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Verso sera giunse la contessa
Manfredini. Era una bella signora che si era fermata ai quarant'anni, bionda
come la figliuola, colle labbra sottili, il sorriso affabile, e quel gentile
accento toscano che sembra una carezza della parola. Si sarebbe detta una donna
tutta miele dai capelli alla bocca; era discreta, indulgente, riservata,
semplice e spiritosa, all'occorrenza, e quando voleva poteva assumere certe
arie matronali che bisognava vedere! Fu talmente gentile e affettuosa con Adele
da far ingelosire Velleda, se Velleda non fosse stata buona come la mamma;
trovò due o tre parole da fare andare in solluchero Alberti, e fu così graziosa
col signor Forlani, che costui, per rispondere di galanteria alla sua maniera,
avrebbe voluto farle bere di tutti i fiaschi della sua cantina. Dopo il pranzo
le ragazze si misero al piano, il signor Forlani preparò i famosi scacchi, e il
vento cominciò a gemere al di fuori.
«Ci faccia sentire qualche cosa!»
disse Alberto a Velleda con voce lievemente commossa.
Ella parve esitare.
«Sii buona, via!» aggiunse Adele.
«È l'ultima volta che ci
vediamo;» rispose finalmente rivolgendosi ad Alberto; «non le posso ricusar
nulla.»
«L'ultima volta?» esclamò Adele.
«Ho detto per ischerzo, sai!»
E si mise accanto al piano,
scelse la sua musica, e l'Adele si dispose ad accompagnarla.
Cantava con una mano appoggiata
al pianoforte: la luce delle candele, difesa dalle ventole, giocava coi
delicati chiaroscuri del suo viso; nella sua voce c'erano vibrazioni che
facevano trasalire, che gli ascoltatori sentivano scorrere nelle loro fibre; i
giocatori avevano lasciato gli scacchi; Adele stessa di tanto in tanto alzava
gli occhi verso di lei, con un sentimento d'ammirazione. Tutt'a un tratto
Velleda lanciò uno sguardo rapido e fiammeggiante come una stoccata ad Alberto,
che ascoltava cogli occhi fissi su di lei, pallido e turbato.
«Come hai cantato stasera!» le
disse Adele abbracciandola.
Ella sorrise sbadatamente.
«Fammi dare del fior d'arancio,
mi sento un po' agitata.»
Adele andò ella stessa.
Velleda rimase al cembalo, e
vedeva Alberti senza guardarlo. Ei le si avvicinò lentamente come affascinato,
e le si mise accanto - ella sembrò non accorgersene.
«Vorrei parlarvi!» disse
finalmente il poveretto con voce sorda.
La contessina chiuse il libro
tranquillamente e levò su di lui gli occhi sereni:
«Sto ad ascoltarvi.»
«Vorrei parlarvi da solo,
stanotte, in giardino!» ripeté Alberti coll'ostinazione quasi minacciosa di uno
che stia per ismarrire la ragione.
«È matto?» diss'ella freddamente.
Le labbra del giovane si fecero
smorte, e tremarono due o tre volte senza poter proferire parola: «Sì, credo
d'esser matto davvero!».
«Ma io non lo sono, davvero!»
Alberto guardò Velleda in tal
modo che ella, in un salotto pieno di gente, ebbe paura.
«Sarete cagione di qualche
disgrazia!»
«Io?»
«Voi!» rispose con fermezza,
guardandola fisso.
«Ma sa quel che mi propone, lei?»
disse la giovinetta con fierezza.
«Ho bisogno di parlarvi,
stanotte!» insisté Alberto con ostinata tenacità.
Adele entrava in quel momento da
un uscio accanto al piano, e udì quelle parole come se un demone gliele avesse
incise nel cuore coll'artiglio. Ella si appoggiò all'uscio prima d'entrare; ma
nella più debole fanciulla ci son miracolose energie, ed ebbe la forza di
mostrarsi calma allorché sollevò la tenda. Alberto insisteva collo sguardo,
senza avvedersi di lei.
Velleda indovinò un po'
d'imbarazzo nel contegno scambievole.
«Sai che cosa gli dicevo?» le
disse all'orecchio «che son gelosa!»
I due fidanzati trasalirono in
modo diverso.
«Gelosa di me?» balbettò la
povera fanciulla.
«No, ma di lui. Ei mi ruberà il
tuo cuore.»
Alberto chinò gli occhi e
arrossì.
La contessina incominciò a
discorrere di mille cose, spiritosa e disinvolta come sempre, e la
conversazione si fece generale, spiegò e raccolse le ondeggianti sue reti di
parole che avevano significati diversi pei diversi attori di quella scena.
Adele, coll'anima straziata dall'angoscia, osservava il cugino che sembrava
intento ad un discorso interiore. A un tratto, guardando alla sfuggita Velleda
con cert'occhi da spiritato, ei scappò a dire fuor di proposito: «Ebbene?» un ebbene
che avrebbe stonato orribilmente nella conversazione generale, se in quel
momento tutti non fossero stati distratti da una discussione abbastanza
calorosa. Adele fu eroica per forza d'animo, Velleda mostrò una sorprendente
presenza di spirito: prese la musica del Ballo in Maschera sbadatamente, cominciò a scorrerne le pagine, e
canticchiò «Io là sarò... alle tre.» Si alzò, si mise al piano, come
invogliatasi repentinamente, e cominciò a suonare la stretta. «Grazie!» le
disse Alberto cogli occhi. Adele sentì che le si spezzava qualcosa dentro il
petto.
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