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Il domani, appena Alberto aprì la
finestra e appoggiò i gomiti al davanzale, colla sua bella pipa di schiuma in
bocca, udì chiamarsi per nome.
Volse gli occhi sotto il
pergolato, e vide un fresco visetto e due begli occhi che gli sorridevano; la
cuginetta stava cogliendo dei fiori da un arbusto alquanto più alto di lei, e
rizzavasi sulla punta dei piedi per far piegare i ramoscelli restii; le maniche
del vestito le cadevano lungo le braccia un po' troppo delicate, ma bianche
come alabastro; il più gaio raggio di sole indorava quelle braccia e quel viso
gentile.
«Buon dì, cugino!»
«Buon dì, cuginetta!»
«Son le nove, sa?»
«Lo so.»
«E non si vergogna?»
«O che fa lei costà, così
mattiniera?»
«Lo vede, faccio dei mazzolini.»
«Per chi?»
«Pel babbo.»
«E poi?»
«Per Velleda.»
«E poi?»
«E poi... per chi se li merita.»
Egli alzò il naso in aria, mandò
un grosso buffo di fumo, e disse:
«È una bella giornata.»
«Sì» rispose la fanciulla
asciutto asciutto.
Adele andava e veniva fra gli
alberi, chinandosi ad ogni istante sulle aiuole con una vivacità infantile e
graziosa che era tutta sua. Alberto la guardava in silenzio. Di tanto in tanto
ella pure guardava lui, cercando di non farsi scorgere, con una tal cera
dispettosetta.
«Ha dormito bene?» domandò
finalmente.
«Benissimo, grazie.»
«E vuol dormire ancora?
«No... perché?»
«Vieni ad aiutarmi dunque!»
«Vengo subito, cuginetta.»
Vedendolo venire ella si diede un
gran da fare per assortire i fiori, e il giovane sentì sfumare in un attimo la
grande audacia con la quale le avea quasi chiesto un mazzolino.
«Il babbo è andato lassù, alla Sassosa,
alla vigna.»
«Oh davvero?»
«Quest'anno avremo una famosa
vendemmia!»
«Sì?»
«L'ha detto il fattore!»
«Lui può saperlo.»
«E il babbo è contento. Ti piace
codesto fiore?» riprese poscia l'Adele saltando da un discorso ad un altro.
«Bellino! come si chiama?»
«Non rammento; è un nome
forestiero.»
«Dev'esser un fior raro.»
Ella stava per rispondere, ma
vide che il cugino guardava più la mano che il fior raro, e arrossì.
«Che bella aiuola!» diss'egli per
non farsi scorgere.
«Sai cosa c'era qui prima? la
piazzetta dove noi si giocava a volano! Ti ricordi?»
«Com'è cambiato!»
«Anche tu sei cambiato!» rispose
ella senza alzare gli occhi.
Ei rispose dopo un istante: «E
anche tu!».
E sorrisero entrambi.
«Andiamo a svegliare Velleda, la
pigra!» disse Adele tutta rossa in viso.
Le finestre del pianterreno non
erano molto alte dal suolo, ma la povera fanciulla si rizzò invano sulla punta
dei suoi piedini: «Bussa tu» disse ad Alberto. Egli picchiò due colpetti
timidi.
«Chi è?» si udì rispondere da una
voce la quale aveva tuttora alcunché d'addormentato e di voluttuoso.
«Sono i miei fiori, che vengono a
darti il buon giorno, dormigliona!»
Le stecche della persiana si
schiusero alquanto; i raggi del sole vi s'insinuarono con una certa avidità e
si disegnarono in strisce luminose su di una bella figura bianca, sul braccio
roseo che si appoggiava al davanzale, sui capelli color d'oro, leggermente
ondati, che cadevano mollemente sull'accappatoio. Velleda accostò il viso alla
persiana, e si videro luccicare i suoi begli occhi; ma scorgendo Alberto, si
tirò indietro bruscamente, e chiuse del tutto, dicendo: «Vengo subito».
«Non lo vuoi?» domandò un po'
crucciata l'Adele ad Alberto che rimaneva cogli occhi fissi sulla persiana
chiusa, senza accorgersi del mazzolino che gli dava la cugina
«Dunque me lo merito anch'io?»
diss'egli sorridendo.
