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Alberti si svegliò tardi,
stanchissimo, e col capo peso. Un raggio di sole penetrava fra le stecche della
persiana e faceva luccicare la vernice del cassettone; ei gli sorrise, poscia
rimase a fissarlo con occhi sbarrati; infine si alzò con un inesplicabile
malumore.
Il suo primo sguardo fu per la
finestra di Velleda: era chiusa. All'ora della colazione entrando nella sala da
pranzo, volse intorno uno sguardo ansioso.
«Sei malato anche tu?» gli chiese
Adele correndogli incontro festosa.
«Chi è malato?»
«Velleda, che non viene a
colazione perché è così stanca da starne male. Avete ballato molto!»
Alberto lasciò cadere il sorriso
ingenuo e l'aria giuliva della fanciulla. La colazione non fu molto gaia. Lo
zio Bartolomeo uscì appena alzatosi da tavola, e li lasciò soli.
La fanciulla guardava il cugino
alla sfuggita, gli porgeva i fiammiferi e la borsa del tabacco, cercava di
prevenire tutti i desideri di lui, e, dopo di avere esitato lungamente:
«Che hai?» domandò.
«Io? nulla.»
«Non è vero; hai qualcosa.»
Il giovane sentì penetrarsi sino
al cuore quell'osservazione, e rimase un po' senza rispondere.
«Ma cosa vuoi che abbia?»
«Mah... se lo sapessi!» rispose
la fanciulla ingenuamente.
Per la prima volta il giovane non
poté sostenere il limpido sguardo della vergine, accese il sigaro ed usci.
Trovandosi all'aperto, l'aria, il
sole, il profumo dei campi, tutte quelle cose salubri e schiette, sembravano
purificarlo e rinvigorirlo. Gli ebbri fantasmi della notte, che avevano bisogno
del lume, della stearina e delle ombre delle cortine si dileguavano alla chiara
luce del sole, e non rimaneva che la mesta e pura figurina di Adele, colle sue
candide manine intrecciate sulle ginocchia, e i grand'occhi turchini che
l'interrogavano timidamente.
Il giorno dopo la contessina
Manfredini comparve all'ora del desinare, fresca e rosea come prima. Alberto
provò un singolare dispetto vedendola così. «S'è rimessa?» le domandò.
«Lo vede!» rispose ella
tranquillamente.
Prendevano il caffè in giardino;
Velleda posò la chicchera sulla tavola di marmo, e si mise a dondolare su di
una poltrona di legno: «E il suo amico non torna più?» domandò dopo qualche
tempo ad Alberto. Ei rispose, con un po' di sorpresa: «Verrà domani o doman
l'altro».
«Ah!»
Si alzò, lasciò i due cugini in
giardino, e andò a mettersi al piano. Il tocco della sua mano era secco,
nervoso, quasi aspro; la melodia errava scucita, e come soffocata in mezzo ad
un nembo di accordi tempestosi; c'era l'indolenza, la sprezzatura, la
sbadataggine di chi va seguendo sui tasti i propri pensieri, e non si cura di
afferrarli. Quella strana musica irrompeva dalle finestre aperte, e
soverchiava, direi turbava, la pace solenne della sera, sembrava udirvi scoppi
d'allegria e gemiti soffocati, e aveva qualcosa della leggiadria bizzarra della
suonatrice.
Alberto si avvicinò al piano, e
stette a guardar Velleda. Ella sembrava una statua di marmo che suonasse;
calma, impassibile, cogli occhi fissi sulla carta.
«Canterai qualcosa?» domandò
Adele
Ella scosse il capo continuando a
suonare, poscia smise, e si alzò.
«Così presto!» disse Alberto
«Continui a suonare almeno.»
Velleda alzò freddamente gli
occhi su di lui, e gli domandò:
«Cosa desidera?»
«Ma... quel che le pare.»
Ella si mise a sfogliare della
musica senza aggiungere verbo, l'aggiustò sul leggìo, e incominciò una canzone
di Schubert.
Adele erasi messa a sedere sul
canapè. Alberto, appoggiato alla coda del piano, teneva gli occhi fissi sulla
suonatrice: costei non levava i suoi dalla carta, con certa altera freddezza;
metteva tutta la sua anima nelle mani, di cui gli anelli scintillavano assai
più dei suoi occhi e vedevasi solo che quel seno si gonfiava dai lucidi
riflessi della sua veste, su cui cadeva il lume delle candele. A poco a poco il
suono morì nelle corde, le mani si fermarono, e la suonatrice chinò il mento
sul petto.
«È finito?...» domandò Alberto
come svegliandosi di soprassalto.
«Sì» rispose lei bruscamente.
E andò ad aggiustarsi un fiore
tra i capelli, baciò Adele, salutò appena del capo Alberti, e se ne andò.
«Si soffoca qui!» disse Alberto
alla cugina «vado in giardino,»
Il domani doveva arrivar Gemmati.
Alberto andò ad incontrarlo, e dopo la prima stretta di mano il suo amico gli
domandò:
«O cos'hai?»
«Cosa mi vedi? Sto benissimo.»
«Stanno tutti bene in villa?»
«Tutti.»
«Siamo in broncio, eh?»
«No!»
«V'amate sempre?»
«Non amo che lei!...»
«Chi ti parla degli altri?» disse
Gemmati.
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