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Le due ragazze irruppero in
giardino allegre e chiassose; la luna sembrava inondarle di un pallido
chiarore, traeva dei riflessi turchinicci dai capelli di Adele, dava un che di
vaporoso a quelli di Velleda, luccicava sulla seta, giocava colle ombre,
frastagliavasi fra i cespugli, disegnava nettamente in bianco i viali; il cielo
era terso, leggermente azzurro; le gaie voci e gli allegri scrosci di risa
avevano cristalline sonorità.
«Sono stanca!» disse Adele
lasciandosi andare su di un sedile, e raccolse la sua vesticciuola volgendosi
verso di Alberto con un tacito invito; costui che chiacchierava
spensieratamente tacque all'improvviso.
«Ho dimenticato il mio
scialletto» disse Velleda con singolare vivacità.
«Andrò a prenderlo» rispose
premuroso Alberto.
La ragazza non poté dissimulare
un sorriso maliziosetto.
«Grazie, non s'incomodi» rispose,
e partì correndo.
Adele s'era ritirata in là per
far posto al cugino accanto a lei; ma egli si mise a passeggiare innanzi e indietro,
gettando di tempo in tempo sguardi avidi e imbarazzati sul sedile.
«Vuoi metterti a sedere?»
diss'ella.
«No... grazie... non ti comoda?»
«Che!»
Ella si mise a strappare le
foglie del rosaio. Alberto accavallava ora una gamba ora l'altra, guardava gli
alberi, il viale, la punta dei suoi stivali, e non sapeva che farsene delle
mani.
«Mi permetti di fumare?» disse
dopo un lungo silenzio, e come se avesse fatto una grande scoperta.
«Fai pure.»
Egli trionfante accese un sigaro,
e si diede a buffare il fumo con enfasi.
«Ti dà noia il fumo?» le domandò.
«No» rispose Adele tossendo e
fregandosi gli occhi.
E tacquero di nuovo.
«Bella sera!» esclamò finalmente
Alberto col naso in aria.
«Bellissima.»
«E punta fredda!»
«Punta.»
«È un pezzo che non ci vediamo,
sai!»
«Due anni.»
«È vero.»
Ella lo stava a guardare seria
seria.
«Hai imparato a fumare!» gli
disse finalmente con un sorriso, e come se gli confidasse un segreto che
nascondeva da qualche tempo.
«Cosa vuoi, i vizi si imparano
facilmente!» rispose Alberto con gravità.
«Però il sigaro ti sta bene!»
Ei la guardò nei grand'occhi
turchini che luccicavano al chiaro di luna, chinò i suoi prestamente, e si
soffiò il naso. Adele riduceva in pezzi minutissimi le foglie che avea
strappato dal rosaio.
«Ma il tuo giardino è molto
bello!» disse finalmente Alberto.
La giovanetta guardò attorno,
come se vedesse quegli alberi per la prima volta, e rispose:
«Sì, molto bello.»
«Una delizia!»
«Una vera delizia. Quella fontana
lì ce l'ho voluta io.»
«Davvero?»
«Sì, non è bellina?»
«Bellina tanto!»
«È tutta di marmo, sai!»
«Oh!»
«Il babbo non voleva, per via
della spesa...»
«Deve aver costato parecchio!»
«Altro! Ma il babbo mi vuol tanto
bene!»
«Oh! (in un altro tono).»
«E anche te, sai, ti vuol bene!»
Il dialogo che si reggeva sui
trampoli, minacciò d'inciampare in quel sassolino.
«Ha detto che ti terrà qui sino a
novembre» soggiunse Adele vedendo che il cugino stava zitto.
«Ma...»
«Ti rincresce?»
«No!... no...!»
«Non ti annoierai?»
Egli si volse, la guardò, poi si
mise a scuotere col mignolo la cenere del sigaro Adele rimase alquanto
pensierosa, la povera bambina, e soggiunse, un po' trepidante: «Ci starai
volentieri?»
«Figurati!»
«Anche Velleda ci starà sino a
novembre. Che festa!» Il cugino si senti maledettamente ridicolo per non sapere
metter fuori il più meschino complimento.
«Ti piace la mia Velleda?»
riprese Adele.
«A me?...»
«Non è bella?»
«Oh sì!»
«Anch'essa ha detto che sei un
bel giovanotto.»
A quelle parole parve ad Alberto
che la luna irradiasse di un'aureola l'Adelina.
«Anche te ti sei fatta bella!...»
disse col coraggio della gratitudine.
«Davvero?»
«Davvero.»
Ella sorrise, chinò il capo,
incrociò le pallide manine sulle ginocchia, e il raggio della luna sembrò farsi
vermiglio sulle sue guance.
L'usignuolo cantava: passò un
alito di venticello che fece stormire lievemente le foglie. Essi si sentivano
l'uno accanto l'altra. Tutt'a un tratto la fanciulla scoppiò a ridere.
«Oggi volevo darti del lei,
vedi!»
«O perché?»
«Perché ti sei fatto grande:
avevo suggezione di te... ecco!»
«Oh!»
Ella si volse verso di lui, con
un improvviso movimento d'espansione e d'abbandono - i sentimenti puri e le
anime vergini hanno di codeste arditezze innocenti - ed egli si tirò in là modestamente.
«Ma se tu m'avessi dato del lei
non te l'avrei perdonato mai!»
«Perché?»
«Perché... perché... non lo so il
perché.»
Tacquero entrambi, e sentivano
che quel silenzio li dominava. Alberto era tutto intento a fumare, e l'Adele a
pungersi le mani sul rosaio. Si udiva il fruscìo della sua veste ad ogni
movimento di lei.
«L'ultima volta che partisti pel
collegio pioveva, ti rammenti ?»
«Sì, tu mi scrivesti per
domandarmi come fossi arrivato.»
«Ti rammenti anche di codesto?»
«Ho ancora la lettera.»
«Davvero?» arrossì e volse il
capo. «E Velleda che non ritorna!»
«Mi par di vederla laggiù.»
«Velleda!»
«Oh, siete ancora costà?» gridò
Velleda da lontano.
«Parlavamo di te, sai!» esclamò
Adele correndole incontro, e buttandole le braccia al collo le sussurrò qualcosa
all'orecchio.
«Cattiva!» mormorò Velleda
chinando il capo e facendosi rossa.
«Grulla!» borbottò il signor
Bartolomeo quando lo seppe.
Alle undici tutti i lumi della
villa erano, o sembravano, spenti. Alberto che stava alla finestra, come uno
che abbia bisogno di mettersi in cuore tutta la serena bellezza di una notte
estiva, credette di scorgere un fil di luce che trapelava fra le stecche della
persiana di una finestra al pianterreno, di faccia alla sua. E si sporse in
fuori per meglio vedere; ma la luce si fece all'improvviso più viva, come pel
dileguarsi di un'ombra frapposta, e si spense quasi subito.
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