissimo superiore, del forestiero nuovo, e forse
degli avanzi della cena sardanapalesca.
- Ero ai Tre Turchi da due giorni per certi affari urgenti di
mio padre, un fallimento improvviso; e dovendo partire domani sera...
Pasquale annunziò un'altra deputazione. Entrarono due donne.
L'una si avanzò placidamente verso il rettore, che prese un aspetto compunto,
abbassando gli occhi e giungendo le mani all'altezza del petto; l'altra rimase
all'uscio e mi piantò gli occhi addosso. Era la fanciulla bionda, che avevo
vista nell'atrio. A un tratto si staccò dalla soglia, e con tre o quattro passi
leggeri e lenti mi venne accanto; e sempre mi guardava fisso, come se volesse
frugarmi dentro nell'anima o ricercare un segreto nelle mie viscere profonde.
Sentivo sulla mia faccia il suo alito. La sua compagna, che aveva finito il
proprio discorsetto, la chiamò due volte, e alla fine, presala dolcemente per
un braccio, la condusse fuori. Io restai sopraffatto da un senso arcano, che
somigliava alla paura.
Anche il rettore era rimasto un poco sopra pensiero. Ci
sedemmo al fuoco. Desideravo sapere qualcosa della ragazza bionda; ma il
canonico, rientrato già nel torrente de' suoi ricordi giovanili, non lasciava
posto a intromettervi una parola, e s'io tentavo di opporre un intoppo alla sua
straripante eloquenza, egli lo spazzava via senza neanche darsene per inteso. A
un certo punto, giovandomi astutamente di una pausa, dissi:
- Reverendo, mi cavi una curiosità. Chi è mai quella fanciulla
bionda, ch'è venuta dianzi?
Il prete alzò lo sguardo al soffitto.
- Ha certi occhi, che attraggono e che spaventano. È una
suora?
- Fece segno di no, e tacque.
- L'ho vista nell'atrio sola, in mezzo alla neve. È qui da un
pezzo?
- Da tre settimane. Ci vorrebbe un miracolo, e lo invoco con
tutta la forza dell'anima mia.
E cominciò allora a parlare dei miracoli della immagine santa.
L'estate scorsa, mentre c'erano al Santuario quattromila persone, un contadino
ricuperò la favella, perduta da quindici anni; un falegname paralitico si rizzò
in piedi, lesto come un daino; una donna, la quale s'era fratturata una gamba,
in due giorni guarì. Dai prodigi contemporanei risalì via via agli
antichissimi, e nel discorrerne assumeva una espressione ispirata, tanta era la
schietta fede che traluceva da quegli occhi piccini. Ma interruppe la litania
per dire:
- Già si sa, ella, caro signor mio, è un poco incredulo.
Debolezza dei tempi! Nella mia gioventù anch'io avevo, come il buon Gigi, il
cervello storto; ma s'ella rimanesse alcuni mesi su questo monte, in mezzo alle
nubi, accanto alla effigie dipinta da san Luca, e fosse testimonio delle
effusioni di mille e mille disgraziati, che dalle valli, dai paesi lontani
salgono a piedi a invocare l'aiuto del cielo, e vedesse le lagrime e udisse i
sospiri, e notasse poi la espressione giuliva dei loro volti; s'ella sapesse le
consolazioni, le santificazioni segrete, e come la fede rammollisce il macigno,
purifica le lordure, rialza e nobilita l'abbiezione più vile, ella, stupito dai
miracoli operati sui cuori, crederebbe agevolmente agli altri materiali ed
esterni. Salvare un'anima è cosa mille volte più ardua che racconciare una
gamba o ridare il moto ai nervi e ai muscoli di membra intorpidite. Vedesse i
voti di cui è piena la chiesa! Se non fosse questo freddo, vorrei condurvela
subito.
- Magari!
- Andiamo dunque.
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