-3-
Come Alberto aveva il suo amico
Gemmati, Adele avea anche lei la sua amica di collegio, la contessina
Manfredini, ch'era venuta a stare con lei per qualche settimana. Le due amiche passeggiavano
sulla terrazza sovrastante alla via che menava alla villa, tenendosi
abbracciate, ridendo e cinguettando come allegri uccelletti. Il sole tramontava
dietro i monti che si disegnavano con una vaga trasparenza violetta sulle calde
tinte dell'occidente; l'aria era imbalsamata da mille fragranze estive; una
nebbia sottile si levava dal fondo della valle, dove si udiva mormorare il
torrente, i buoi che c'erano stati a bere risalivano l'erta lentamente,
brucando l'erba qua e là, e facendo risuonare di tanto in tanto i loro
campanacci.
Le due fanciulle, silenziose da
un pezzo, stavano appoggiate alla balaustrata della terrazza, e guardavano
sbadatamente.
«Tuo cugino verrà stasera?»
«Sì.»
E dopo una breve pausa:
«È biondo tuo cugino?»
«Sì.»
«Alto?»
«Sì»
«È bello?»
Adele sorrise e chinò il capo.
La sua amica si voltò verso di
lei, la guardò in viso, e disse lentamente:
«L'ami?»
«Oh!...» esclamò Adele tirandosi
bruscamente indietro e facendosi di fuoco.
Le parole hanno il valore che dà
loro chi le ascolta. Tutta la verginità che c'era nel cuore della fanciulla
sembrò trasalire a quella domanda. L'altra, ch'era di due o tre anni maggiore
di lei, l'abbracciò strettamente, viso contro viso, cullandosi insieme a lei
sulla ringhiera, con un movimento di grazia inimitabile, e le susurrò piano
all'orecchio: «L'ami?».
Ella si voltò all'improvviso,
rossa come fiamma, e le stampò un bacio sulla guancia.
«Ed egli ti ama?»
Adele rispose senza alzare il
capo: «Non lo so».
«Eh, via!»
«Non me l'ha mai detto.»
«Certe cose non c'è bisogno di
dirle.»
«O come si fa allora?»
L'altra la guardò ridendo: «Deve
amarti moltissimo, perché sei carina davvero!»
«Come sei bella tu!» esclamò
Adele, buttandole le braccia al collo.
Una carrozza s'avvicinava
rapidamente; il bel giovanetto che c'era dentro levò, fra timido e sorridente,
i grandi occhi azzurri verso la terrazza, fece un saluto un po' imbarazzato,
volse uno sguardo festoso, e arrossì leggermente.
«Come s'è fatto grande!» esclamò
sottovoce Adele, aggrappandosi, senza saper perché, al vestito della sua amica.
«E un bel giovane» disse costei.
«Aveva il sigaro in bocca, hai
visto?»
«Non è elegante, ma ha un'aria
distinta. È marchese, non è vero?»
«Sì, a momenti sarà qui.»
Velleda rizzò il capo con un movimento
impercettibilmente altero, civettuolo e grazioso al tempo istesso, e si mise a
frustare i ramoscelli più bassi con una bacchetta che aveva in mano.
«Se fossi bella come te!» esclamò
ingenuamente l'Adele, forse colpita da quel rapido corruscare della vanità, o
forse rispondendo ai pensieri che le si affollavano in mente.
