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I lumi erano spenti quasi tutti
nel corridoio che metteva alle stanze di Nata; l'uscio era socchiuso; Giorgio
aprì esitando e vide la camera debolmente illuminata. Ella era ritta accanto al
seggiolone, vestita di bianco, immobile, rivolta verso l'uscio. Gli andò
rapidamente incontro, strisciando sul tappeto come un fantasma, più bianca
della veste che indossava, colle braccia tese e gli occhi ardenti, e l'avvinse
in un abbraccio da lupa.
Non diceva nulla. Lo teneva
sempre così, sul suo petto. Di tratto in tratto gli afferrava il capo, lo
scostava per fissargli uno sguardo felino negli occhi senza dire una parola, e
tornava a stringerselo al seno con impeto.
Per caso si udì un lieve rumore
dietro l'uscio: ella si volse come una fiera:
«Chiudi!» fu la sola parola che
gli disse, con voce che lo fece trasalire.
«Chi può essere di là»
«Mio marito. Ma non ci abbadare.
Tu avrai il tuo revolver... se la fatalità lo spinge sin qui, lo uccido.»
E senza curarsi dell'impressione
che quelle parole potevano fare su di lui, si rimise a fissarlo con occhi
insaziati.
«Ti aspettavo!» gli disse poscia
sordamente.
Ei la baciava: le labbra di lei
rimanevano immobili.
«Hai preso moglie?» domandò
alfine.
Ma non gli diede tempo di
rispondere: gli si avventò al collo con un che di selvaggio:
«Qui! Dammi la tua fronte!... e
le tue labbra! Qui...»
Ad un tratto si irrigidì, e gli
si abbandonò nelle braccia; Giorgio la trascinava verso la poltrona.
«Non è nulla!» balbettava ella
col capo arrovesciato all'indietro «non aver paura. Dammi quella boccetta...
lì...»
Come l'ebbe sturata, si sentì al
forte odore che dovea essere un cordiale efficacissimo. Nata comprese la
titubanza di lui, gli sorrise tristamente, e togliendogliela di mano ripetè con
impazienza:
«Non aver paura, non potrà farmi
un gran male; e adesso ne ho bisogno!»
Appena ebbe bevute due o tre
goccie che avea versato in un cucchiaino, le gote le arsero di una fiamma
improvvisa, e si mise a ridere in modo che stringeva il cuore. «Come fa bene!
mi sembra che mi abbia messo del fuoco... qui.»
Giorgio stava a guardarla con occhi
aridi, senza poter trovare una parola né una lagrima; si sentiva soffocare da
un cumulo di sentimenti, d'affetti e d'angoscie diverse. Ella, con triste
civetteria da inferma s'era abbigliata con cura; aveva annodato i suoi capelli
in due grosse trecce, avea delle trine preziose sul petto roso dalla tisi. -
Egli la vedeva sempre in fondo a quel palchetto della Pergola, e nei viali del
giardinetto in via Principe Amedeo, leggiadra e sarcastica.
«A che pensi? Non voglio che
pensi a tua moglie», gli disse ella con collera.
Giorgio sprofondò il capo nelle
spalle.
«L'ami cotesta donna? No, non mi
rispondere», aggiunse vivamente mettendogli una mano sulla bocca. «L'ho vista
al teatro... è bella!»
Chiuse gli occhi e due lagrime
scesero per le sue guance lentamente, cadendo a piccole scosse. Successe un
lugubre silenzio in quel colloquio d'amanti. A un tratto Nata spalancando gli
occhi e fissandoli sbarrati in quelli di lui:
«Perché mi guardi così? Son
diventata brutta? Ho ancora i capelli molto belli, guarda! snodali... Non aver
paura di me, non morrò ancora! E poi, t'amo tanto!»
In così dire brancicando gli si
avviticchiava al collo, e gli appoggiava la testa in seno con una specie di
voluttà disperata.
Tutt'a un tratto gli mise le mani
sul petto, scostandolo con una forza che Giorgio non avrebbe supposto in lei, e
con gli occhi ardenti e fisi su di lui.
«Dimmi che non ami questa donna!
dimmi che non l'ami!»
Giorgio chinò gli occhi.
«Dimmi che non l'hai amata, che
ami me sola. Dimmelo!»
Ei mentì, senza saper di mentire,
e senza vergogna di mentire. Allora ella seguitò a fisarlo in quel modo, e dopo
alcuni secondi di quel silenzio, con un accento intraducibile:
«Hai un figlio di costei?»
Giorgio taceva umiliato; ma Nata
all'improvviso attirò bruscamente il capo di lui sul suo grembo, vi appoggiò il
suo e cominciò a piangere.
«Non piangere!» esclamò Giorgio
che si sentiva spezzare il cuore.
