SCENA
IV
Alberto Varesi
e detti.
Alberto.
(dall'uscio) Si può?
Carlo
(con istizza) Avanti (vedendo Alberto) Oh, lei! Scusi sa, signor Varesi.
Alberto.
Signora Montalti! (salutando Emilia e stringendo la mano di Carlo e di Maria)
Buon giorno, Maria! Buon giorno, Carlo (lo guarda fisso marcatamente e gli
scuote di nuovo la mano con significazione ripetendo) Buon giorno!
Carlo
(preoccupato avanza una sedia per Alberto, il quale guarda tutti con interesse)
S'accomodi, signor Varesi.
Alberto.
M'accorgo che il momento della mia visita è male scelto, e che io sono forse
importuno.
Emilia.
(con forzata garbatezza) Oh, tutt'altro! (siede con affettata indifferenza
accanto a Maria che ricama) (da sé) Costui! che vorrà?... Il dottor Ferdinando
dice che è un cattivo amico e che bisogna guardarsi di lui.
Alberto.
Per la vecchia amicizia colla famiglia spero che mi verrà scusata
l'indiscrezione. Vi veggo tutti turbati, e ne indovino la causa. Desidero
appunto parlare a Prospero in proposito.
Maria.
Il babbo è fuori!
Alberto.
Anche voi, Carlo, siete stato in piazza?
Carlo.
(abbassa il capo confuso) Sì.
Alberto.
(dopo un momento di silenzio) Se credete che io sia importuno fatemelo capire
non rispondendomi. Ma se stimate che i consigli sinceri di un amico devoto
sieno, se non altro, disinteressati, unitevi a me tutti, voi soprattutto,
signora Emilia, che avete un grande ascendente sull'animo di Prospero, per
dissuaderlo dall'accettare questa candidatura.
Emilia.
(levando il capo) Che! che! che!
Maria.
Non andare a Firenze!
Carlo.
Perché poi?
Alberto.
Perché non ancora Montalti è deputato ed ecco già perduta la quiete e la calma
invidiabile della vostra famiglia! Perché, credetelo al mio avveduto
disinteresse d'amico, i fastidi ed i dispiaceri che accompagneranno Prospero in
questa nuova posizione, i disturbi che ne risentirete tutti non verranno
compensati menomamente dalle sterili soddisfazioni di vanità, che, ad un uomo
come Prospero, può dare soltanto questa carica.
Emilia.
(stizzosamente ironica) Soddisfazioni di vanità! Oh no! signor Varesi
carissimo! Se mio marito accetta questa carica è per tutt'altri fini che non
sono certo né meschini né sterili come volete.
Alberto.
Fossero tali soltanto!
Emilia.
(aspramente) Dovete spiegarvi, signore!
Alberto.
Io vorrei, per l'interesse e l'onore del mio amico e di voi tutti, che non si
facesse rappresentare a Prospero la parte in cui questi interessi sono più
tristi che sterili e meschini.
Emilia.
Oh! questo poi, signor Varesi!...
Alberto.
Vi domando umilissime scuse, signora. Io non intendo, né lo potrei, pregiudicare
menomamente la riputazione e i propositi di un uomo che ho appreso a stimare da
venti anni, di un amico qual è Montalti. Io ho detto semplicemente che forse,
senza che lui se ne avveda, si avrà l'arte tristissima di fargli rappresentare
una parte che ogni uomo onesto rifuggirebbe di addossare.
Emilia.
(con indignazione mal celata) Da chi?
Carlo
(con dispetto) Da chi? Eh! lo so ben io da chi!
Alberto.
Non discutiamo su supposizioni che ci porterebbero molto lontano.
(risolutamente) Bisogna che crediate all'imparzialità dei miei sentimenti, e,
soprattutto, all'onestà di essi. Voi, signora Emilia, potete dire se io sono
stato mai caldo rivoluzionario?
Emilia.
(con ironia) No, davvero; né caldo cristiano!
Alberto.
Come voi l'intendete forse. Ritenete almeno che io sia un galantuomo?
Carlo.
Chi ne può dubitare?
Alberto.
Ebbene! Io da amico vi dico: Prospero Montalti in quest'affare non fa la figura
né dell'onest'uomo, né tampoco quella dell'uomo di buon senso, credetemi!
Carlo.
Anche lei, signor Varesi!
Emilia.
Questo poi, signor Varesi, passa i limiti!
Maria.
Scommetto che sia mandato apposta dalle Guignoli per far andare in fumo la
nostra partenza!
|