La sua amica era infatti una
magnifica bionda, aristocratica e delicata beltà, modellata come una Venere, e
leggiadra come un figurino di mode, dalle folte e morbide chiome cinerine, dai
grand'occhi azzurri e dalle labbra rugiadose; sotto i suoi guanti grigi celava
unghie d'acciaio, colorate di rosa; il suo stivalino sembrava animato da
fremiti impazienti, e con quel suo tacco alto, con quella sua curva elegante,
avea l'aria di gentile arroganza, come se sentisse di render beata l'erba che
calpestava; il sorriso di lei era affascinante, lo sguardo profondo ed un po'
altero, l'accento carezzevole, il vestito avea artificiose semplicità, e la
blonda pudiche civetterie - ecco che cosa era quella fanciulla che frustava i
ramoscelli con un virgulto di salcio, e che si chiamava Velleda, al modo stesso
che era bionda, che era capricciosa, che era elegante, e che un bel fiore da
stufa ha un bel nome straniero. Ella sembrava sopraffare la verginale
leggiadria della sua amica col semplice portamento superbo del capo, o con un
solo de' suoi sorrisi affascinanti. Adele era magrina, delicata, pallidetta,
così bianca che sembrava diafana, e che le più piccole vene trasparivano con
vaga sfumatura azzurrina; avea grand'occhi turchini, folte trecce nere, mani
candide e un po' troppo affusolate; il vento, innamorato, modellava le vesti
sul suo corpiccino svelto e gentile come una statua d'Ebe; i movimenti di lei
avevano certa elasticità carezzevole e felina; - accanto a ciò una timidità
quasi selvaggia, un sorriso spensierato, e dei rossori improvvisi. Un
conoscitore avrebbe indovinato nella leggiadria modesta e quasi infantile della
fanciulla il prossimo sbocciare di una bellezza tale da rivaleggiare con quella
della superba bionda; ma Alberto non era conoscitore, e allorché la cuginetta
gli corse incontro stendendogli le mani e salutandolo col suo grazioso rossore,
i capelli biondi, la veste di seta, e lo sguardo da regina dell'altra gli si
gettarono, direi, alla testa, in un lampo. Povera Adele! se avesse potuto udire
il ronzìo di tutti quei calabroni inquieti che si destavano nella mente di
Alberto, mentre ella credeva di fare una presentazione in regola, dicendo: «Mio
cugino!» «La signorina Velleda!»
La signorina Velleda fece una
bella riverenza da ballo, ed Alberto se ne rammentò scrivendo il giorno stesso
all'amico Gemmati: «Se avessi visto con quanta grazia inchinandosi spingeva
indietro il suo vestito!».
Velleda andava innanzi,
giocherellando sempre colla sua bacchettina a mo' di frustino, un po' da
bambina capricciosa, un po' da leggiadra civettuola. Allo svoltar d'un viale
scomparve.
Adele, che chiacchierava col
cugino, tutta giuliva, arrossì improvvisamente, ed Alberto se ne avvide.
«Che hai?» le domandò.
«Il babbo non sa nulla del tuo
arrivo... cerco di vederlo.»
Il babbo li vedeva benissimo
dalla sua finestra, e si fregava le mani.
Al rammentarsi dello zio il
giovane si fe' scuro in viso, e pensò agli esami andati a monte. Ma lo zio,
ch'era il miglior zio del mondo, abbracciò teneramente il nipote, come se
costui non avesse delle palle nere sulla coscienza; anzi a tavola comparve un
certo fiasco di vecchio chianti, di quel delle grandi occasioni, e se
l'avessero lasciato fare, lo zio avrebbe fatto crepare il nipote di
indigestione, per provargli la sua tenerezza. L'Adele fu ciarliera e taciturna
a sproposito, la signorina Manfredini disinvolta e piena di brio, Alberto un
po' imbarazzato, un po' distratto, e di quando in quando aveva certi assalti di
allegria che gli montavano al viso, gli luccicavano negli occhi e si
risolvevano in bizzarre effusioni di affetto per lo zio Bartolomeo.
«La bella luna!» esclamò Adele
affacciandosi alla finestra. «O che non si va in giardino?»
Velleda, interrogata a quel modo,
si mise a ridere.
«Vacci anche tu» disse lo zio ad
Alberto, che non faceva le viste di muoversi.
«E lei, zio?»
«O cosa vuoi che venga a farci
io? Ci ho il mio giornale da digerire. Vai pure.»
|