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Adele accettò l'invito tutta
giuliva. Era tanto tempo che il cugino sembrava le tenesse il broncio! Ma in
quella comparve il babbo, con un viso più scuro del solito, e chiamò la
figliuola nella sua camera sotto pretesto di farle un discorso serio.
Alberti ascoltava assai distratto
i discorsi che teneva Velleda, la quale era assai più calma e più padrona di sé.
Adele ritornò poco dopo, pallida, tutta sossopra, e col viso ancora bagnato di
lagrime.
«Cos'è stato?» domandò piano il
cugino.
Ella lo guardò cogli occhi
lagrimosi, il petto le si gonfiò, e scoppiò a piangere.
«Nulla! nulla!» rispondeva
ostinatamente a tutte le interrogazioni di lui che si sentiva trafiggere il
cuore da quel pianto.
Dopo circa una mezz'ora ritornò
lo zio. Era serio in viso, ma con quell'aria di burbero benefico che gli andava
a meraviglia. Egli fu amabilissimo con Velleda, e accarezzò il nipote sulla
spalla.
«Il tuo baio mi sembra un po'
malato» gli disse. «Vuoi venire a vederlo?»
Alberto sentì in nube che il suo
baio stava assai meglio di come egli non si sentisse in quel momento; pure
seguì lo zio, di cui il viso andava rannuvolandosi a misura che si
allontanavano dal pergolato dove avevano lasciato le ragazze. Arrivati nel
viale rimpetto alla scuderia, ch'era dall'altro lato della villa, ei si fermò
su due piedi, dominando il nipote da tutta la maestà della sua corpulenta
statura e del suo sguardo da zio.
«Alberto, tu sei il figliuolo
della mia cara Cecilia!» incominciò solennemente.
«Zio mio...»
«E sei anche un ottimo ragazzo...
non ho difficoltà di dirlo.»
«Oh, mio zio...»
«Io ti voglio e ti vorrò sempre
del bene, da secondo padre che ti sono. Tu puoi vedere come ti ho accolto in
casa, e come..»
«Grazie, zio mio!...»
«Ma che lavoro mi fai in
ricambio!
Alberto si fece di bracia.
«M'hai stregata quella povera
bambina, di'?...»
Il nipote, con tutti i colori
dell'iride sul viso, teneva gli occhi fitti a terra, come se avesse voluto
sprofondarvisi. Lo zio tacque maestosamente, aspettando risposta per alcuni
secondi; indi riprese in aria paterna:
«M'accorgo dal tuo imbarazzo che
capisci d'esserti condotto assai male, e che ne sei pentito!...»
E mise una seconda pausa; ma la
risposta che aspettava non venne.
«Me ne sono accorto soltanto
oggi... troppo tardi! Ma avrei potuto diffidare di te, del sangue mio, del mio
secondo figlio.. ché per tale ti ho?...»
Alberto non fiatava, ma andava
ruminando come diavolo lo zio se ne fosse accorto proprio adesso che egli non
pensava quasi più alla cugina, e ricordavasi della tosse che si era udita
quella sera del famoso colloquio con Adelina, e che in buona coscienza aveva
allora attribuito allo zio. Costui, vedendo che il nipote non si risolveva a
parlare, e rimaneva impalato quasi fosse stato di sasso, riprese:
«Mea culpa! mio danno! i cocci li pagherò io! io che
son stato troppo cieco, fiducioso come... come un galantuomo... Quella povera
figliuola passerà qualche grosso guaio... ma pazienza!»
«La sposerò!», rispose Alberto
pallido come un cencio.
«Figliuol mio!» esclamò il signor
Forlani abbracciandolo teneramente. «Non ho mai dubitato di te!»
Ritornarono sotto il pergolato, non
curandosi altro del baio che mangiava tranquillamente la sua avena. Velleda,
senza alzare gli occhi dal lavoro, li saettò di uno sguardo che avrebbe fatto
onore ad un diplomatico. Adele chinò maggiormente il capo, ed impallidì.
«Figliuola mia» le disse il babbo
appena Alberto si fu allontanato; «tuo cugino Alberto mi ha domandato la tua
mano. Posso parlarne qui dinanzi alla tua amica che è come una sorella.»
Adele lasciò cadersi il lavoro di
mano, e si fece bianca, Velleda si alzò come per lo scattare di una molla,
corse a lei in furia, l'abbracciò e la baciò a più riprese, poi, al
sopravvenire di Alberti, gli sorrise graziosamente, e gli stese la mano.
«Che Iddio vi benedica, figliuoli
miei!» finì il signor Forlani abbracciando i due giovani nel tempo stesso.
«O come il babbo se n'è accorto
adesso?» esclamò ingenuamente Adele, allorché rimasero soli.
La felicità della poveretta era
così grande che sembrava irradiarsi anche sugli altri. C'era tanto affetto,
tanta gratitudine, tanto abbandono, tanta espansione nella sua gioia che
Alberto credette un istante il suo amore si fosse galvanizzato.
Gemmati avea fatto una corsa sino
a Pistoia; ritornando alla sera trovò tutti in festa, e come seppe di che si
trattava abbracciò Alberto, e gli disse con quel suo fare calmo e schietto:
«Bene, amico mio!»
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