«Non piangerò più... no, non
piangerò più...» le lagrime le si asciugarono nell'occhio febbrile e
corrucciato. «Ho il diritto ad essere felice anch'io... Che m'importa di
costei!... dille che ti ho amato prima di lei... dille che morrò presto...
dille... Non ho avuto la forza di morire senza vederti... Quando ti scrivevo
così... non credevo che dovessi morire così presto... non sapevo cosa fosse
sentire la vita che fugge... non mi sentivo il cuore così pieno... Se sapessi
com'è triste il morire! e morir sola, in un albergo! Mio marito è venuto
adesso, all'ultimo momento... gli ha scritto i medico... così è sicuro di non
mancare al suo dovere laggiù... per più di un mese... e ha messo in salvo il
dovere e la convenienza... Cosa vuoi che me ne faccia di quest'uomo? cos'è per
me? Ti ho fatto ribrezzo quando ho detto che se in questo momento fosse venuto
a mettersi fra di noi sarebbe stata una fatalità!... Cos'è tutto il mondo
adesso che sto per lasciarlo?... Cosa ho da temere dippiù? Cosa devo
aspettarmi? Non ho che te, e ti voglio! intendi? a dispetto di tua moglie, a
dispetto di tuo figlio, a dispetto di tutti!...»
Parlava con voce sorda e brusca,
risolutamente, e con un che di fosco e di fatale. Egli avea i capelli irti,
molli di sudore, l'abbracciava con una frenesia spaventosa, quasi fosse in
preda a un delirio; sembravagli che quelle ossa che si avviticchiavano a lui
scricchiolassero; l'ebbrezza del suo amore era mostruosa, quasi la dividesse
con un cadavere; l'immagine di sua moglie, di suo figlio infermo, della sua
dimora tranquilla, della sua felicità domestica, mischiavasi a quel fantasma
della donna che avea tanto amato in un orribile e doloroso incubo. Ella
irrigidita, quasi svenuta, metteva dei piccoli gridi selvaggi, e difendeva i
veli del suo petto con pudore d'inferma. Ad un tratto si mise a stracciarli lei
stessa, fuori di sé, poi gli si abbondonò nelle braccia con rigidità
catalettica, balbettando, singhiozzando, annaspando colle mani verso il letto.
Egli ve l'adagiò, colle vesti disfatte, i capelli sparsi, stecchita come un
cadavere.
Delle lagrime le scorrevano lente
lente per le guance; avea gli occhi chiusi, e le labbra contratte da una
convulsione dei muscoli del viso scoprivano la doppia fila dei suoi denti
lucidi ancora come perle.
Mentre sembrava che dormisse,
spalancò gli occhi all'improvviso, guardandolo sbigottita, come delirante, e lo
respinse con impeto.
«No! quella donna... quella donna
ch'è sempre lì, fra di noi!... No! no!»
Da quel momento si mise a
vaneggiare per quasi mezz'ora; infine si assopì penosamente. Giorgio udiva il
suo respiro sibilante, la sentiva trasalire fra le sue braccia; di tanto in
tanto ella si scuoteva con un gran sussulto e gli fissava in volto dei grandi
occhi sbarrati senza vederlo; dormiva colla testa arrovesciata all'indietro; il
naso sembrava acuto e sottile; gli occhi erano incavernati; due grandi
sfumature livide solcavano le gote; i capelli erano sparsi in disordine sul
cuscino; la veste bianca la modellava rigidamente, distesa com'era sul letto;
attraverso la scollatura semiaperta si vedeva il petto solcato da ombre
profonde. Giorgio fissava su di lei che dormiva gli occhi affascinati.
Quell'orribile notte d'amore durava eterna.
Finalmente apparvero i primi
barlumi del giorno sui quadri che ornavano le pareti e sul bianco cortinaggio;
i mobili cominciarono a disegnarsi nettamente in una luce ancora incerta;
allora l'inferma si svegliò.
«Ho dormito... mi sento bene!»
mormorò, «mi sento proprio bene.»
Cercò brancolando la mano di
Giorgio, e si voltò verso di lui. Al chiarore dell'alba il suo viso sembrava
ancora più incadaverito.
«È giorno diggià? Come ho dormito
a lungo!... Aiutami ad alzarmi, voglio vedere l'alba.»
Ei la sollevò di peso, e
tenendosi colle braccia al collo di lui, l'inferma andò sino alla finestra.
Tutti nell'albergo dormivano ancora; alcuni impiegati della stazione andavano e
venivano fra le rotaie colle lanterne accese: un gallo ritto e pettoruto su di
una catasta di regoli, provava il suo mattutino; il cielo era di un azzurro
cupo, striato di vapori lattiginosi, e leggermente rosato verso l'oriente; sul
mare ancora grigio e fosco si vedeva per l'ampia distesa la lunga fila delle
vele dei pescatori.
«Che pace!» mormorò Nata. «Quanta
gente felice ci sarà a quest'ora!»
Giorgio rabbrividì.
«Addio!» gli disse ella
risolutamente, ma con uno sforzo - avea la voce commossa e gli occhi pieni di
lagrime. «Ritornerai stasera?»
«Si»
«Me lo prometti?»
Gli teneva le mani.
«Sarà per poco ancora!...
Vieni... Non ho che te. Sarà per poco ancora!»
Giorgio l'abbracciò col cuore
preso come in una morsa, ed ella si lasciò baciare, immobile, colle labbra
chiuse e gli occhi fisi.
Egli uscì barcollando.
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