«Presuntuoso!»
Passando sotto la finestra del
cugino, Adele alzò gli occhi e stette a guardarla.
«Vedi com'è bello quel gelsomino
che s'arrampica sino al tuo davanzale?»
«Perché fai così tardi alla
sera?» riprese dopo breve pausa.
«Come lo sai?» Ella arrossì.
«...Me l'hanno detto» rispose.
Quel rossore fece dileguare in un
lampo dalla mente di Alberto la leggiadra apparizione ch'egli avea scorto
dietro la persiana e che luccicava ancora nel suo pensiero, come un raggio di
sole irradiasi, anche dopo chiusa, nella pupilla che abbagliò. Egli levò gli
occhi a quella finestra di faccia alla sua, dove la sera innanzi gli era
sembrato veder del lume, esitò un istante, ma non aprì bocca. Sembravagli
sentire tremare il braccio di lei, e che vaghi rossori fuggitivi le passassero
con una trasparenza alabastrina, sul bel viso che teneva chino, e sul collo
delicato.
S'erano seduti sotto il
pergolato. Ella gli parlava con quella dolce favella della fanciulla toscana
che somiglia a cinguettio d'uccelletto; sorrideva, arrossiva, giocherellava
cogli sgonfietti del suo vestito e colle foglie del pergolato; era tutta
festante, e si voltava ad ogni momento per veder comparire Velleda che non
veniva mai. Le ombre delle frondi sembravano accarezzarla alternando la luce
sul suo viso; il venticello, di tanto in tanto, faceva strisciare leggermente
il lembo della sua veste sui piedi di lui. Egli respirò con forza, quasi con
voluttà, e sorrise; ella respirò del pari e sorrise.
«O perché?» gli domandò ancora
sorridente.
«Sento allargarmisi i polmoni.»
«È l'aria montanina.»
«Come fa bene!»
«Non è vero!» e si tacquero.
«Ti piace la campagna?» riprese
ella poco dopo.
«Sì.»
«Ci starai volentieri?»
«Volentierissimo.»
«A me piace tanto!» esclamò ella battendo
le mani tutta sorriso.
«Ti piace stare a guardare la
luna dalla finestra?» domandò tutt'a un tratto e bruscamente il cugino, come
rispondendo ad un pensiero insistente.
«Sì...»
«Anche a me!» e divenne
pensieroso.
«Non ti par di voler amare la
luna?» riprese quindi con certi occhi che luccicavano singolarmente; «e che
quella dolce luce ti piova sul viso come rugiada, e ti rinfreschi il sangue, e
ti accarezzi le chiome, e che le stelle scintillino come occhi innamorati, e
che il venticello notturno baci mormorando le foglie e i fiori, e che i fili
d'erba si agitino in leggiadri abbracciamenti, e che i tuoi sguardi cerchino
lassù, in quella pallida luce, gli sguardi della donna... cioè, tu,
dell'uomo...»
S'imbrogliò, balbettò, l'enfasi
sbollì, e tacque arrossendo. Essa non rispose; dapprima avea spalancato tanto
d'occhi a quella sfuriata; poi avea chinato il capo, col viso di fiamma, s'era
tirata un po' in là, e s'era sentito il cuore grosso di non so che sospiri.
«Andiamo a trovar Velleda?» disse
dopo qualche momento, levando su di lui i begli occhi imbarazzati.
Ei la seguì. «Oh, il bel
fiorellino!» esclamò la giovinetta; il cugino lo raccolse e glielo diede.
«Grazie!» diss'ella «ma anche il
mio mazzolino è bello, non è vero?» e si mise a ridere. In quel momento erano
giunti sotto la finestra di lei.
«È quella la tua finestra?»
domandò Alberto con un lieve tremito nella voce.
«...Sì...» rispose Adele. «Ecco
Velleda, finalmente!»
E le si buttò fra le braccia,
coprendola di baci; la prese per mano, e si mise a correre con lei.
«Perché corri così?» le domandò
Velleda.
«Mi sento le ali» diss'ella «e
vorrei volare!»
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