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«Come va che non s'è più visto,
marchese Alberti?» udì esclamare dietro di sé.
Si voltò, e vide la contessa
Armandi a cavallo, che si era fermata sulla via, a due passi da lui. La contessa
stava bene in sella, l'amazzone disegnava elegantemente il suo bel corpo, il
velo azzurro le svolazzava sul viso, quasi la baciasse, la cavalla, col freno
tutto bianco di spuma, allungava il collo e scuoteva la bella testolina colla
grazia di una gazzella addomesticata.
«Bisognava proprio incontrarlo
per via!» disse l'Armandi stendendogli la mano all'altezza del suo ginocchio.
«Fortuna che viene a cercare i dolci tramonti, e i bei punti di vista!...
Farebbe anche dei versi, marchese?»
Il sorriso di lei era così gaio,
che il giovane se lo sentiva quasi comunicare, e rispose:
«Non ho questo vizio, contessa.»
«È innamorato dunque?»
«Anch'ella ci viene senza far
versi, né essere innamorata...»
«Che ne sa lei?» domandò con un sorriso
che lo scombussolò del tutto.
«Ma...»
«Non posso essere innamorata di
mio marito... o della mia Zelia?» aggiunse con quel risolino mordente e
leggiadro, guardandolo ardita e civettuola, e giocando col pomo del frustino
fra i crini della cavalla.
«Però» riprese «ella che non ha
né marito, né Zelia, amerà la bionda, o la bruna. Quale delle due?»
Il giovane arrossì, volle negare,
e rimase imbarazzato.
La contessa stava a guardarlo col
gomito sul ginocchio, la guancia sulla palma, e una provocante ironia negli
occhi.
E dopo averlo ascoltato così fra
ironica e motteggiatrice soggiunse con una gran serietà:
«È vero! Ella è troppo giovane
per amare la bruna, e non amerà la bionda che per un quarto d'ora. Ella non ama
che la sua giovinezza, e la donna allo stato di nebulosa. Addio. Quando avrà
bisogno del consiglio di una buona amica venga a trovarmi; così m'avrò la sua
visita che aspetto da un pezzo.»
E spronò Zelia, senza dare il
tempo ad Alberto di balbettare le scuse che gli si leggevano in volto. Poi arrestò
di botto lo slancio della cavalla, e rizzandosi sulla staffa con piglio
grazioso ed ardito, si voltò indietro, e gli disse da lontano:
«Oh, non sono in collera... e per
prova!...» sul ciglione della via spuntava una margherita tardiva; ella la
recise di un colpo di frusta «ed in prova le lascio un ricordo: consulti
l'oracolo, marchese.»
E sparì come un lampo.
«Hai visto la contessa Armandi?»
domandò a tavola Gemmati.
«Sì»
«Cosa t'ha detto?» aggiunse
Adele.
Alberto s'imbrogliò nel racconto
di una storiella metà vera e metà inventata, si confuse e si fece anche un po'
rosso. Lo zio Forlani tossì due o tre volte, e Velleda gli rivolse una rapida
occhiata.
«Che bella signora!» disse per
cambiar discorso.
Il giorno dopo, quando Alberto
stava per andare a villa Armandi, incontrò per caso la signorina Manfredini
presso il cancello.
«Va dalla contessa?» gli domandò.
«Sì.»
«Ci tien proprio a far cotesta
visita?»
«Ma... tenerci...»
«Se non ci tiene non ne faccia
nulla per oggi. Il tempo è bello; andremo alla Sassosa in carrozza con
Adele.»
E per la prima volta chinò gli
occhi dinanzi allo sguardo di lui.
«Sì...» diss'egli, «sì!»
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